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Giulio Seniga – Il bagaglio di un comunista “anomalo”

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Giulio Seniga nasce nel 1915 a Volongo, in provincia di Cremona, da un bracciante e da una sarta, è un comunista della seconda generazione. Il suo apprendistato politico si svolge, come molti altri suoi coetanei, in fabbrica, presso un’azienda prestigiosa, l’Alfa Romeo, nella quale si forma parte dell’aristocrazia operaia milanese. Lo stabilimento è il Portello di Milano, dove lavora come operaio specializzato e dal 1942 con la qualifica di incaricato tecnico. Per Seniga gli anni vissuti in fabbrica sono determinanti per la sua formazione di uomo e di militante, rappresentando motivo di distinzione e orgoglio, analogamente a quanto accade per altre generazioni di comunisti e di comuniste che attribuiscono al lavoro e alla professionalità acquisita in officina o in laboratorio un posto gerarchicamente importante nella scala dei valori identitari .

Dopo l’8 settembre Seniga è nella delegazione di antifascisti che si reca presso il comando militare di Milano a chiedere la distribuzione delle armi per la difesa della città. Risale a queste settimane l’iscrizione al PCI. Per sfuggire all’arresto fugge in Svizzera e nel 1944 rientra in Italia per unirsi ai reparti garibaldini della Valle dell’Ossola, col nome di battaglia “Nino”. Dopo la proclamazione della Repubblica dell’Ossola, Cino Moscatelli gli affida l’incarico di mantenere i collegamenti delle brigate Garibaldi con i responsabili della Resistenza europea, rappresentati dal generale inglese John McCaffery. In questa veste, alla caduta della Repubblica ossolana, il 21 ottobre 1944 è protagonista di una missione che ne forgerà il mito virile del partigiano intrepido e risoluto, nota come Operazione mercurio: un convoglio ferroviario di vagoni carico di metalli pregiati e bombole di mercurio viene messo in salvo in Svizzera mentre i tedeschi cercano di impadronirsene, a disposizione del governo italiano e dei comandi partigiani. Un mito rafforzato da un altro episodio, avvenuto nel mese successivo e noto nella memorialistica e nella pubblicistica successiva come “Il salto del Nino”.

Nei primi giorni di novembre del 1944 organizza assieme a tre compagni, contro la volontà dei rappresentanti delle forze alleate in Svizzera, una missione per rientrare in Italia, con l’obiettivo di portare armi e denaro alle formazioni partigiane. Per sfuggire ad un rastrellamento, attraversa dei passi di alta quota ormai completamente innevati e il 13 novembre precipita da un burrone presso il Passo Cingino con un salto di più di 100 metri. Gravemente ferito, viene salvato da Ruggero Ascoli, un medico componente della spedizione nonché guida alpina e dai guardiani del lago Cingino, i quali lo mettono in salvo presso una baita a 2.200 metri di altezza dove rimane, privo di cure mediche, per circa due mesi fino a gennaio 1945, quando le fratture sono in parte ricomposte, con l’ausilio di un bastone raggiunge a valle le brigate garibaldine, con le quali combatte sino alla Liberazione con l’incarico di ispettore militare.

Dopo la Liberazione lavora nella federazione di Cremona e nel 1947 la direzione del PCI lo chiama a Roma presso la segreteria di Pietro Secchia, allora responsabile dell’organizzazione del partito e vice segretario. Dopo l’attentato a Togliatti del luglio 1948, viene costituita la commissione nazionale di vigilanza e Seniga è nominato vice responsabile dell’organismo, col compito specifico dell’organizzazione dei “covi segreti”, ossia della ricerca e della cura delle abitazioni clandestine dove far alloggiare i massimi dirigenti del partito in caso di pericolo; e dei “fondi clandestini”, ossia della custodia delle casseforti contenenti il denaro proveniente dall’Unione Sovietica . Informazioni che sono condivise solo con Togliatti e Secchia. È in questa veste che gli viene affidato il compito di pilotare un aereo per mettere in salvo Togliatti nel caso le condizioni politiche lo richiedessero: un Sokol cecoslovacco per condurre il quale frequenta un corso presso l’Aeroclub di Roma-Urbe.

La storiografia si è molto soffermata sull’esistenza nel PCI delle due anime rappresentate dal partito del nord e da quello del sud, sull’insofferenza dei partigiani comunisti e di quelli non comunisti nei confronti dell’ambiente romano, sul cosiddetto “vento del nord”, sulle aspettative deluse, sul tema dell’occasione mancata. disagio e la delusione del partigiano Seniga all’impatto con la politica e la gestione del partito a livello nazionale, nella Roma ministeriale, possono essere letti, pur nella loro specificità, come caso esemplare………… . È in questo contesto che «matura la ribellione», come recita il titolo di un fascicolo conservato nel suo archivio privato.

