Il Giro d’Italia parte da Belfast in piena “Stagione delle Marce”
Quello del 2014 sarà un Giro d’Italia all’insegna del ricordo del “Pirata” Pantani ma, probabilmente, non solo. I 10 anni dalla morte di un campione (in)discusso, protagonista e vittima di una delle più classiche storie italiane, potrebbero passare addirittura in sordina nei primi giorni di maggio, quando il Giro partirà dalla tormentata città di Belfast.
La tiepida estate della capitale dell’Irlanda del Nord si fa spesso incandescente a ridosso del 12 luglio quando la popolazione lealista, frangia estrema della comunità protestante unionista, si prepara a festeggiare, con parate per le vie dei maggiori centri urbani, la vittoria di Guglielmo d’Orange, re protestante d’Inghilterra, sul deposto re cattolico Giacomo II. Era, appunto, il 12 luglio 1690 e l’esito di quella che fu denominata “La battaglia del Boyne” sancì il definitivo fallimento dei tentativi cattolici di riprendersi il regno d’Inghilterra. Al di là del contesto religioso, la vittoria di Guglielmo dette definitivamente legittimazione alle discriminazioni perpetrate dall’impero britannico e dai protestanti nei confronti dei cattolici in Irlanda fino, almeno, al 1998.
In special modo ai giorni nostri, i festeggiamenti lealisti, guidati dalle logge dell’Ordine d’Orange, sono un pretesto che certa popolazione protestante carpisce per marcare una presunta potestà nei confronti di questo lembo di terra nel nord-est dell’Irlanda, abbandonandosi a provocazioni di ogni tipo nei confronti della comunità cattolica, che in quei giorni rivive l’incubo della ghettizzazione e dei pogrom ( vedi i quasi rituali tentativi di sfondamento lealista in Short Strand, Belfast).
Il Giro si inserisce in realtà nel bel mezzo di quel periodo che, sebbene l’incandescenza del luglio sia ancora abbastanza lontana, viene nominato marching season. La “Stagione delle Marce” inizia infatti in aprile e termina intorno alla fine di agosto, districandosi con un’intensità parabolica che trova, come già suggerito, il suo culmine nel 12 luglio.
Tenuto conto di questa infausta contemporaneità con il contesto della conflittualità di questo paese, esistono in realtà ulteriori punti di non poca importanza per valutare l’esplosività della situazione in cui la manifestazione ciclistica viene ad inserirsi.
Sebbene la “Stagione delle Marce” abbia fin dal Good Friday Agreement del 1998 – storico accordo di “pace” siglato dalla maggioranza delle due comunità in lotta – rappresentato un rigurgito della violenza dei Troubles, con la decisione del 3 dicembre 2012, concernente la limitazione in alcuni edifici pubblici – tra cui la rappresentativa City Hall di Belfast – dell’esposizione della Union Jack, la conflittualità della frangia lealista si è acuita, sfogando tutto il proprio disagio – e il proprio settarismo – , appunto, nella marcia del 12 luglio.
All’esacerbarsi della rabbia lealista si aggiunge, la scorsa estate, la decisione della Commissione Parate di vietare, durante il The Twefth, ad una marcia di “ritorno” – quelle più pericolose perché l’alcol, l’adrenalina e quindi l’odio hanno lavorato più a lungo – di passare attraverso il tratto cattolico repubblicano di Ardoyne (West Belfast), dove spesso ad attendere i passanti ci sono i comitati di protesta dei cittadini residenti. Già affranti dalla decisione del 3 dicembre 2012, dopo questo diniego la paura lealista di perdere i privilegi secolari è diventata una vera e propria paranoia, tanto da sentirsi in dovere di installare immediatamente un “Civil Rights Camp” a Twaddell in North Belfast. La paranoia attestata dal “Camp”, tuttora “attivo” con un paio di roulotte, si concretizza nel paradossale circolo vizioso in cui la parte lealista, settaria, xenofoba, violenta, razzista, della comunità protestante si trova a chiedere il rispetto dei diritti civili (!?) nonostante – ironia della storia – la scintilla dei Troubles fu proprio la strenua e violenta opposizione del “Reverendo” Ian Paisley contro l’operato della Northern Ireland civil rights association sul finire degli anni ’60.
