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Si scrive legge di stabilità, si legge nuovi tagli all’Università

In questi giorni il dibattito politico istituzionale è incentrato, oltre che sul solito giro di poltrone, sull’approvazione della Legge di Stabilità. Il provvedimento regola di fatto la vita economica del Paese, stabilendo quanto lo Stato spenderà per l’anno a venire nel rispetto dei rigidi parametri imposti a livello europeo dal Patto di Stabilità e Crescita. Non manca una certa confusione per quanto concerne le singole voci di spesa. Eppure, dalle prime indicazioni sembra emergere forte e chiaro un dato politico: la scure torna ad abbattersi sulle nostre vite.

Sembra essere confermata l’assunzione di 150mila precari prevista dal recente piano per una “buona” scuola. Ma la domanda è, chi paga il conto?

Sul fronte universitario, i ricercatori. Come se non bastasse l’ingente mole di lavoro non retribuito imposta a molti di loro per sopperire alle carenze dell’offerta formativa, per tutti arriva una triste sorpresa: il blocco degli stipendi fino al 2018 e la riduzione dei fondi destinati alla loro attività di ricerca. Per 210 ricercatori dell’Inea (Istituto Nazionale di economia agraria) e del Cra (Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura) il licenziamento a fine anno. Ad essere colpiti siamo anche noi studenti, già alle prese con un’offerta formativa sempre più povera se rapportata all’importo sempre crescente delle tasse che paghiamo ogni anno. Il FFO (Fondo di Finanziamento Ordinario), decisamente ridimensionato dalle ultime riforme universitarie, viene ulteriormente de-finanziato per un valore di 34 milioni di euro. Ma è il dato relativo al personale amministrativo, tecnico e ausiliario che ci mostra le reali intenzioni del governo: questo sarà ridimensionato per oltre 2mila unità.

Chi li sostituirà? Chiunque frequenti abitualmente una biblioteca potrà facilmente rispondere a questa domanda. Li sostituiranno gli studenti, i quali offriranno tutto il loro entusiasmo per il “bene collettivo”. GUAI a chiedere un compenso!
Questa tendenza, confermata dal nuovo piano per “La buona scuola”, rivela dunque la reale strategia del governo per la ripresa economica ed il rilancio dell’occupazione. L’immissione sul mercato del lavoro di una massa ingente di studenti che presteranno le proprie forze per un lavoro gratuito o, nella migliore delle ipotesi, sottopagato, il tutto in cambio di un punto in più nel curriculum, perpetuando questo meccanismo perverso. “In fondo, siete giovani”. “Dobbiamo fare dei sacrifici”. Addirittura, “lo stiamo facendo per voi!” – dicono, costruendo così quel meccanismo per il quale i soggetti in formazione, per rispondere al bisogno di realizzazione delle proprie aspettative formative e di vita, cedono disponibilità senza forme salariali o retributive di alcun tipo. O meglio, le forme retributive sono di per sé avere la possibilità (o l’illusione) di poter realizzare i propri sogni, bisogni, aspettative.

Vediamo dunque nel governo Renzi un’accelerazione di questo meccanismo di espropriazione, che parte dalle scuole superiori e arriva fino all’università. L’attacco è forte, diretto e crea dietro di sé forme di consenso immaginato, mediatico, reale o supposto, che trovano forza nella difficoltà delle lotte, soprattutto del comparto della formazione. Le forme dell’attacco ci obbligano a misurarci con le possibilità di opposizione reale a tali riforme. Per farla semplice, non basta agitare un’opposizione basata su di una inimmaginabile dinamica resistenziale di difesa del presente universo della formazione. Scommettere su nuove forme di aggregazione capaci di combattere l’atomizzazione del soggetto studentesco, praticando un contrasto concreto alle condizioni di vita imposte, e per una realizzazione di forme di autonomia, è ora la sfida della quale dovremo essere all’altezza all’interno delle università. Costruire un rifiuto collettivo e la non accettazione dell’immiserimento delle nostre vite è la nostra occasione per rompere l’immobilità del soggetto universitario.

Per questo crediamo che, nella loro umiltà, lotte e mobilitazioni messe in campo il 16 ottobre dentro le università e nelle città siano state un tentativo e una scommessa che non dobbiamo abbandonare. Il 14 novembre, in occasione dello sciopero sociale indetto da movimenti e sindacati conflittuali, crediamo sia fondamentale continuare a sperimentare nuove forme di opposizione. Questa data crediamo vada agita e costruita anche contro la legge di stabilità e le sue ripercussioni sulle nostre vite di studenti e studentesse, per provare a far crescere dentro i dipartimenti e gli atenei una reale opposizione al governo e alle politiche di austerità europee.

Il 14 novembre costruiamo lo sciopero sociale dentro l’università!

Collettivo Universitario Autonomo – Torino

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