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Isolare i Violanti

Lo abbiamo chiamato da tempo il Partito di Repubblica, e non sbagliavamo. Ma attenzione, non si tratta di un nuovo partito, bensì di un partito nuovo, capace di interpretare la crisi irreversibile della rappresentanza e l’esaurimento definitivo proprio della forma-partito. Come le imprese del capitalismo cognitivo, così il Partito di Repubblica (d’ora in avanti PdR) non pretende di rappresentare, a monte, soggetti o blocchi sociali definiti: agisce invece a valle, catturando passioni e comportamenti, interpretandoli per produrre opinione pubblica e darne dunque, artificialmente, forma organizzata. Lo abbiamo visto con il movimento studentesco e universitario in autunno, disincarnato e astratto nell’icona del bravo giovane di XL, che ama i libri e la Cultura, indignato con Berlusconi ma non con il sistema di cui é parte integrante, tifoso della costituzione formale e non certo protagonista sovversivo della costituzione materiale, difensore del pubblico e perciò estraneo al comune, un po’ ribelle anagraficamente ma mai rivoluzionario. E poi sono venute le “donne”, ridotte a categoria sociologica e morale che identifica tutte coloro che se la prendono indistintamente con le corrotte e i corruttori, con le nipoti di Mubarak e il bunga bunga, e non certo con i rapporti di sfruttamento e precarizzazione in cui tutto ciò avviene. Ancora, i referendum: ignorati dal PdR fino alle elezioni amministrative, sono diventati nell’ultimo mese oggetto di una frenetica mobilitazione all’insegna del “vento che cambia”.

Poco conta, dunque, il contenuto specifico: il problema della forma-PdR é usare i movimenti sociali per accumulare opinione pubblica. Non si tratta più, o almeno non solo, di una funzione sostitutiva rispetto al PD, ma di un processo in buona misura inedito. In questo quadro, la rappresentanza é sempre ex post e basata sull’astrazione identitaria: dopo il 14 dicembre il repubblichino Saviano parla a nome dei giovani della sua generazione non solo per condannare i protagonisti degli scontri di Piazza del Popolo, ma per espellerli dalla categoria di giovani di cui lui si é nominato interprete e custode. E ora vediamo lo stesso meccanismo all’opera in Val Susa. Il PdR, ovviamente, é sempre stato favorevole alla Tav, e tuttavia – dimostrando in ciò indipendenza di azione e progetto rispetto al PD – ha colto nella grande mobilitazione che vi si oppone una possibilità. Ma certo, condizione di ciò era che i No Tav accettassero il ruolo di opinione pubblica anti-berlusconiana e preoccupata per un generico bene comune, o tutt’al più di vittime passive dei gas CS di Maroni. É il PdR a dettare la linea informativa ai media, poi ripresa da tutti indistintamente, dal TG1 minzoliniano fino al TG3 di sinistra, passando per i servizi da camera di Fede e dintorni: c’é un corteo pacifico e, calati da chissà dove, alcune centinaia di “professionisti della rivolta” (infelice espressione proferita da uno studente turbato all’indomani del 14 dicembre, non a caso sulle pagine di Repubblica).

Ma quello che per il PdR é la prova inconfutabile della presenza di guerriglieri alieni calati sulla Val Susa per esercitare la loro misteriosa professione (di volta in volta definita anarco-insurrezionalismo, black bloc, no-global ecc.), cioè il fatto che c’erano molte persone provenienti “da fuori”, da altre regioni o paesi (come se l’appello della manifestazione non fosse da subito stato nazionale e transterritoriale), é in realtà la prova più concreta della forza della lotta contro la Tav. Non c’é oggi un fuori rispetto alla Val Susa, perché quella é oggi una lotta divenuta comune, per il comune. Il comune non è un settore o qualcosa che appartenga a un’esclusiva territoriale o alla natura: é ciò che viene costruito dalla cooperazione e nelle lotte, è oggi un desiderio e una pratica divenuti di massa. Lo straordinario movimento No Tav é animato dallo stesso desiderio e dalle stesse pratiche che animano la rivoluzione in Nord Africa, le acampadas spagnole o l’insorgenza in Grecia. Per questo la Val Susa é diventata una lotta generale, il campo di battaglia di tutte e tutti. Laddove governo e opposizione volevano condurre la guerra e risolvere una volta per tutte il problema, il movimento No Tav ha imposto la propria temporalità, cioe’ il passaggio – sia detto in termini concettuali e non letterali – a una guerriglia costituente.

Non c’é, allora, soluzione di continuita’ tra la vittoria nei referendum e la grande giornata del 3 luglio, tra le grandi manifestazioni e il condiviso esercizio della forza. Celebrare i primi contro i secondi significa non solo essere in malafede, ma condurre una precisa operazione politica. Quando dicevamo che Saviano è la continuazione di XL con altri mezzi, ci riferivamo esattamente a questo. L’incontro di alcuni studenti con Napolitano è stato usato come occasione per ricomporre un’astratta icona utile a espellere piazza del Popolo dai propri confini. Per spaccare cioè l’unità di un movimento, allo stesso modo in cui oggi si affida addirittura alla Questura di Torino il compito di affermare che “I violenti non hanno nulla a che fare con il movimento No Tav”! Insomma, il PdR non è necessariamente avverso ai movimenti, che possono sempre essere trasformati in opinione pubblica in quanto soggetto disincarnato, ma è certamente nemico del comune. Chi non l’ha capito allora, speriamo se ne renda conto adesso.

Il movimento in Val Susa e le compagne e compagni che da anni vi sono interni (perche” il 3 luglio é impensabile senza un lungo processo di costruzione e sedimentazione) ci insegnano come è possibile trasformare una mobilitazione sui beni comuni, cioè sul pubblico, in organizzazione del comune. Dalla mobilitazione contro la Tav alla libera repubblica della Maddalena. È un’indicazione decisiva per tutti.

Ps: Mi sia consentita, per la prima e spero ultima volta in vita mia, una nota di carattere personale. Appena é cominciata la battaglia in Val Susa ho avuto la sventura di leggere le dichiarazioni – più urticanti dei gas CS – di Stefano Esposito, deputato del Partito Democratico e – come molti suoi colleghi, in particolare della scuola torinese dei Violante e dei Caselli – aspirante pm e poliziotto. L’onorevole Esposito, così si dice, fa nomi e cognomi di quelli che lui ritiene preventivamente i colpevoli di tutto quello che sarebbe successo, esprimendo in modo altrettanto preventivo la propria solidarietà ontologica alle forze dell’ordine. Lo ricordo bene, Esposito, quando negli anni Novanta coltivava questa sua passione poliziesca per farne una carriera all’Università’ di Torino, quando organizzava i servizi d’ordine per difendere il ministro D’Alema che aveva appena contribuito ad affondare un barcone di migranti al largo di Otranto, oppure insieme alla Questura minacciava preventivamente gli studenti che volevano contestare il ministro Berlinguer, quello del famigerato 3+2 e – per usare le parole che tanto piacciono al PdR – della vera distruzione dell’università’, rispetto a cui la Gelmini non é altro che una diversamente inabile. Allora, ricordando quella giovane carriera in erba e i suoi effetti recenti, confesso una grave responsabilità di fronte alle presenti e future generazioni, offrendomi fin d’ora disponibile a riparare alla mia colpa: certe figure vanno proprio isolate, prima che sia troppo tardi.

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