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I Gap in azione

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Dario Cagno nasce a Torino l’11 agosto 1899. Trascorre l’infanzia nella città natale, si trasferisce appena quattordicenne a Genova dove si imbarca su una nave mercantile, in qualità di panettiere, peregrinando per l’Europa e gli Stati Uniti.

Rimpatriato coattivamente durante gli anni della Grande Guerra va a vivere a Roma. Nel 1918, viene condannato a tre anni di reclusione per reati contro la proprietà. Amnistiato nel 1919, l’anno successivo subisce una seconda condanna a tre anni di reclusione per diserzione e furto. Rientra a Torino alla Fiat, ma dura poco viene licenziato a causa del suo temperamento ribelle e refrattario a ogni forma di disciplina, decide di arruolarsi nella legione straniera in Francia, però abbandona dopo solo un anno. Nel 1925, entra in relazione con importanti esponenti dell’emigrazione antifascista – quali Sandro Pertini, Filiberto Smorti, Francesco Cicciotti e Alceste de Ambris – e del fuoriuscitismo libertario, assumendosi l’incarico di fungere da corriere tra l’Italia e la Francia per mantenere i collegamenti tra i militanti attivi all’interno e quelli all’estero. Nel 1932 viene fermato a Ventimiglia da agenti della milizia confinaria e deferito in stato di arresto perché rimpatriato sprovvisto di passaporto. Dalla prefettura di Torino il Cagno risulta essere: “ozioso, vagabondo, proclive a commettere reati contro la proprietà, capace per i suoi sentimenti politici a commettere atti inconsulti, individuo socialmente pericoloso”. Per tutto l’anno entra e esce dalla galera cercando di espatriare. Rientra in Italia nel 1933 e viene subito arrestato. Durante questo periodo di detenzione viene denunciato da un compagno di cella che lo accusa di avergli confidato di essere venuto in Italia su incarico della Concentrazione antifascista, per preparare un attentato al Duce. Viene rilasciato nel marzo del 1934. Tradotto a Torino, è denunciato alla Commissione Provinciale che lo condanna per attività sovversiva a tre anni di confino da scontarsi a Ponza. Nel febbraio del 1935, è tra quei confinati che restituiscono la carta obbligatoria di permanenza per protestare contro i nuovi provvedimenti restrittivi adottati dalla direzione. Arrestato e denunciato al Tribunale di Napoli, viene condannato a 10 mesi di detenzione per essersi reso responsabile di contravvenzione agli obblighi di confino. La sua persistente insubordinazione e la sua ostinata tendenza ad associarsi agli elementi peggiori della Colonia, ne comportano un prolungamento del confino per altri cinque anni. Nell’ottobre del 1942 viene amnistiato. Con lo scoccare dell’8 settembre del 1943, Cagno è tra i primi a impegnarsi nell’organizzazione della lotta armata contro i nazifascisti. Sono infatti proprio lui e il giovane militante comunista Ateo Garemi fondatori del nucleo originario dei GAP torinesi, che la mattina del 25 ottobre 1943 procedono all’esecuzione di un maggiore della MVSN (milizia volontaria per la sicurezza nazionale o camice nere) freddandolo in pieno centro cittadino a colpi di rivoltella. Arrestato dopo due giorni in seguito a delazione, insieme a Garemi i due vengono processati dalla sezione di Torino del Tribunale Speciale per la difesa dello Stato, che condanna entrambi alla pena capitale quali responsabili del reato di omicidio doppiamente aggravato. All’alba del 22 dicembre nel cortile della caserma Monte Grappa, Dario Cagno e Ateo Garemi vengono fucilati da un reparto della guardia nazionale confinaria.

Domenico Giardina era un seniore (non un console) della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale.

Chi, e perché, uccise il seniore e quale ruolo ricopriva Giardina nel fascio repubblicano torinese per meritargli l’attenzione dei resistenti? Dalle fonti disponibili si apprende che Domenico Giardina era nato nel 1898 in provincia di Palermo, era reduce della Grande Guerra, della campagna d’Etiopia e del fronte greco-albanese, svolgeva una mansione burocratica (era a capo dell’Ufficio matricola e arruolamento) e fu ammazzato la mattina del 25 ottobre da tre colpi di rivoltella, in via Carlo Alberto, mentre si recava al Comando della Milizia. Gli esecutori dell’agguato risultarono essere due partigiani di spicco dei GAP (i Gruppi di Azione Patriottica) del capoluogo piemontese: il torinese Dario Cagno (un ex confinato ed espatriato durante il Ventennio) e il genovese Ateo Tommaso Garemi (già volontario nelle Brigate Internazionali in Spagna e con un passato nelle file del maquis francese), entrambi poi arrestati e condannati a morte dal Tribunale speciale. Sulle ragioni della scelta di Domenico Giardina come obiettivo vi è nonostante la mansione d’ufficio che svolgeva, il fatto che era “uno dei più crudeli tra i venduti all’oppressore tedesco” e alla volontà di disarticolare il rinascente fascio locale.

Viene messo in evidenza il ruolo avuto dai comunisti nell’imprimere un “salto di qualità” alla lotta resistenziale, organizzando «squadre di sabotaggio e di terrore» (i GAP) che iniziarono a colpire dai primi giorni di ottobre del’43.

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