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Una spia Fiat licenziata

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24 settembre 1970.Il signor Ceresa Caterino cita la Fiat dinanzi alla sezione lavoro della Pretura di Torino. Ceresa chiede al pretore di dichiarare illegittimo il suo licenziamento, avvenuto il 5 marzo 1970, per “carenza degli estremi della giusta causa o del giustificato motivo”. La Fiat si oppone e il processo ha inizio. La Fiat afferma che Ceresa era “un semplice fattorino”. Ceresa sostiene di aver svolto, per diciassette anni, dall’agosto del 1953, sempre le mansioni della spia.

 

16 giugno 1971: La carriera della spia Ceresa.

Il pretore, dopo aver predisposto le indagini istruttorie su “tutto quanto è oggetto della controversia”, cioè sulle esatte funzioni del Ceresa, convoca le parti per l’udienza conclusiva. E qui viene fuori tutto o quasi tutto. Ceresa racconta, i suoi capi confermano. La spia aveva iniziato a svolgere il suo mestiere come sottufficiale dei carabinieri. Nell’agosto del 1953 il commendatore Sante Losi, un altro ex poliziotto, lo arruola nel “Sifar” della Fiat aumentandogli lo stipendio e promettendogli una brillante carriera. Nascevano allora, negli anni più bui della razionalizzazione capitalistica, negli anni degli eccidi di Scelba e di De Gasperi, negli anni del centrismo e di papa Pacelli, i “Servizi Generali” della Fiat. La creatura prediletta di Valletta, lo strumento della più bieca reazione antioperaia, una mostruosa centrale di spionaggio politico e di ricatto della cui attività dovevano fare le spese migliaia e migliaia di compagni operai della FIOM e della sinistra. E l’infaticabile animatore del SIFAR vallettiano in quei primi anni è proprio il commendator Losi con il suo collaboratore Ceresa. Losi, ormai spia in pensione, e il suo successore come capo-spia, l ‘ex-colonnello dell’aviazione Secondo Cellerino, pilota personale di Agnelli, testimoniano davanti al pretore sulle funzioni del Ceresa. E confermano integralmente tutta la storia della carriera della spia. Aveva iniziato girando in motoretta il Ceresa a svolgere indagini “sulle referenze, le assunzioni, le promozioni, le lettere anonime e il chiarimento di situazioni particolarmente importanti per l’azienda, l’accertamento delle assenze abusive dal lavoro, e, nell’ambito delle referenze, l’accertamento delle tendenze politiche dell’interessato. Ceresa, con i suoi giri, si conquistò la stima dei suoi capi così da essere ritenuto “un elemento particolarmente valido cui erano affidati lavori di delicatezza e di responsabilità”. E’ sempre Cellerino che parla e che aggiunge, con una certa fierezza “ma vi erano elementi anche migliori di lui, quali il Chessa e il Bobolo”. Venne quindi il suo turno di usufruire per svolgere il suo lavoro di un’automobile di servizio. In auto Ceresa estese il suo raggio d’azione. Nuovi paesi, nuove città, nuove persone, non più “l’accertamento delle assenze abusive dal lavoro” da controllare ma “le anomale tendenze psichiche” del dottor M.E.L. a Passerano Marmorito, la “relazione amorosa di M.M. e C.L.” a Chiavari. Insomma Ceresa nella versione di spia-voyeur è giunto ai vertici della sua carriera. E comincia lenta e inarrestabile la decadenza. Ceresa, nell’inverno del 1969, viene comandato per una indagine a Milano. Deve però usare il treno e non la sua fedele “automobile di servizio”. Per Ceresa è una mazzata in fronte: si sente declassato e si rifiuta di obbedire. O in macchina o niente Milano. Cellerino non si impressiona: prende la spia, ormai in disgrazia, e lo sbatte in ufficio a “battere a macchina i cartellini” per le spiate: lo mette insomma, (sono sempre parole di Cellerino anche queste) “insieme agli anziani e ai meno capaci”. Ceresa a modo suo lotta. Da ruffiano, cioè. Va dal direttore della divisione personale, cavalier Ferrero, ma viene mandato al diavolo. Allora si rivolge, sempre in cerca di protezione, al suo ex-benefattore Sante Losi. Dopo un colloquio tra Losi e un dirigente del servizio centrale amministrativo e assunzioni operai Fiat, tale Negri, gli viene proposto di dare le dimissioni con un milione di buona uscita o di passare come operaio al “Servizio Centrale Assunzioni” con mansioni “analoghe a quelle dianzi espletate”. Ceresa ribadisce il suo concetto: spia d’accordo, ma mai come operaio. E rifiuta la proposta. E la Fiat, il 5 marzo 1970, lo licenzia.

