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“In Lombardia non si poteva fermare la produzione”. In Lombardia si poteva solo crepare

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di Sandro Moiso da Carmilla

 Francesca Nava, Il focolaio. Da Bergamo al contagio nazionale, Editori Laterza, Bari – Roma 2020, pp. 242, 15 euro

“…eh, ma io in questo momento rifornisco la Jaguar” (Marco Bonometti, Presidente di Confindustria Lombardia)

“Abbiamo anche minacciato di fermare la produzione, certo. E’ l’unica arma che abbiamo. Loro si sono sentiti ricattati, noi abbiamo detto «ricattati è poco, possiamo fare anche di peggio»” (Operaio della Dalmine – Gruppo Tenaris)

Il titolo scelto per questa recensione è tratto dalla frase che chiude, come un macigno, il penultimo capitolo del bel saggio-reportage della giornalista di origini bergamasche Francesca Nava, appena pubblicato dagli Editori Laterza. Un saggio imprescindibile per tutti coloro che vogliano parlare o discutere, a ragion veduta, dell’inferno pandemico scatenatosi a partire dalla Val Seriana alla fine di febbraio di quest’anno.

Un inferno sanitario e sociale che più ancora che nel virus, classificato per semplicità come Covid-19, affonda le sue radici in un autentica infamia economica, politica e istituzionale generalizzata, nei confronti della quale, nel corso degli ultimi mesi, si sono mossi i parenti delle vittime raccolti nel Comitato Noi denunceremo. Verità e giustizia per le vittime da Covid-19. Infamia che sta alle spalle anche di una gestione opaca sia dei provvedimenti che dell’informazione riguardanti la pandemia.

Un’opacità che, in questi giorni di ripresa, altamente prevedibile, dei contagi, ancora caratterizza tutti gli atti e le notizie che riguardano una situazione sociale e sanitaria destinata a peggiorare nel corso dell’autunno-inverno (così come l’epidemia di influenza “spagnola” avrebbe dovuto insegnare ai soloni della scienza, dell’informazione e della politica istituzionale). Una linea d’ombra determinata dalla necessità strumentale, soprattutto economica e politica, di non diffondere il panico che già tanto ha contato fin da gennaio qui in Italia e che ancora sembra essere l’unica autentica strategia, insieme all’uso della forza pubblica e dell’esercito, di mantenimento dell’ordine produttivo. A qualsiasi costo.

Ordine produttivo che fin dagli ultimi giorni di febbraio, in Val Seriana e nella bergamasca, è diventato il vero ed unico fattore di determinazione delle scelte sanitarie e sociali che avrebbero dovuto essere prese. Sia dal governo regionale che da quello nazionale. Ed è proprio in questa dipendenza delle decisioni politiche dalla volontà imprenditoriale, che ha finito coll’accomunare le scelte dei rappresentanti della Lega e del Centrodestra a quelle dei partiti e del governo di area giallo-rossa, che l’autrice affonda il rasoio del suo ragionamento e della sua implacabile ricostruzione dei fatti.

Nel sottolineare, a più riprese, come la sanità pubblica lombarda sia stata fatta letteralmente a pezzi da due riforme «improvvide, illegittime e di dubbia costituzionalità, quella del 1997 di Roberto Formigoni e l’altra di Roberto Maroni del 2015»1, Francesca Nava non dimentica mai di rammentare al lettore come lo spettacolo del rimpallo di responsabilità tra governo nazionale e governo regionale sulla gestione della pandemia, così come si è sviluppato anche davanti alla Procura di Bergamo che indaga sulle stesse, sia del tutto funzionale alle politiche effettivamente adottate e dettate quasi esclusivamente dalla voce del padrone.

Padrone che assume le fattezze precise della Confindustria lombarda e del suo rappresentante più importante, il presidente Marco Bonometti, che fin dai primi giorni (quelli che si sarebbero rivelati poi fatali per la diffusione dell’epidemia) si rivelò sintonizzato soltanto «sul fatto che, se l’Italia si fosse fermata e altri paesi gli avessero fottuto le commesse, lui avrebbe avuto un danno irreparabile»2.

A capo di Confindustria Lombardia dal novembre del 2017, Bonometti è presidente e amministratore delegato delle Officine Meccaniche Rezzatesi (Omr): colosso delle componenti per auto, con 3.600 dipendenti, sedici stabilimenti nel mondo e quasi 800 milioni di fatturato l’annoLa sua società, con oltre cent’anni di storia alle spalle e a capitale privato posseduto al 100% dalla famiglia Bonometti, vanta nella lista dei clienti le principali case automobilistiche, con la Ferrari come fiore all’occhiello. Nella città-contea cinese dello Huixian, a oltre 600 chilometri di distanza dal focolaio epidemico del coronavirus, si trova Omr China Automotive Components, lo stabilimento verticalizzato (dagli impianti di fusione del rottame al pezzo finito) […] specializzato nella produzione di assali e componenti per mezzi speciali che occupa oltre 600 dipendenti. Alla fine gennaio l’Omr fa rientrare dalla Cina dieci suoi lavoratori: tra questi ci sono cittadini italiani, tedeschi e cinesi. Vengono messi tutti in quarantena3.

