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La strage di Marzabotto

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Dopo il massacro di civili compiuto a Sant’Anna di Stazzema compiuto dalle SS il 12 agosto 1944, gli eccidi nazifascisti ai danni delle popolazioni lungo la linea gotica hanno un momentaneo arresto. Il maresciallo Albert Kesserling, comandante della cosiddetta “campagna d’Italia” contro gli alleati, continua però, anche nei mesi successivi, ad avere l’incubo di quei ribelli italiani che, saliti in montagna dapprima con mezzi di fortuna, stanno di fatto tenendo in scacco il grande esercito tedesco all’interno dei confini della Repubblica di Salò: comanda alle truppe di lasciare “terra bruciata” alle proprie spalle e, quando viene informato che a Marzabotto e nei comuni limitrofi la divisione partigiana Stella Rossa continua a mietere vittime e ad operare sabotaggi, ordina la rappresaglia.

Capo dell’operazione viene nominato il maggiore Walter Reder, chiamato “il monco”, poiché aveva perso un braccio durante una battaglia a Charkov, sul fronte orientale, ed era considerato uno “specialista” in materia di rappresaglie contro civili e popolazione inerme.

Durante il mese di settembre le truppe al comando di Reder si spostano dalla Versilia alla Lunigiana e al bolognese, lasciando dietro di sé una scia insanguinata di almeno tremila persone uccise.

La mattina del 29 settembre ha inizio quella che verrà ricordata come la “strage di Marzabotto”, anche se in realtà i comuni interessati sono molti. Prima di muovere l’attacco ai partigiani, le SS accerchiano e rastrellano numerosi paesi: in località Caviglia i nazisti interrompono in una chiesa durante la recita del rosario e sterminano tutti i presenti (195 persone, tra cui 50 bambini) a colpi di mitraglia e bombe a mano, a Castellano uccidono una donna e i suoi sette figli, a Tagliadazza vengono fucilati undici donne e otto bambini, a Caprara le persone uccise sono 108.

Le truppe si avvicinano ai centri abitati più grandi, Marzabotto, Grizzano e Vado di Monzuno e sulla strada ogni casolare, ogni frazione, ogni località vengono rastrellate: nessuno viene risparmiato.

Anche nei comuni lo sterminio procede senza sosta; sono distrutti 800 appartamenti, una cartiera, un risificio, strade, ponti, scuole, cimiteri, chiese, oratori, e tutti coloro che sono rastrellati vengono messi in gruppo, spesso legati, e bersagliati da raffiche di mitra, che vengono sparate in basso per avere la certezza di colpire anche i bambini.

L’azione procede per sei giorni, fino al 5 ottobre: i partigiani della Stella Rossa tentano invano di contrastare la ferocia nazista, ma perdono il proprio comandante, Mario Musolesi, durante uno dei primi combattimenti, e comunque non dispongono delle armi e dei mezzi necessari per far fronte alle attrezzatissime truppe delle SS.

Al termine della rappresaglia si contano, in tutta la zona del Monte Sole, circa 1830 morti, mentre pochissimi sono i sopravvissuti, che sono riusciti a nascondersi, o che sono rimasti per giorni sepolti sotto i corpi dei propri vicini, dei propri familiari.

Tra i caduti, 95 hanno meno di 16 anni, 110 ne hanno meno di 10, e 45 meno di due anni; la vittima più giovane si chiama Walter Cardi, e aveva appena due settimane.

Al termine della guerra il maggiore Reder fuggirà in Baviera, dove verrà catturato dagli americani: sarà estradato in Italia e, nel 1951, verrà condannato all’ergastolo. Nel 1985 verrà graziato, grazie all’intercessione del governo austriaco, e si trasferirà in Austria, dove morirà senza aver mai mostrato alcun segno di rimorso.

Rimarrà comunque in ombra, in sede processuale, il ruolo di decine e decine di ufficiali e soldati delle SS, i veri e propri esecutori della strage, seppur l’identità di una parte dei responsabili sarà nota alla magistratura, che spesso deciderà di non dar seguito all’azione penale per motivi di opportunità politica internazionale.

Nel 1961 verrà edificato un sacrario, che raccoglie i corpi di 782 delle vittime della strage.

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