InfoAut
Immagine di copertina per il post

Il blocco alla Mirafiori

||||
||||

Pubblichiamo questo documento perché ci sembra essenziale per capire cosa è avvenuto alla Fiat e cosa significa per la classe operaia italiana.

Il testo è il risultato di registrazioni effettuate il 31 marzo 1973 con operai che sono stati protagonisti della lotta. È stato realizzato dal «Centro di Documentazione di Torino» che lo ha diffuso con un ciclostilato che riproduciamo qui integralmente. I titoletti sono della redazione.

L’INIZIO DELLA LOTTA

Abbiamo cominciato in tono minore, in un modo inferiore al ’69 con scioperi limitati e anche un numero di ore inferiore al ’69. I sindacati tenevano gli operai per le briglie per non farli andare troppo forte. Si pensava che era una strategia, una tattica per piegare il padrone. Si è andati avanti così, finché si mordeva proprio il freno. Poi ci sono stati quegli episodi in cui si è saltati fuori dalle ore sindacali, cioè si sono aumentate le ore.

Poi ci sono stati gli scioperi articolati che non sono serviti ad unire gli operai. Si sono cioè divisi settori per settori, fabbriche per fabbriche, lavorazione per lavorazione, senza che la lotta risultasse più incisiva, e in questo modo si frustravano gli operai.

Il corteo, invece, dava uno spazio immenso, dava la possibilità agli operai di incontrarsi, di vedersi, di contarsi; lo sciopero articolato, come veniva fatto, non dava la possibilità di sapere chi scioperava dall’altra parte del muro, se scioperavano, se c’erano i crumiri; non ci legavamo per niente.

Questa cosa è andata avanti per un po’ ed è da notare che quando c’era il Consiglio di fabbrica e tutte le volte che si chiedeva agli operai se questa forma di lotta era giusta o sbagliata, sempre gli operai rispondevano che non era giusta, perché era una lotta che non gli dava nessuna carica di niente.

Se fatti bene gli scioperi articolati avrebbero colpito di più il padrone, ma questo non avveniva; allora gli operai sono tornati ad una lotta che li univa di più.

Intanto gli operai scoprivano tutti gli impedimenti che venivano dalla burocrazia che si ripercuotevano poi nel consiglio di fabbrica.

Nel mese di marzo si voleva andare in corso Marconi, e non ci siamo andati perché c’erano i cordoni sindacali che non ce lo hanno permesso, anche se gli operai gridavano: «Corso Marconi! Corso Marconi!».

Poi c’è stato il tentativo, non riuscito, di andare alla Fiat Motori Avio. Lì trovavano dei pretesti per dire che l’Avio era lontana ed era impossibile arrivarci, si diceva che all’Avio non c’era più nessuno. Il sindacato all’Avio diceva che noi non avevamo voglia di andare, e a noi diceva che all’Avio non c’era più nessuno. Così si scompaginavano le file e questo pesava. Puoi fregare gli operai una volta, ti può passare franca due, tre, quattro volte, poi alla fine anche il più spoliticizzato dice: «Qui mi state prendendo in giro! ».

Si è così arrivati a un punto in cui si facevano scioperi dove c’erano solo le avanguardie che facevano i cortei. Gli operai alla Mirafiori scioperavano compatti, tutti però con un senso di rilassamento. Sembrava che ci fosse una caduta, invece si capiva che c’era qualcosa che non funzionava, che era il modo di portare avanti la lotta che non pagava, non dava sbocchi. Era inutile prendere la parola nelle assemblee, perché passavamo per avventuristi completi.