Il pretore di Torino, Converso, sezione lavoro, pronuncia la sentenza che dà torto al Ceresa e ragione, nella vertenza specifica, all’ingegner Gaudenzio Bono, vice-presidente e amministratore della Fiat. Contemporaneamente però il pretore trasmette un rapporto al pretore penale su quanto è emerso dal processo indagini sui privati svolte senza licenza, corruzione di pubblici ufficiali (perché era impensabile che tutte le informazioni che Ceresa aveva detto di raccogliere si potessero avere senza un appoggio diretto di polizia e carabinieri). Alla base del ragionamento del pretore c’era l’accertata differenza tra i Servizi Generali e il Servizio Centrale Assunzioni della Fiat. Se si fosse trattato semplicemente di prendere informazioni sui nuovi assunti Ceresa avrebbe dovuto lavorare presso il Servizio Centrale Assunzioni, che questo compito aveva. La realtà era quindi che i Servizi Generali erano una vera e propria centrale di spionaggio a tutti i livelli con fini di ricatto e di controllo politico su centinaia di migliaia di persone operai e non operai della Fiat. Se le parole di Ceresa facevano pensare al funzionamento di uno schedario esteso alla vita privata e alle opinioni politiche degli schedati. La parola quindi spettava al pretore penale. La prima fase si chiude.

 

25 luglio 1971: la bomba è innescata, la notizia di un affare che può diventare clamoroso arriva ai giornali. L’Unità esce con un articolo dal titolo Gli spioni del monopolio Fiat, e annuncia che la sentenza del pretore Converso “conferma” che alla Fiat si indaga sui dipendenti e su coloro che hanno rapporti con l’impresa. In fondo all’articolo, a chiusura, è scritto: “Un’ultima considerazione va fatta sulla collaborazione che questo ufficio di spionaggio della Fiat non può non aver avuto con organi dello stato, come la polizia e i carabinieri”. La bomba è solo innescata. Perché non farla scoppiare subito?

Il pretore che riceve l’incartamento dal pretore Converso, è il professor Raffaele Guariniello. Egli capisce subito che le rilevazioni del Ceresa sono troppo circostanziate per non essere vere; comunque per esserne certo gli resta da fare una sola cosa: andare negli uffici di questi benedetti Servizi Generali e prendere visione diretta degli schedari. Il momento è ben scelto. La Fiat è in ferie, Torino è semideserta. Via Giacosa, palazzo Fiat. Guariniello arriva di buon mattino accompagnato da un cancelliere e da un ufficiale giudiziario. Un attacco di panico travolge i pochi sbigottiti funzionari Fiat che sono al lavoro. Il dossier è lì. Nessuno aveva pensato a far sparire il materiale compromettente: l’arroganza del potere che non può neppure immaginare una ingerenza nei suoi affari. Allineati in bell’ordine ci sono da destra a sinistra:

i fascicoli degli schedati, operai, giornalisti, professori, dirigenti, industriali, uomini politici di ogni livello.

I fascicoli dei corrotti, poliziotti, carabinieri, questori, ecc. tutta gente pagata dalla Fiat oltre che per spiare, per arrestare, picchiare, ricattare compagni, operai, militanti della sinistra. E anche questo lo vedremo meglio in seguito.

I fascicoli degli informatori periferici, messi comunali, parroci di paese, ecc. (C’era un messo comunale che chiedeva un aumento di 5 mila lire all’anno su uno stipendio di 10.000 lire all’anno: Cellerino gli risponde di no “per ragioni di bilancio”. Sono oltre 150.000 schede su cui è scrupolosamente annotato tutto. Accanto ai nomi dei poliziotti corrotti c’è l’indicazione delle somme versate, il motivo della corruzione, copia degli assegni firmati da alti dirigenti Fiat, ecc. Per portarle via tutte ci vorrebbero dei camion. Guariniello prende quelle che può e se ne torna in Pretura. Alla cassaforte incriminata vengono apposti i sigilli giudiziari.

