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Nuovo ISEE. Un esercito di esclusi dai servizi e di futuri indebitati

Tra le varie voci infatti nel calcolo dei redditi compariranno anche trattamenti assistenziali (es. pensioni di invalidità) e previdenziali. Nel patrimonio mobiliare, invece, entreranno conti correnti bancari e postali, titoli di stato; insomma i normali risparmi privati delle famiglie.
Ma ciò che farà schizzare il valore del nuovo ISEE sarà l’indice riguardante la casa, anche se è quella dove si abita. Infatti il decreto tiene conto del rigonfiamento del valore fiscale degli immobili prodotto dall’IMU il quale sostituirà l’ICI come parametro di calcolo. Penalizzato anche chi vive in una casa di sua proprietà, il cui valore, al netto del mutuo, sarà considerato pari a due terzi del totale.
Alcuni esempi. Se l’ISEE attuale di un lavoratore dipendente (con casa di proprietà, coniuge con reddito suo proprio e due figli a carico) è di 14.683, questo, con i nuovi indici, lieviterà fino a 19.969. Ancora, se l’ISEE di un lavoratore dipendente (con casa di proprietà, coniuge con reddito proprio e un figlio a carico) è ora di 17.436, questo aumenterà a 23.314.

Si profila chiaramente una situazione in cui, consistenti fasce di proletariato attualmente beneficiarie di servizi e agevolazioni, verranno escluse da questi stessi servizi, non tanto per il restringimento dei parametri d’accesso, ma perché il nuovo ISEE, senza che nulla sia cambiato nella loro condizione, opererà per loro una promozione di massa nella categoria nominale dei “ricchi”, escludendoli così dalle tutele. Bel trucco… a proposito di “furbetti del welfare”.
Asili nido, mense scolastiche, trasporti, tasse universitarie, libri di testo a costo agevolato, assegni di maternità, esenzioni sanitarie, bollette della luce, bonus sui canoni telefonici e tanti altri servizi e agevolazioni vedranno, a monte, un drastico ridimensionamento dell’accesso. Si tratta di un’operazione di riequilibrio e normalizzazione dell’insufficienza strutturale che contraddistingue una cronica crisi del welfare: se il pubblico non sostiene più la domanda di tutela sociale allora bisogna far sì che non si abbia diritto di formulare la domanda.
Un potere di valutazione si impone ridefinendo la titolarità per l’accesso allo stato sociale. Ma ciò che non cambia è la condizione dei soggetti sociali richiedenti la titolarità o che la rivendicherebbero a sé. Eppure, sul medio-lungo periodo, sarà questo potere di valutazione che, istituita una differenza escludente, produrrà un nuovo tipo di soggettività sociale crescente: coloro che, scoperti dalle tutele pubbliche, per continuare a garantirsi privatamente un complesso di servizi, ricorreranno sempre più massicciamente a forme di indebitamento.

Che tali iniziative, segnate da un così profondo orizzonte strategico, vengano portate avanti, peraltro tramite decreto, in chiusura di legislatura e a campagna elettorale ormai iniziata, palesa ancora una volta come questi indirizzi di sistema siano sostenuti con gran convinzione da una partecipazione che, definire bipartisan, suonerebbe eufemistico. Di parte ce n’é infatti una sola, quella della tecnocrazia entro la quale tutto il quadro politico si esaurisce.
Su questo aspetto si appresta infatti a rassicurarci la sottosegretaria al welfare Maria Cecilia Guerra, la quale, dopo il veto della regione Lombardia, sulle sorti del provvedimento ha dichiarato che la scelta dell’esecutivo “potrebbe anche essere quella di lasciare al prossimo governo un documento con un ampio grado di approvazione”. Come dire: il nuovo ISEE è comunque materia di ogni governo.

Infatti il decreto sul nuovo ISEE soddisfa appieno quell’ipotesi neo-liberista di “stato leggero” in un’ottica di taglio alla spesa pubblica e di esternalizzazione dei servizi. Certo, possiamo presupporre che un livello minimo di garanzie “pubbliche” verrà mantenuto, ma ciò che più conta è che, come tecnica di disciplinamento, ad aumentare sarà l’indebitamento privato e non certo la spesa pubblica. Insomma, la diserzione dello stato sociale come cittadella della pacificazione, vorrebbe precipitarci nella trappola dell’indebitamento, inteso come insieme delle tecniche di controllo dei comportamenti sociali.
Eppure, a fronte di questo attacco, forzare ora quanto resta di questo welfare, non aggrappandosì ai suoi scampoli per difendere inesistenti universalismi delle garanzie, ma oppenendosi materialmente ai dispositivi di esclusione che ne ristrutturano la natura e la funzione sociale, significa trovare nelle nostre resistenze collettive la misura dei nostri bisogni e lo spazio della loro organizzazione. Esattamente questa nostra misura elaborata nelle lotte dobbiamo opporre come criterio di valutazione sociale contro i criteri di valutazione individuale che, invece, lavorano o per escluderci e indebitarci o per includerci a prezzo della nostra autonomia.

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