In virtù di questo sentimento di subalternità culturale, esacerbato da una demografia cattolica in continuo aumento, ogni sabato si tengono manifestazioni – 15 o 20 persone, per dir la verità – con i drappi tipici del pantheon lealista – Union Jack, bandiera del Nord Irlanda, croce di San Giorgio e qualche bandiera di flute bands.
Al di là dei numeri bassi di partecipazione in questo periodo dell’anno, normalmente basta il solo giungere della primavera, quindi dell’incipiente profumo della “Stagione delle Marce”, perché l’attività di questi gruppuscoli riesca a coinvolgere diverse centinaia di persone, in un crescendo fino a luglio.
Ho detto “normalmente” perché il Giro d’Italia non è una manifestazione ordinaria, i riflettori europei – ma anche britannici – qua sono rimasti storicamente colpevolmente spenti, e, quindi, l’evento offre un’occasione prelibata alla paranoia lealista per chiedere visibilità e legittimazione ad un pubblico più ampio.
In realtà, c’è un’altro e determinante motivo per il quale l’avverbio “normalmente” calza a pennello. Qualche settimana fa Anna Lo, membro dell’Assemblea nelle fila del partito liberal, Alliance Party – attivo nella lotta per i diritti umani e contro il settarismo -, aveva avanzato l’ipotesi di chiedere la rimozione delle bandiere e dei murales dei gruppi paramilitari lealisti lungo il tragitto della prima tappa del Giro. La prima giornata della manifestazione, infatti, prevede una crono che si dipana per intero nel cuore della città di Belfast e che, con buona pace della parte cattolico repubblicana, vede come protagonista principale la Newtownards Road, arteria stradale della East Belfast, roccaforte della working class protestante e della frangia più estrema e settaria – se si eccettua la Shankill Road a Ovest – del lealismo. Come tale, la Newtownards Road si svolge in un crescendo di Union Jack e bandiere della UVF (il gruppo paramilitare, Ulster Volunteer Force) attaccate ai lampioni e deborda in un susseguirsi di murales raffiguranti paramilitari (UDA, UVF, UFF) con fucili spianati che celebrano la violenza dei Troubles, l’orgoglio e l’onore dell’essere cittadino di un Impero e la potestà esclusivamente protestante di questa terra. Questo mosaico di traumi, violenza, nazionalismo, settarismo, fanno della Newtownards Road la più agghiacciante, dopo il Peace Wall, testimonianza visiva della divisione acrimoniosa della città.
Inutile dire che le dichiarazioni di Anna Lo abbiano suscitato un risentimento dell’intera comunità e che dagli insulti razzisti, per le sue origini cinesi, si sia passati alle minacce di morte, di cui il rappresentante per South Belfast dell’Alliance, a dire il vero, sembra essere una collezionatrice.
Da un’angolazione, ovviamente, opposta a quella lealista è innegabile che il tentativo di nascondere sotto il tappeto una conflittualità ancora aperta sia un errore madornale e che, come abbiamo visto, la sola apertura del dibattito dia luogo al rinfocolarsi della violenza, condita dal sempre becero razzismo di una working class suddita non solo al capitale ma, più preoccupantemente, ad una sottocultura settaria, xenofoba, suprematista che la condanna irrimediabilmente alla minorità.
In questo contesto potrebbero sfumare i bei ricordi del “Pirata” alla conquista dei paradisiaci tetti d’Europa. Le imprese incredibili dell’anti-eroe – per l’ipocrita perbenismo nazional popolare -, di un mito umanamente fragile fino alla dipendenza, potrebbero essere, insomma, offuscate dagli ennesimi rigurgiti suprematisti di una comunità fuori dalla realtà.
da Senza Soste
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