Nei giorni immediatamente successivi alla perquisizione, dagli uffici di via Giacosa si assiste ad un febbrile via vai di indaffarati fattorini che portano via casse voluminose. Sono i dossier e le schede che Guariniello, non avendoli potuti portar via, aveva posto sotto sequestro. E’ un reato previsto dal codice penale (art. 334), ma la magistratura non se ne accorge. Si muove il capo della Fiat in persona. Ad Antagnod, un paesino della Val d’Aosta, c’è un “vertice” tra il presidente della repubblica Giuseppe Saragat, il procuratore generale di Torino, Giovanni Colli, e il presidente della Fiat, Giovanni Agnelli. Viene approntato in quella sede un complesso gioco delle parti che dovrebbe riuscire a soffocare lo “scandalo”. Gianni Agnelli pone la candidatura di Cellerino a capro espiatorio e baderà alle coperture “politiche” della vicenda, Colli curerà la parte tecnico-giuridica. Contemporaneamente Guariniello, avendo ravvisato nel materiale sequestrato gli estremi per reati ben più gravi di quelli che sono di competenza del pretore, trasmette gli atti alla procura della repubblica, perché proceda alla fase istruttoria. La pratica viene immediatamente affidata al dott. Piscopo; viene rubricata col n. 23042/71; per essa risultano imputati del reato di cui agli articoli 134 e 140 del testo unico di pubblica sicurezza, il Cellerino e il gruppo di spie che svolgevano le stesse mansioni del Ceresa. Le norme citate stabiliscono che senza licenza del prefetto non è possibile svolgere alcuna attività di tipo investigativo. Minimizzare è l’imperativo categorico in Procura sin dal primo momento. Anche se non si capisce perché, se i reati sono soltanto quelli in rubrica, la pratica non e più nelle mani del pretore.

 

6 settembre 1971: Il mezzo per affossare tutto è stato trovato: il procuratore chiede la rimessione.

La procura trova il mezzo per affossare tutto o per lo meno per trasferire il processo ad altra sede. Il “patto di Antagnod” comincia a dare i suoi frutti. La trovata si chiama rimessione e la norma è quella dell’art. 55 c.p.p. sulla legittima suspicione. Infatti il procuratore della repubblica dott. Rosso trasmette gli atti alla procura generale con la richiesta di rimessione.

Riportiamo le motivazioni addotte dal dott. Rosso per giustificare la rimessione del procedimento ad altra sede (è una notizia che solo Lotta Continua finora ha dato):

1) Non è possibile incriminare i massimi dirigenti della Fiat, cioè di un complesso industriale che dà lavoro e benessere a tutta la nazione.

2) Queste notizie potrebbero suscitare uno stato di agitazione tra le masse operaie della Fiat e i gruppi extraparlamentari che ritengono di essere sorvegliati dalla Fiat.

3) Si rischiano di incriminare i buoni rapporti di collaborazione fra magistratura e forze dell’ordine, indispensabili, in questo periodo, per la quantità e la qualità degli appartenenti alle forze di polizia giudiziaria compromessi.

 

22 settembre 1971: Lotta Continua comincia a tirar fuori i nomi dei poliziotti corrotti.

Romano, Bessone, Astolfi, Stettermajer, sono i primi nomi di poliziotti e carabinieri che figuravano sul libro-paga di Agnelli. Ad una conferenza stampa svoltasi in sede Lotta Continua informa sugli estremi dell’intera vicenda, precisando le funzioni antioperaie dei poliziotti corrotti, restituendo alle sue esatte dimensioni l’episodio: non si tratta cioè di spionaggio aziendale. E’ anche questo, ma è soprattutto la sistematica corruzione operata dalla Fiat per garantirsi la fedeltà dei poliziotti e impiegarli negli scioperi, nelle manifestazioni contro i compagni. E i poliziotti pagati, non a caso, sono sempre stati presenti in tutte le più mostruose montature poliziesche contro i nostri compagni. Il comunicato stampa di Lotta Continua si conclude “invitando gli organi d’informazione a seguire la vicenda, denunciando i tentativi di insabbiamento del processo già in atto”. Lo stesso giorno L’Unità pubblica la notizia dell’avvenuto sequestro. Parla però ancora e solo di spionaggio aziendale.