UN’ASSEMBLEA IMPORTANTE

Un giorno è capitata un’assemblea, un’assemblea non di quelle grosse, pubblicitarie, in cui parla il bonzo per tre ore e gli altri dicono tutto in 5 minuti, ma dove gli operai si fermano, salgono sui tavoli e incominciano a parlare. E si è detto che si andava male, si andava contro un muro di silenzio, di sfiducia: bisognava cambiar sistema. Altri compagni cominciano a fare il discorso della pulizia interna, cioè a dire che bisognava cominciare a chiarificare bene chi erano quelli che guidavano gli operai, chi erano i rappresentanti effettivi degli operai. Si parlava di una serie di delegati che non ci sono mai, una serie di delegati che conosciamo. Tanto è vero che si era anche proposto un comitato di lotta che scavalcasse anche il consiglio di fabbrica, che si era burocratizzato, cioè una rivoluzione culturale nei confronti del consiglio di fabbrica. È 5 mesi che lottiamo, ormai sappiamo chi è che ci guida, sappiamo chi sono i compagni di cui ci dobbiamo fidare, sappiamo chi sono i compagni che hanno tirato le lotte, a prescindere e siano delegati o no. Conosciamo un mucchio di gente che non sono delegati e cosa ce ne importa? Sono compagni con cui ci mettiamo d’accordo: «io parto di lì, tu parti di là, lui va a prendere quelli, l’altro parla con quegli altri, ecc…».

Noi non sappiamo chi sono, sono operai che nei 5 mesi di lotta sono alla testa.

Si stringono dei rapporti, immediati, di lotta, politici.

« SOTTO STIAMO FACENDO I CORTEI»

Abbiamo deciso di cambiare sistema di lotta. Un giorno c’era il consiglio di fabbrica interno e si è proposto di andare tutti al consiglio di fabbrica, per controllarlo, per vedere cosa c’è da cambiare. Si diceva:

«Ci alziamo e buttiamo fuori quelli che non servono» e via dicendo.

Si fa girare la voce per questo, lo si dice a tutti, perché il consiglio di fabbrica alla Mirafiori è una cosa che nessuno più sa che esiste, è una cosa staccata, burocratica: decidono tre ore, due ore, un’ora e nessuno sa perché. Siamo andati e a un certo punto vengono degli operai e dicono: «che cosa fate qua? di sotto gli operai stanno scioperando».

Di sotto gli operai scioperavano: era la rottura, proprio fra quelli che dirigono le lotte e quelli che invece le fanno.

Tanto è vero che poi arrivano altri operai e dicono: «ma cosa fate? Sotto stiamo facendo i cortei».

Dopo un po’ abbiamo sentito un boato enorme, è arrivato il corteo al consiglio. Battevano sui tamburi arrivando tutti incolonnati. Così qualcuno del consiglio ha fatto l’atto di andarsene, dicendo: «adesso ci picchiano».

Alcuni operai del corteo hanno preso la parola e hanno detto «basta» e si capiva che i tempi erano maturi per dare delle indicazioni diverse.

SI COMINCIA A PARLARE DI BLOCCO

È stato nel corso di un’assemblea durante lo sciopero di giovedì 23 marzo che per la prima volta si comincia a parlare di blocco merci.

Già gli operai dell’OFF. 89 (spedizioni) avevano buttato lì la proposta: «sarebbe bello fare il blocco merci», ma non avevano nessuna forza di farlo, perché l’officina è piccola, dispersa e non tutti scioperavano.

Andando in carrozzeria con gli altri in corteo l’idea ha preso corpo: «sarebbe bellissimo bloccare le merci, cioè la porta carraia (porta 11)».

In carrozzeria il blocco merci è stato accettato da tutti quelli che partecipavano al corteo (si era di pomeriggio, in un refettorio ed è lì che la cosa è stata decisa).

Si prendono dei contatti in tutte le carrozzerie, poi andiamo anche alla meccanica e informiamo i compagni della porta 18 e gli diciamo: «guardate, noi andiamo alla porta 11, troviamoci tutti lì, voi fate il giro di fuori, noi arriviamo da dentro e ci troviamo lì ». Dei compagni avevano già allora accolto la proposta.