Il 28 febbraio, nel corso di un’intervista radiofonica, Bonometti dichiara: «Bisogna rimediare cercando di abbassare i toni e far capire all’opinione pubblica che la situazione si sta normalizzando. Giustamente si son prese delle misure drastiche prima, ma oggi bisogna gestire la situazione in modo diverso. Bisogna far capire che la gente può ritornare a vivere come prima, salvaguardando sempre il problema della salute». Il giorno seguente, 29 febbraio parla anche di “danno di immagine” con una eventuale zona rossa che «crea danni economici anche alle altre aziende»4.
In piena ottemperanza al suggerimento-ordine, il 29 febbraio, un sabato, a Bergamo:

Il sindaco Giorgio Gori invita i bergamaschi ad andare in città e a fare shopping. Chiunque può viaggiare sui mezzi pubblici dell’Atb al prezzo scontato di uneuro e cinquanta; il biglietto è valido per tutto il week-end. Bar, ristoranti, negozi sono aperti e il Sentierone – la via pedonale del centro, la via dello struscio – pullula di gente. Sono i giorni indimenticabili dello slogan «Bergamo non si ferma», degli aperitivi milanesi tra l sindaco Sala e il governatore del Lazio Zingaretti, i giorni degli spot di Confindustria, che rassicura fornitori e clienti che «il rischio di infezione in Italia è basso» e che le aziende continueranno a produrre e lavorare come sempre. L’influenza da Covid sembra relegata nella zona rossa del Lodigiano e del comune veneto di Vo’ Euganeo. Eppure, già da una settimana, si è sviluppato un pericoloso focolaio in Val Seriana, che ha anche investito la città di Bergamo. All’ospedale Papa Giovanni XXIII continuano ad arrivare ambulanze cariche di pazienti in crisi respiratoria provenienti proprio dall’ospedale di Alzano Lombardo, dove tutto è iniziato il 23 febbraio5.

Se Netflix, o qualsiasi altro canale televisivo o casa di produzione, vorrà mai realizzare una serie thriller oppure horror-politica, la sceneggiatura è già pronta, servita sulle pagine di un testo informato, appassionato e di facile lettura, in cui nulla e nessuno viene dimenticato. Tanto meno le vittime. Che sono tante, troppe: pensionati, medici, infermieri, operai, autotrasportatori, quasi tutte di età compresa tra i quaranta e gli ottanta anni. Seimila nella sola provincia di Bergamo. Una strage annunciata che soltanto l’apriori economico, la sete di profitto ed una politica diretta soltanto dalla ‘necessità’ dall’accaparramento privato della ricchezza socialmente prodotta ha infine causato.

Economia di mercato e salute sia pubblica che ambientale, non possono coesistere: questo ci insegnano indirettamente le parole spesso pacate, talvolta accese ma comunque mai prive di forza della brava e coraggiosa giornalista bergamasca. E oggi, mentre è ancora in pieno ritorno una pandemia che non se n’è mai andata da una struttura economico-produttiva e sociale che non ha mai realmente chiuso nessuna attività pericolosa, mentre i mezzi pubblici viaggiano stracarichi di lavoratori e studenti e si finge che il virus si diffonda dall’interno delle famiglie e non dal suo esterno e dal contesto lavorativo6, mentre le scuole non riescono a garantire un minimo di sicurezza mantenendo attive le macchinette distributrici di bevande e panini (autentici supermarket virali) e mentre il presidemte di Confindustria Bonomi (imprenditore attivo proprio nel settore biomedicale) rivendica un salto di paradigma ad ulteriore beneficio delle aziende e del capitale privato, anche noi dobbiamo perseguire un altro tipo di salto di paradigma. Quello che gli operai che si sono rivoltati alla Dalmine, nelle fabbriche lombarde e piemontesi per fermarle prima del Dpcm truffa del 22/23 marzo oppure i difensori dei territori e della salute dei movimenti NoTav hanno già iniziato a indicare da tempo. La fine di un’ingiustizia che è la fonte di tutte le ingiustizie: lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e del dominio del capitale sulle risorse, l’ambiente e la salute. Un dominio che, come indica ancora il testo qui recensito, ha ormai compromesso gravemente anche l’indipendenza della scienza e della ricerca.

Grazie dunque a Francesca Nava che, pur con la necessaria obiettività professionale, ha saputo fornirci ulteriori armi e istruzioni per la comune battaglia che ci attende.

1) Intervista a Vittorio Carreri in F. Nava, Il focolaio, p. 161. Carreri nella stessa intervista riporta poi ancora questo esempio pratico: «Nell’Ats di Bergamo ora c’è questa situazione: il direttore del dipartimento si è infettato ed è a casa, a gestirlo con la funzione di direttore di tutte le attività legate alla pandemia virale è arrivato un veterinario. Ma le pare possibile? Un veterinario! Allora vuol dire che, oltre che dimezzata, la prevenzione a Bergamo e non solo a Bergamo è quasi annientata» in F. Nava, op. cit. p. 163

2) F. Nava, op. cit. p.58

3) op. cit. p. 66

4) per le due citazioni si veda F. Nava, p. 67

5) op. cit. pp. 22-23

6) Lombardia. La diffusione è trainata dai luoghi di lavoro, la Repubblica, 4 ottobre 2020, p. 3

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