La volontà di alzare al limite della rottura la critica alla gestione del gruppo dirigente del PCI è sancita da un gesto estremo: l’allontanamento da Roma in un giorno carico di significati simbolici – il 25 luglio, giorno della caduta del fascismo – con un “bagaglio che scotta”, efficace metafora che egli stesso utilizzerà come titolo di un libro nel 1973, per riferirsi materialmente e idealmente al contenuto della valigia con la quale compie il viaggio dalla Capitale alla Milano operaia. Trattasi di un nucleo di documenti del PCI e di una quantità ingente di denaro ai quali Giulio Seniga ha accesso grazie al suo ruolo nella commissione nazionale di vigilanza. Un capitale da utilizzare per il finanziamento di un progetto politico del quale ha chiaro l’obiettivo: la creazione di un movimento di dissidenza organizzata.

Un gesto volitivo, consapevole dei rischi e delle difficoltà che si propone subito come una sfida propositiva. Che non si tratti solo di un beau geste lo dimostra la lettera di dimissioni scritta a Pietro Secchia, documento che assume il senso, come avremo modo di vedere più avanti, di una mozione politica.

Milano dunque e poi subito la Francia, un viaggio fatto di spostamenti veloci, serrati, con l’obiettivo di depistare gli inseguitori, tutelare il «bagaglio che scotta» e prendere i primi contatti politici: «Domani cercherò di vedere qualche partigiano di Milano, poi partirò per la Francia, via Svizzera per prendere contatto con quei compagni dissidenti del PCF».

È in queste settimane convulse, cariche di preoccupazioni, paure e speranze, di contatti frenetici che nasce il progetto di Azione comunista, attorno al quale si concentrano bordighisti e anarchici, trostkisti e singoli intellettuali critici verso la politica del Pci, operai comunisti dissidenti ed espulsi.

Esperienze e sensibilità diverse che per alcuni anni convivono affidando ad iniziative pubbliche ma soprattutto ai periodici, prima «Lettera ai compagni» e successivamente «Azione comunista», la diffusione delle proprie idee tra gli iscritti al PCI. Il primo numero di «Lettera ai compagni» viene prodotto in occasione della IV Conferenza di organizzazione, svoltasi dal 9 al 14 gennaio 1955, col proposito di stimolare tra i delegati un dibattito critico nei riguardi della linea politica del gruppo dirigente, così come del costume:

I quadri del partito sono dominati dall’opportunismo, dall’ambizione, dal conformismo e dalla paura. La vigilanza rivoluzionaria è stata trasformata in una vigilanza di polizia preoccupata soltanto di soffocare e controllare ogni voce di critica o di dubbio sulla politica del partito e sulla pretesa infallibilità dei dirigenti. Nel partito regna l’acquiescenza e l’omertà verso atti di indisciplina morale a volte molto più dannosi di quelli di indisciplina politica.

Monopolio del vertice sono le designazioni dei dirigenti periferici e l’assegnazione delle circoscrizioni elettorali. Vige nel partito il gerarchismo nel tratto e nelle abitudini l’infatuazione cieca e il culto meschino e servile dei dirigenti. Nessun controllo e autocontrollo è rivolto al costume di vita dei dirigenti e parlamentari ed ai limiti della loro partecipazione alle abitudini e alle consuetudini di vita della società borghese. Ciò espone il fianco alla facile speculazione qualunquista che i capi sono tutti uguali.

Vengono pubblicati cinque numeri di «Lettera ai compagni» con gli articoli firmati collettivamente “I compagni di Azione comunista”, con il proposito espresso sulle pagine del periodico di non esporsi pubblicamente ed evitare così l’espulsione dal PCI. Il progetto è di creare una corrente interna di dissenso:

«Premesso che noi compagni di Azione comunista siamo dei militanti del partito e intendiamo rimanervi per esercitare a fondo la nostra azione di attivisti d’avanguardia in tutti i settori dell’attività politica, organizzativa e sindacale, riteniamo utile fare alcune precisazioni chiarire i motivi della nostra azione e indicare alcune gravi responsabilità» .

Il primo numero di «Azione comunista» è del 21 giugno 1956, quando è ormai chiaro che ogni tentativo di promuovere un dissenso interno al partito è inutile. Con il primo articolo firmato viene pubblicata su «l’Unità» del 25 luglio la notizia dell’espulsione da partito .