Lunedì 26 facciamo il corteo e andiamo verso la 11. Come arriviamo alla 11 vediamo che i compagni della meccanica stavano arrivando da fuori: c’è stato un congiungimento. Abbiamo chiesto la chiave ai sorveglianti che non ce l’hanno data. Allora si è sfondato il cancello, i lucchetti sono saltati a colpi di martello e il cancello ha ceduto, i sorveglianti sono scappati. A questo punto c’è stato un po’ di sbandamento perché una parte voleva andare in carrozzeria a vedere se c’erano dei crumiri, una parte voleva stare li e abbiamo deciso di restare alla 11.

Un compagno prende la parola su un monticello di erbe e di sassi e dà alcune indicazioni e cioè: quelli della carrozzeria bloccano il cancello 11 e zero. Si parla del contratto e c’è un battibecco fra gli operai delle carrozzerie e alcuni delegati delle meccaniche. Gli operai delle carrozzerie dicono: per il contratto 5 livelli come si è deciso a Genova; mentre i delegati delle meccaniche dicono che 8 livelli vanno bene.

Il blocco ai cancelli dura un’ora o poco più, cioè la durata dello sciopero e si vedono già le file dei camion fermi.

Poi si è anche stabilito con gli operai della meccanica che per un giorno noi saremmo andati da loro e il giorno successivo loro sarebbero venuti da noi, per avere sempre un contatto continuo e uno scambio. Infine per la carrozzeria si decide che il luogo di riunione degli operai è il cancello 11: «convochiamoci sempre qua e poi decidiamo cosa bisogna fare». Anche questa è stata una proposta soltanto lanciata, e a volte succede che solo una proposta su mille è quella giusta.

L’indomani (martedì 27) lo sciopero era alle 15,30. Quelli delle carrozzerie avevano già cominciato alle 14,30, perché la FIAT aveva messo «in libertà una parte di operai dopo uno sciopero improvviso. Gli operai che non vanno a casa, vanno al piazzale, così quando gli operai della spedizione escono fuori dall’officina, vedo no che il piazzale è già bloccato. Avevano messo dei bidoni in mezzo alla strada, la lotta aveva preso piede, era sentita. Andiamo in giro coi megafoni e diciamo: «piuttosto che bloccare una strada, andiamo alla 11 dove confluiscono diverse strade e blocchiamo direttamente». Dalla 11 poi si va a bloccare la porta zero e la porta 10, in via Settembrini, che si trova proprio in faccia alla Meccanica. Dalla 10 si partiva poi per andare a fare assemblea alla Meccanica e si ribadiva la forma di lotta che avevamo scelto, si informavano gli operai della meccanica, si diceva che questa lotta cominciava ad andare bene, che gli operai erano soddisfatti di farla.

Così c’era uno scambio continuo e si vedeva che anche in Meccanica c’era un fermento terribile, anche se veniva bloccato dal PCI col discorso di non dare retta agli avventuristi. Il blocco a questi tre cancelli dura tutto il pomeriggio di martedì, fino alle 11.

Quel giorno avevamo deciso di parlare con tutti gli operai, così andiamo nei refettori, passiamo tavolo per tavolo, spiegando la forma di lotta nuova, sentendo cosa dicono tutti. Spiegavamo che c’erano le file di camion ferme, che facendo così bloccavamo tutto e soffocava ma la FIAT. Tutti capivano e si diceva: «facciamo i compagni e adesso, finito di mangiare andiamo a dare il cambio agli altri compagni che stanno bloccando i cancelli». Qualcuno diceva anche di andare avanti tutta la notte. Siamo andati anche ai refettori della Meccanica e tornando vedevamo dei compagni della Meccanica che si cambiavano e ci chiedevano: «dov’è la zero?». Invece di andare a casa andavano alle porte bloccate. Alle 11 ci siamo ritrovati alla porta zero e abbiamo parlato a lungo, con l’impegno di continuare il giorno dopo, magari correggendo il tiro, darsi i cambi con quelli della meccanica alle porte bloccate.

