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Il sequestro Aleandri

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E’ sotto gli occhi di tutti la grande popolarità che negli ultimi anni in Italia ha investito la storia della cosiddetta “Banda della Magliana”. A partire dallo splendido romanzo del 2002 di Giancarlo De Cataldo fino ad arrivare al recente documentario di Sky, è stato un continuo crescere di interviste, pubblicazioni, fiction aventi per oggetto le intricate vicende dell’organizzazione criminale di Abbatino, De Pedis, Abbruciati e Giuseppucci.

Il “romanzo” criminale della banda della Magliana è senza dubbio appassionante, ma proprio in quanto romanzo, e romanzo di grande successo popolare, anche involontaria causa della creazione di miti e leggende che poco hanno a che vedere con la realtà dei fatti. Uno dei tanti “miti” da sfatare è quello della presunta politicizzazione della banda, o meglio, della convergenza di interessi e di collaborazione fra la banda della Magliana e alcuni gruppi armati neofascisti come i Nar e Costruiamo l’azione. Senza volere negare gli effettivi e reali contatti con l’eversione nera romana, in questa pagina di “Storia di classe” vorremmo dare un piccolo contributo per riportare su un piano più concreto (molto poco romantico e idealista) questo tipo di collaborazione.

Sul livello strettamente storico, un caso molto poco pubblicizzato che ha per protagonisti la banda della Magliana e l’eversione nera, è quello del sequestro di Paolo Aleandri.

Paolo Aleandri è un giovane neofascista orbitante nella galassia dei Nar di Giusva Fioravanti. Nel 1977 fonda insieme a Paolo Signorelli l’organizzazione di estrema destra Costruiamo l’azione, e l’anno successivo entra in contatto con Franco Giuseppucci della banda della Magliana. Giuseppucci affida ad Aleandri un borsone contenente delle armi, per custodirle in un luogo sicuro. Alcuni mesi dopo, quando la banda della Magliana richiede la restituzione di quelle armi, Aleandri racconta di non sapere dove siano finite. Il 1 agosto 1979 Aleandri viene allora rapito da Maurizio Abbatino e da altri componenti della banda, e nascosto in un appartamento di Acilia, alla periferia di Roma. La richiesta dei rapitori ai camerati è semplice: o le armi tornano al loro posto, o Aleandri muore. Consapevoli del fatto che affrontare la questione sul piano militare avrebbe portato alla disfatta, alcuni neofascisti (fra cui Massimo Carminati) si mettono alla ricerca delle armi. La ricerca però dà ben pochi frutti. Le armi non si trovano… Carminati e gli altri allora sono costretti a rimediare altre armi in sostituzione delle originali andate perdute, aggiungendovi alcune bombe a mano, nella speranza che lo scambio venga comunque accettato. Dopo 31 (trentuno!) giorni di detenzione, la banda della Magliana accetta lo scambio e il primo settembre Aleandri viene liberato.

Oltre alla disorganizzazione e alla manifesta incapacità anche solo di raccogliere informazioni all’interno delle proprie organizzazioni persino da parte di figure di spicco del neofascismo italiano quali Massimo Carminati (elementi che dovrebbero fare riflettere sulla reale capacità politiche e “pratiche” di questi personaggi) la conclusione che traiamo da questo episodio ci appare evidente. Forse qualcuno, interessato e di parte, può ricamare sui rapporti tra estrema destra e banda della Magliana, millantando reciproche simpatie fasciste e ideologie comuni, ma la cruda realtà era molto più semplice: alla banda interessavano molte cose (il denaro, il controllo del territorio, il monopolio dello spaccio di droga, i locali alla moda ecc.) ma sicuramente non il fascismo, lo spontaneismo armato, l’autonomia nera, i deliri dei vari Fioravanti, Carminati, Signorelli e via discorrendo. Per la cronaca, Paolo Aleandri, due anni dopo il suo sequestro, verrà arrestato e diventerà immediatamente “collaboratore di giustizia”.

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