L’esperienza di Seniga all’interno di AC si conclude nel 1958, a seguito di contrasti non più sanabili tra le diverse anime del movimento. Egli vuole mantenere una struttura agile, movimentista mentre la maggioranza degli aderenti ad Azione comunista intende costituire un nuovo partito organizzato alla sinistra del PCI………

Il pretesto formale per l’espulsione di Seniga è un’iniziativa assunta senza una consultazione preventiva con gli altri dirigenti del movimento, in occasione del dibattito parlamentare sull’esecuzione di Imre Nagy. Si tratta ancora una volta di un gesto dimostrativo, di grande impatto scenico: il 17 giugno 1958 il dissidente comunista si introduce, con la sua compagna Anita Galliussi , nell’Aula parlamentare e assieme fanno cadere sulle teste dei deputati una pioggia di volantini che denunciano la responsabilità del PCI con il partito comunista ungherese. Un gesto che simbolicamente chiude il decennio mentre si apre una fase di transizione foriera di un nuovo percorso politico……………

Chi lo conosce, inquieto sino alla frenesia, non esita a definirlo un’anima «attraversata». Né egli nasconde che la lotta lo esalta. Non più – dice – iperboli retoriche, non più sterile dottrinarismo. La dialettica lo aiuta a capire che, quando una classe permane inerte, l’altra si organizza e progredisce………..

In questo contesto si inserisce l’impegno intellettuale di Seniga come pubblicista, autore di monografie e operatore culturale. Nei primi anni Sessanta fonda una casa editrice, Azione Comune e il motto che le affianca, “Perché i giovani sappiano e gli anziani ricordino”, definisce la sostanza di questa progettualità che passa anche attraverso l’edificazione di una memoria collettiva altra rispetto a quella dominante, dove trovano spazio comunisti critici, anarchici e socialisti riformisti espulsi dal racconto costruito per un trentennio dai comunisti italiani. Salvaguardare dunque la memoria storica del movimento operaio, attraverso il recupero di rivoluzionari comunisti non ortodossi come Rosa Luxemburg e Alexandra Kollontaj e libertari come la russa Ida Mett ; riabilitare l’onore politico di quegli antifascisti colpiti dalla scure stalinista, ridotti all’isolamento esistenziale e politico attraverso il recupero delle loro biografie, come accade per Pietro Tresso (alias Blasco) e la pubblicazione di loro scritti, come accade per l’anarco-socialista Camillo Berneri e il socialista Ezio Riboldi; tutelare i valori dell’antifascismo e della Resistenza.

Le pubblicazioni della piccola casa editrice si propongono anche come stimolo al dibattito teorico interno all’area del socialismo riformista, attraverso saggi prodotti da studiosi e politici italiani, come avrò modo di descrivere meglio avanti.

È attraverso la sua attività, intensa, di pubblicista che diffonde le critiche alla politica e al costume morale del gruppo dirigente del partito, alla pratica del culto della personalità, denunciando le responsabilità dello stalinismo sovietico nella persecuzione di libertari e comunisti nonché della sua versione italiana, per definir la quale conia la categoria di stalinotogliattismo. Il primo libro, Togliatti e Stalin, è dato alle stampe nel 1961 mentre il secondo, Un bagaglio che scotta, nel 1973 con Azione Comune.

Quest’attività si è concretizzata in un lavoro individuale svolto da Giulio Seniga a tempo pieno, per definire il quale può utilizzarsi la categoria di militante professionale, utile a rappresentare la complessità di un’esistenza dove la dimensione politica è stata dominante, se non totalizzante. lavoro pensato e gestito in modo solitario, con l’impegno e i tempi di un funzionario di partito o di un “rivoluzionario professionale” pur senza stare all’interno di un partito, attraverso il quale egli si propone l’ambizioso obiettivo di condizionare la politica del Pci con il racconto della propria verità, rivendicando un riconoscimento politico alla sua “scelta di vita”. Un’organizzazione del lavoro politico scandita da quelle dinamiche del rapporto militante comunista-partito efficacemente descritte da Sandro Bellassai:

La militanza comunista assume senza alcun dubbio una dimensione totalizzante, rappresenta […] una “scelta di vita”: il lavoro organizzativo è vera e propria mobilitazione permanente. L’attivismo e le sue “qualità”, per così dire, sono scanditi e condizionati in maniera totale dalla radicalità dell’impegno richiesto, in termini sia di tempo quotidiano dedicato al lavoro politico che di ridefinizione complessiva di se stessi e del proprio orizzonte esistenziale.

 

Da un testo di Maria Antonietta Serci

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