IL BLOCCO TOTALE

Non c’era ancora l’idea del blocco totale e nessuno pensava ancora che la bomba fosse così grossa. Intanto i sindacati continuavano a diffondere i volantini con due ore di sciopero, come se niente fosse successo. Il mercoledì continua il blocco sulle tre porte e intanto si comincia a parlare di bloccare tutte le porte della Nord. Il giovedì mattina il sindacato ha dichiarato 2 ore di sciopero. Gli operai cominciano, fanno i cortei, e in mattinata tutte e dodici le porte della Mirafiori Nord vengono bloccate. Sono ormai i picchetti il luogo dove si decide, si staccano le biciclette dalle rastrelliere e ci si tiene in contatto in questo modo, si organizzano le staffette tra un cancello e l’altro. L’organizzazione è nata da compagni che non si conoscevano, cioè si riconoscevano soltanto perché si sono sempre visti nella lotta. E ognuno si è preso la sua responsabilità, chi si è preso una porta, chi se ne è presa un’altra. Le staffette arrivavano e chiedevano: «Voi andate bene a gente? Ne volete di più? Vi manca qualcuno? Lo facciamo venire». E il cambio funzionava anche quando si doveva andare a mangiare, si facevano dei turni.

All’inizio il punto dolente per gli operai è il cancello 11 e poi la porta zero e la 10.

Al secondo turno di giovedì la situazione è ancora migliore e si rifanno i picchetti. Impiegati, dirigenti della Mirafiori Nord e Palazzina, restano fuori dai cancelli. Il sindacato, il PCI e anche diversi delegati brillano per la propria assenza, sono spariti, emarginati dalla piega che ha preso la lotta. Facendo i giri nei refettori avevamo trovato due o tre di questi delegati che giocavano alle carte. Abbiamo deciso un’assemblea per le 5, e l’abbiamo detto apertamente di fare una pulizia radicale, ribadendo il concetto di smetterla con queste forme di impostura, di gente che conta soltanto nei consigli per alzare il dito e per far spostare l’asse della situazione in un senso che non c’entra per niente con la direzione che vogliono prendere gli operai. Ne abbiamo trovati in refettorio a giocare a carte, quindi quelli non contano, quelli sono da prendere a calci.

È nata un’organizzazione autonoma e si è parlato nell’assemblea: «Mettiamoci d’accordo, ci vogliono compagni responsabili della porta, che siano rappresentativi della porta, non ci interessa se sono delegati o che non lo siano. Però che siano qualcuno e che gli operai facciano riferimento a loro. Ma nei picchetti, davanti alle porte, siamo tutti uguali, ci sono delle cose da fare e allora ci sono dei responsabili. Per esempio, telefoniamo alla porta 9 e risponde il guardione e diciamo: «Mi dia uno del picchetto»; il guardione fa: «Uno del picchetto» e viene il responsabile. Salta fuori così, perché è lui. Gli operai dicono: «Ooh, va un po’ a rispondere». Si sono creati di fatto i responsabili, non è stato un fatto burocratico, come quando ci sono le elezioni e si creano i responsabili. Generalmente per le comunicazioni si è in due, uno in bicicletta va a fare i giri e l’altro risponde al telefono. Ma non è il fatto che gli operai hanno delegato tutto ai primi della classe, è lui, parla al telefono meglio di noi, però lo sappiamo tutti quello che dice e come sono le cose. E allora abbiamo deciso che cosa bisognava fare, se bisognava tenere tutti dentro, se bisognava lasciar uscire le donne, se bisognava mandare fuori i capi.

Intanto i guardioni venivano trasformati in centralinisti e rispondevano a tutte le richieste: in fabbrica funzionano soltanto i servizi operai, compresa la mensa e il caffè. Alla porta 11 un gruppo di operai ferma il traffico e inizia una raccolta di fondi: nel giro di un’ora vengono raccolte 45.000 lire. Episodi di questo tipo si moltiplicano poi davanti ad altri cancelli.

