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La battaglia di Lanzo

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Il mese di giugno ’44 è per le valli di Lanzo un momento di particolare afflusso di partigiani: aumentati di numero (sono ormai circa un migliaio), ma soprattutto sempre più armati, si fanno ogni giorno più audaci, e gli attacchi si spingono sempre più a valle.

Un’azione importante, tesa a dimostrare il possesso delle valli, viene progettata, così come in altre zone piemontesi, con l’intenzione di liberare la città di Lanzo, fortemente presidiata dai tedeschi.

L’attacco a Lanzo viene previsto per il giorno 26, in concomitanza con uno sciopero dell’industria cittadina: la seconda divisione impartisce le direttive del piano, che consistono, una volta stabiliti a grandi linee gli obiettivi di ogni brigata, in una certa libertà di iniziativa (“i comandi approfittino di tutte le opportunità senza attendere ordini alla militare”).

Il commissario politico Paolo si raccomanda inoltre che la mobilitazione raggiunga e coinvolga tutta la popolazione: “Dobbiamo far sentire che la nostra è la lotta di tutto il popolo italiano. L’occupazione di paesi e città deve avvenire con la solidarietà della popolazione. I comandi di brigata e in particolare i commissari politici sono i responsabili della serietà, dell’onestà e della correttezza che tutti i garibaldini devono osservare nei confronti della popolazione…”

Contemporaneamente, il vicecomandante Walter e il capo della sezione operazioni Cent diramano ordini e programmi alle singole brigate: l’11° si occuperà della difesa della città, con postazioni di mitragliatrici e sbarramenti stradali, e presidiare i vicini paesi di Cafasse, Robassomero e Fiano, ritardando il sopraggiungere di rinforzi nazifascisti, la 19° dovrà attestarsi al Col del Lys per evitare che giungano rinforzi dalla Val Susa, la 20° Braccii dovrà coprire eventuali ripiegamenti.

All’alba di lunedì 26 giugno tutte le brigate raggiungono le loro postazioni e danno inizio alla battaglia di Lanzo: l’assedio durerà undici ore, nonostante il Comando divisionale si renda conto già nelle prime ore dell’impossibilità di impadronirsi del paese, difeso da un gran volume di fuoco, e vista la mancanza di artiglieria pesante tra le file dei resistenti.

Alle 16 i distaccamenti dislocati sulla strada Ciriè- Lanzo avvertono, con alcune staffette, di non essere in grado di frenare l’avanzata dei rinforzi nemici, aperti da carri armati tigre e considerata la scarsità di munizioni. I distaccamenti ripiegano, facendo brillare le mine di sbarramento lungo il percorso, per rallentare il nemico.

Mentre le brigate sono già in via di ripiegamento, arriva finalmente dalla Val Susa un mortaio da 81, richiesto fin dal mattino; Rolandino riesce a sparare alcuni colpi, danneggiando gravemente le due caserme di Lanzo.

La battaglia di Lanzo lascia sicuramente tra i ribelli un po’ di amaro in bocca, ma anche la consapevolezza e la determinazione dell’entusiasmo provocato tra la popolazione valligiana tutta: “La popolazione di Corio, saputo dell’arrivo di forze nemiche in soccorso al presidio di Lanzo, chiedeva al comando, attraverso rappresentanti del paese, di partecipare alla battaglia e accorrere in aiuto dei garibaldini delle valli. La proposta generosa ha riempito il cuore di commozione di tutti i patrioti: non ha potuto avere esito perché mancano le armi”.

Tre i partigiani caduti durante la battaglia, Toni, commissario politico, Baldo e Clotu, partigiani dell’11°, durante il disperato tentativo di frenare l’avanzata dei panzer tedeschi con ordigni artigianali al plastico.

Il 28 giugno il comando generale della Garibaldi stilerà un rapporto di bilancio sulla giornata della battaglia di Lanzo: al di là delle mere cifre, tre morti e quindici feriti tra le fila partigiane, venti morti e una quarantina di feriti tra quelle nemiche, molto severa sarà l’analisi delle deficienze tecnico militari riscontrate, dallo spreco di munizioni, alla scarsità di collegamenti.

Nonostante le mancanze tattiche, dovute soprattutto alla evidente imparità di mezzi, la battaglia di Lanzo è sicuramente un momento politicamente molto importante nella Resistenza piemontese.

Incoraggiati dagli esempi di fede antifascista offerti dalla popolazione e in vista dell’insurrezione nazionale che si sogna vicina, un appello delle Brigate Garibaldi proclama ” Le Valli di Lanzo fanno già parte dell’Italia liberata. Ma queste valli non sono liberate per opera delle brigate garibaldine, è tutta la popolazione che contribuisce alla lotta contro l’invasore, con la sua solidarietà e versando il suo contributo di sangue: non basta comunque combattere, bisogna creare gli organismi del potere popolare, bisogna dimostrare ai fratelli italiani e agli Alleati che la popolazione delle Valli, dopo 20 anni di fascismo, non ha perduto il senso della libertà, non ha perduto la capacità di governarsi democraticamente.”

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