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“Server is too busy”! AGCOM travolta dalla protesta in rete

“Se il titolare dei diritti di un contenuto audiovisivo dovesse riscontrare una violazione di copyright su un qualunque sito (senza distinzione tra portali, banche dati, siti privati, blog, a scopo di lucro o meno) può chiederne la rimozione al gestore. Che, «se la richiesta apparisse fondata», avrebbe 48 ore di tempo dalla ricezione per adempiere. CINQUE GIORNI PER IL CONTRADDITTORIO. Se ciò non dovesse avvenire, il richiedente potrebbe, secondo la delibera ancora in bozza, rivolgersi all’Authority che «effettuerebbe una breve verifica in contraddittorio con le parti da concludere entro cinque giorni», comunicandone l’avvio al gestore del sito o del servizio di hosting. E in caso di esito negativo, l’Agcom potrebbe disporre la rimozione dei contenuti. Per i siti esteri, «in casi estremi e previo contraddittorio», è prevista «l’inibizione del nome del sito web», prosegue l’allegato B della delibera, «ovvero dell’indirizzo Ip, analogamente a quanto già avviene per i casi di offerta, attraverso la rete telematica, di giochi, lotterie, scommesse o concorsi in assenza di autorizzazione, o ancora per i casi di pedopornografia”. 

Un ennesimo attacco ai diritti dei netizens, il cui rapido tentativo di implementazione nasconde la paura delle vecchie lobby dell’audiovisivo e della cricca politico-mediale al potere di vedere logorarsi la propria presa sulla produzione culturale e del consenso; in un momento storico in cui è forte il ruolo della rete come ambiente e catalizzatore di lotta politica, così come le domande di accesso ai contenuti digitali e di libera circolazione dell’informazione. E il fatto che si sia giocata la carta istituzionale di Corrado Calabrò (autentico dinosauro dell’amministrazione pubblica, dal 2005 sulla poltronissima dell’AGCOM) davanti alla debolezza dell’esecutivo ed alla difficoltà di far passare la manovra con i consueti strumenti del decreto legge (Pisanu e Gentiloni docet) è significativo in questo senso.

Pur nella sua gravità e nel suo portato innovativo (in negativo), questo tallone liberticida non va tuttavia unicamente letto come un assist ai totem berlusconiani del Governo e di Mediaset, ma si inserisce nel più ampio quadro delle strategie europee di governance di internet. Che, come abbiamo rilevato parlando dell’E-G8 di Parigi, vedono i paesi europei scontare ritardi notevoli rispetto a Stati Uniti e Cina in termini di infrastrutture, integrazione e sviluppo dei propri competitor dell’economia digitale; a cui si cerca di rimediare con tutto un apparato legale reazionario e protezionista a scapito degli utenti e al servizio delle grandi major del vecchio continente.

E’ il caso della dottrina sarkozista dell’HADOPI che prevede la disconnessione permanente da internet dell’utente reo di scaricare fino a tre volte materiale protetto da copyright; ma soprattutto della “Ley Sinde” del governo socialista spagnolo. Una normativa proposta lo scorso dicembre dall’omonima ministra della Cultura, volta a porre la liceità rispetto al copyright dei contenuti in rete sotto il controllo di un’apposita commissione creata in seno al ministero (con la partecipazione della SGAE, la SIAE spagnola, e di altri rappresentanti degli autori) ed in ciò molto simile alla sua controparte italiana. Ma che alla prova dei fatti ha trovato la forte opposizione di una determinata campagna popolare, riuscendo a passare a febbraio solo grazie alla collusione dei due maggiori partiti, il PSOE ed il PP. In quell’occasione fece la sua parte anche Anonymous: gli attivisti nascosti dietro alla maschera di V furono in grado, attraverso le due fasi dell’Operation Ley Sinde contro i siti del Ministero, del Parlamento, della SGAE, del PSOE e del PP, di catalizzare un’ampia attenzione attorno ai temi della proposta di legge; finendo così per unire le proprie rivendicazioni a quelle di una piazza antipartitica rivelatasi poi in grado di precorrere e confluire nel movimento della Democracia Real Ya!, poi ribattezzato come “Indignados”.

E’ così da segnalare come nemmeno questa volta gli Anonymous si siano risparmiati; sotto l’hashtag #nowebcensure – con cui su Twitter si sta diffondendo l’opposizione a iniziative censorie come quella dell’AGCOM e quelle operate da esponenti politici contro i siti di informazione No Tav – è stata lanciata martedì l’Operation Italian Internet Freedom: un bombardamento che ha messo in ginocchio il sito dell’AGCOM, ormai irragiungibile da oltre 24 ore.

La battaglia tuttavia non è ancora finita. Da una parte la protesta ha incassato la solidarietà dei clicktivist di Avaaz e quella pelosa de La Repubblica, che per l’occasione ha riesumato la campagna contro la legge bavaglio; dall’altra si sono registrati inquietanti attacchi a siti quali sitononraggiungibile.e-policy.it – uno dei principali punti di sensibilizzazione e divulgazione in rete riguardo alle tematiche della delibera 668/2010 – reso inagibile da sconosciuti. In attesa delle prossime mosse dei contendenti la fatidica data si avvicina; e la possibilità di usare questa scadenza per rilanciare le lotte, dentro e fuori la rete, è tutta da sperimentare.

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