AUTONOMIA OPERAIA E RIFORMISMO

Giovedì si era anche proposto di fare una conferenza stampa per prendere di petto la situazione, (ma era troppo tardi) per far capire che la situazione è in mano agli operai. L’Unità, sabato, scrive che la situazione è in mano al sindacato; ora bisogna dire chiaro che il sindacato con questa lotta non c’entra per niente. Il PCI ha cercato di infilare qualcuno in due o tre porte, però è emarginato dl fatto. Viene a dire: «Bisognerebbe aprire» e subito c’è un operaio che dice: «Se apri la porta, ti spacco il muso».

Alla sera alle 9 si fa un’assemblea alla porta zero e si dice: «Cosa si fa?» «Si continua». Non c’è stata nemmeno una esitazione ed è da notare che brillava nuovamente l’assenza del PCI. C’erano, ma in un angolo. Restavano passivi e aspettavano il momento di recuperare.

Anche in Meccanica la situazione comincia a cambiare. Per giovedì sono dichiarate 3 ore di sciopero, gli operai decidono di prolungarlo fino alla fine del turno.

Dalle Carrozzerie andiamo al cancello della 18; qui gli operai fanno salire su un bidone un compagno delle Carrozzerie per spiegare la situazione delle Carrozzerie. Perché in Meccanica i responsabili sindacali dicevano agli operai: «In Carrozzeria gli operai fanno casino, vogliamo fare anche noi casino come là?». Ma fra noi e la Meccanica ci divide solo una strada, una strada che

è stata tante volte attraversata dagli operai in questi giorni. Abbiamo chiesto un megafono per parlare e non ce l’hanno dato, per questo abbiamo dovuto sgolarci. Alla proposta di estendere il blocco anche alla Meccanica i responsabili sindacali della Meccanica dicevano: «Siete pazzi? Se facciamo il blocco domani, domani non ci pagano» (venerdì 30 è giorno di busta paga). La risposta degli operai delle Carrozzerie a questa domanda c’era già stata: domani si tengono fuori tutti gli impiegati tranne quelli della manodopera e poi vediamo se la Fiat non paga.

Tuttavia in Meccanica, anche se gli operai avevano deciso di continuare lo sciopero fino alle 11, i sindacati lo vogliono impedire. Ci sono scontri e si arriva anche alle vie di fatto per fare lavorare gli operai e per tenere la frana che scappava di mano. Giovedì sera in diverse officine della Meccanica si riprende il lavoro, mentre una parte di operai esce ed un gruppo ritorna davanti al cancello 11. Qui si fa la riunione. All’indomani esplode anche la Meccanica e nessuno più riesce a fermarla.

Venerdì mattina le porte della Mirafiori Nord vengono occupate pochi minuti dopo che gli operai sono entrati. Il tempo di cambiarsi, di rientrare e di andare alle rispettive porte: i cancelli vengono chiusi, la palazzina è bloccata. I picchetti hanno deciso: per entrare ci vuole il tesserino Fiat, il picchetto controlla; non entrano elementi non desiderati, gli impiegati, tranne gli addetti alle paghe, tutti i dirigenti, mentre vengono fatti entrare i lavoratori del servizio mensa. Questo controllo funziona alla perfezione.

(La sera precedente la Fiat aveva comunicato che non assicurava il pagamento della busta; ma già ne «La Stampa» di venerdì mattina aveva cambiato idea).

Intanto il blocco si è esteso venerdì all’inizio del turno a tutta la Mirafiori Sud, dove i primi cancelli ad essere chiusi sono quelli delle presse: 15, 16, 17.

È da notare che per venerdì le organizzazioni sindacali ed il consiglio di fabbrica hanno dichiarato 4 ore di sciopero, aggiungendo che per la Carrozzeria lo sciopero è alternato fra macchine piccole e macchine grosse in modo che il blocco si può realizzare. Per la Meccanica non si parla di blocco. Quando in Meccanica si iniziano le 4 ore, gli operai fanno il corteo, prima all’interno e poi all’esterno, fanno il giro completo della Mirafiori Nord passando davanti ai picchetti, ai cancelli con le bandiere rosse. Tornati indietro, decidono in assemblea di prolungare lo sciopero e di bloccare i cancelli. Di conseguenza tutti i cancelli della Mirafiori vengono chiusi. Al secondo turno il blocco è totale.

