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Dentro e contro il rapporto di accoglienza: la lotta dei migranti dell’ex-aiazzone

La notte del 12 gennaio moriva Ali Muse, rifugiato somalo che aveva trovato rifugio all’ex-aiazzone di Sesto fiorentino. Dopo essersi messo in salvo mentre un incendio devastava completamente la struttura occupata, Ali ha provato a tornare indietro per salvare anche i documenti per il ricongiungimento della propria famiglia, ben cosciente che in questo mondo vale più un pezzo di carta che la vita delle persone.

Una tragedia con responsabili ben chiari, a partire da un sistema di accoglienza che tratta i migranti come oggetti da compatire o da sfruttare a seconda delle sfumature più o meno ipocrite che prende la “solidarietà”. Una tragedia che però si è trasformata in riscatto collettivo, in una presa di parola forte e decisa dei compagni di Ali Muse che, partendo dal rifiuto delle soluzioni degradanti ed emergenziali proposte a seguito dell’incendio, hanno rifiutato il sistema di accoglienza in blocco. Partendo dai propri bisogni e individuando nel sistema delle cooperative sostenuto dalla politica cittadina (e in particolare dal PD), sono riusciti a porre una rigidità nel governo del fenomeno migratorio che sta dando numerose gatte da pelare ai piani alti della città. Le manifestazioni sotto la prefettura e il comune, l’occupazione di uno stabile della curia e poi un grande corteo in città hanno anche riscontrato la simpatia diffusa da parte di una componente italiana spesso schiva o addirittura ostile: i rifugiati dell’ex-amazzone stanno facendo quello che dovremmo fare tutti, riconoscono in molti, se la stanno prendendo coi responsabili delle nostre comuni miserie.

Una lotta interessante per le prospettive di metodo che apre nell’aver scommesso sul protagonismo e sui processi di soggettivazione di una componente migrante schiacciato troppo spesso tra il sistema delle coop e un anti-razzismo peloso e vittimizzante.

Ne abbiamo parlato con Luca, del movimenti di lotta per la casa Firenze

 

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