Ogni ora che passa si prendono delle decisioni nuove nei picchetti: ad esempio venerdì si decide che tutte le bibite possono entrare in fabbrica, tranne il vino, per non lasciare pretesti a nessuno.

Nei confronti degli esterni ai cancelli il punto di vista dei picchetti è omogeneo: niente fotografie, niente registrazioni, questa lotta si informa da sola. Gli esterni valgono come appoggio subalterno, in molti casi utile e apprezzato dagli operai e niente di più. Giovedì e venerdì non ci sono ai cancelli né i dirigenti sindacali, né i parlamentari: in questa occasione non ci sono. Ma intanto gli operai si sentono autosufficienti. Per gli operai la cosa non è grossa, non la sentono per niente grossa.

OCCUPARE MIRAFIORI NON È IMPOSSIBILE

Se andiamo indietro nel ’68-’69 e in quel periodo avessimo proposto di occupare Mirafiori, si sarebbe detto: «è impossibile, c’è un mare di porte (32)». Stavolta, si è occupato invece in un modo che sembrava quasi un gioco da bambini. C’erano dei compagni che dicevano: «restiamo tutta la notte». Noi non abbiamo mai detto no e siamo restati anche fino all’una, ma in realtà l’opinione degli operai ai picchetti era molto pratica, cioè di bloccare quando c’è la produzione e quando non c’è andare a letto e riposarsi per riprendere il giorno dopo. A volte da una porta dopo le 11 ci telefonavano e ci dicevano: «noi siamo solo in tre, voi cosa fate?». Noi dicevamo: «venite da noi»; e così si andava avanti finché c’era gente che voleva restare. Noi non dicevamo però: «alle 11 andate via»; perché, sempre per il problema del legame ombelicale di molti operai coi funzionari sindacali, telefonavano in lega e in lega dicevano: «andate via». Noi non dicevamo le stesse cose della lega. Siano quindi loro a dare indicazione di andare via, non noi dei picchetti. In tutti questi fatti loro sono stati persone non in causa e quando qualcuno di loro si faceva vedere, gli operai dicevano: questa lotta è nostra e voi non ci siete. Ci dicevate che noi con questa lotta avremmo spompato tutti, noi spompiamo voi.

Pensate che venerdì c’erano degli operai che dicevano: se non ci danno i soldi, non li prendiamo, li prendiamo poi lunedì e in questi due giorni ci aggiustiamo. E allora chi piega questa lotta?

COSA DEVE ESSERE IL CDF

Questa è fiducia che gli operai hanno in se stessi. Noi vogliamo far vedere chiaro che rappresentanti di operai, delegati, si diventa attraverso la trafila della lotta, non si arriva per una serie di raggiri politici e giochetti di sezione o di lega, che ti fanno delegato nella tale officina. Devi arrivare delegato quando ti sei fatto il culo, allora gli operai ti chiedono: cosa faccio? anche se non sei delegato. Sono venuti fuori perciò degli operai che dicevano: «al prossimo consiglio interno della Mirafiori, andiamo là in 300, quelli che siamo qui che facciamo le lotte e poi: tu, tu, tu e tu, fuori dalle palle; tu, tu, tu e tu, rimettiti lì. Via quelli che non ci sono. Dobbiamo cambiare questa direzione delle lotte che poi non è direzione per niente. Perché non ci sono io che do gli ordini e tu che dai gli ordini, sono gli operai autonomamente che decidono e se c’è qualcuno di noi che dirige a questo punto è bene accetto, perché siamo noi, gli operai, che portiamo avanti l’azione».

Ci siamo detti: perché non ci abbiamo pensato prima e siamo andati avanti così in questi 5 mesi? Però siamo ancora in tempo: i padroni stanno battendo la testa contro il muro. Con la FIAT bloccata il potere temporale del padrone d’Italia viene scosso.

 da http://rosso.spazioblog.it/

Guarda “Ai cancelli della fiat“:

Ti è piaciuto questo articolo? Infoaut è un network indipendente che si basa sul lavoro volontario e militante di molte persone. Puoi darci una mano diffondendo i nostri articoli, approfondimenti e reportage ad un pubblico il più vasto possibile e supportarci iscrivendoti al nostro canale telegram, o seguendo le nostre pagine social di facebook, instagram e youtube.

pubblicato il in Storia di Classedi redazioneTag correlati:

Articoli correlati

Immagine di copertina per il post
Antifascismo & Nuove Destre

Antifa Budapest: Corteo a Roma né prigione né estradizione

Sabato 23 marzo a Roma c’è stato un corteo in solidarietà con Ilaria Salis, Gabriele e tutte le persone imputate per i fatti di Budapest. Il corteo è partito da metro Policlico, è passato nei pressi dell’ambasciata e poi è entrato nel quartiere di San Lorenzo dove si è concluso. Abbiamo raccolto diverse voci dal […]

Immagine di copertina per il post
Crisi Climatica

Un anno dopo Sainte-Soline: solidarietà, rabbia e gioia per le strade di Nantes

Un anno fa, decine di migliaia di noi hanno marciato in mezzo ai campi delle Deux-Sèvres contro i megabacini, e siamo rimasti intrappolati dalla repressione militare, intrappolati sotto il rombo delle granate sparate a migliaia.

Immagine di copertina per il post
Bisogni

Il Fentanyl e la dolorosa condizione umana

Il dilagante consumo di fentanyl negli Stati Uniti rappresenta certamente «un dramma americano», come si legge negli ultimi due anni sui quotidiani

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

In Italia stanno sbarcando molti mezzi militari americani

La denuncia dei portuali del Collettivo Autonomo dei Lavoratori Portuali (CALP) di Genova

Immagine di copertina per il post
Divise & Potere

Instagram, funzionamento e controversie delle nuove restrizioni sui contenuti politici

Da qualche giorno, probabilmente, avete notato su Instagram (e, in minor misura, anche sugli altri software di Meta) post inerenti ad una nuova limitazione, che sembra vera e propria censura, dei contenuti politici.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Bologna: dopo le cariche all’inaugurazione dell’anno accademico, occupato il rettorato

Occupato il rettorato dell’Università di Bologna. L’iniziativa si inserisce all’interno della “Israeli Genocide Week”, settimana di solidarietà e mobilitazione nelle Università contro il genocidio in corso a Gaza, promossa dai Giovani Palestinesi d’Italia.

Immagine di copertina per il post
Crisi Climatica

Il Perù volta le spalle agli accordi climatici. I soldi e le lobby vincono ancora

Il Congresso della Repubblica del Perù, con il consenso del Ministero dell’Energia e delle Miniere (Minem), ha abrogato la legge che fissava un termine per la rimozione dei minatori illegali dal REINFO, il registro ufficiale delle attività minerarie nazionali.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Argentina: Un’altra provocazione di Milei che annuncerà un indulto per i genocidi

Il presidente Javier Milei, su richiesta della sua vicepresidente Victoria Villarruel, ha deciso che il prossimo 24 marzo concederà un indulto a tutti i militari genocidi

Immagine di copertina per il post
Crisi Climatica

G7 clima, energia e ambiente: basta con i crimini ambientali, basta greenwashing, basta Tav!!!

Il 28, 29 e 30 aprile, Venaria sarà il palcoscenico del G7 dedicato all’energia, al clima e all’ambiente.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Uscita la legge europea sull’Intelligenza Artificiale: cosa va alle imprese e cosa ai lavoratori

Il 13 marzo 2024 è stato approvato l’Artificial Intelligence Act, la prima norma al mondo che fornisce una base giuridica complessiva sulle attività di produzione, sfruttamento e utilizzo dell’Intelligenza Artificiale.