I giornali italiani tacciono. Nessuno accenna alle informazioni di Lotta Continua. L’Unità fa eccezione: Coinvolti esponenti di organi di polizia e di settori dell’apparato dello Stato? è il sottotitolo, dove il punto interrogativo cancella i nomi fatti dai compagni di Lotta Continua, così come i poliziotti avevano per tutta la notte tentato di cancellare i manifesti con i nomi dei corrotti che Lotta Continua aveva affisso in tutta la città. Un volantino distribuito in tutte le fabbriche, un’edizione straordinaria di Torino in mano ai proletari con tutte le rivelazioni e i nomi informano gli operai e i proletari dei quartieri, spaccando il complice silenzio di tutta la stampa borghese. Per l’Unità la conferenza stampa di Lotta Continua non c’è stata. C’è solo un riferimento indiretto tragico nel suo involontario umorismo; “Non siamo alla ricerca del colpo giornalistico sensazionale, bensì alla ricerca della verità e non intendiamo prestarci a nessuna manovra scandalistica che potrebbe in qualsiasi modo favorire operazioni tendenti ad insabbiare o portare sulla pista sbagliata tutte le indagini in corso da parte della magistratura”. Il Manifesto riporta ampi stralci della nostra conferenza stampa ma tace sui nomi.

 

24 settembre 1971: La velina di Agnelli è arrivata: i giornali italiani parlano.

Si assiste ad un fatto incredibile. I quotidiani italiani, sempre attenti a differenziarsi, esaltati dalla concorrenza o dalla linea o dalla tradizione del giornale, questa volta parlano dello stesso argomento in toni monotonamente uguali. Stesse parole addirittura, oltre che stesse argomentazioni, e stesse citazioni. Citiamo solo La Stampa. Anche qui titolo con punto interrogativo: Quali accertamenti possono compiere le aziende per assumere il personale? E’ un titolo che è già passato alla storia del giornalismo. Per il resto il giornale della Fiat si astiene dall’entrare nel merito della questione, riconfermando tutta la sua fiducia al dott. Colli. Pudicamente ricorda che gli “aspetti del problema sono molteplici” e che forse queste benedette indagini sui dipendenti potevano essere svolte in base ad un decreto del luglio 1941 rivolto alle industrie belliche. Dei poliziotti pagati, neanche parlarne naturalmente. L’Associazione giuristi democratici di Torino elabora un violento documento d’accusa alla Procura della città. Il silenzio è rotto; l’affare non potrà essere comunque più insabbiato. Il segreto istruttorio rimane l’ultima trincea per chi tentava di affossare il caso: vi si schierano il dott. La Marca della Procura di Torino, la direzione della Fiat, tutti i giornali italiani per quanto riguarda i nomi dei poliziotti corrotti.

 

25 settembre 1971: Arriva un ennesimo dottor Calabrese

Il dottor Calabrese, del Ministero dell’interno, arriva a Torino. Si chiude nello studio di Colli e vi rimane per oltre tre ore. Apprenderemo poi, per bocca del sottosegretario agli interni Sarti, che l’ispettore non è riuscito a scoprire niente perchè il tutto era ricoperto dal segreto istruttorio. Un altro! Astolfi e Stettermejer scompaiono da Torino, trasferiti. Il giornale di Lotta Continua viene denunciato per violazioni sulla legge della stampa; nessuno dei poliziotti indicati come corrotti si sogna di sporgere querela. L’Avanti! l’Unità e il Manifesto sono gli unici giornali a tornare sull’argomento. L’Unità polemizza con La Stampa, sulla paternità delle rivelazioni che hanno fatto scoppiare la bomba; dice testualmente: “La Stampa come la maggior parte dei giornali italiani (compreso purtroppo l’Avanti!) ha accreditato ad un gruppetto della cosiddetta sinistra extraparlamentare l’iniziativa della denuncia dello scandalo, versione per la verità rifiutata dagli stessi giovanotti (sic!) di Lotta continua, che in una conferenza stampa svoltasi ieri l’altro hanno subito precisato che partivano dalle rivelazioni dell’Unità”. Ed ecco citata, dopo tre giorni, per la prima volta, la conferenza stampa di Lc: fatto un piccolo sforzo se ne poteva fare un altro e citare anche i nomi dei poliziotti! Presa di posizione anche delle segreterie nazionali FIOM-FIM-UILM, che in una nota chiedono alla Magistratura di portare a fondo le indagini su quello che si ostinano a chiamare spionaggio aziendale

 

9 ottobre 1971: Un altro nome: Marcello Guida.

Crolla ancora una volta il tentativo di passare sotto silenzio l’intera vicenda. Lotta Continua, in un suo comunicato stampa, aggiunge agli altri nomi già fatti, quello dell’ex-questore di Milano, Marcello Guida. I compagni annunciano che si costituiranno parte civile contro la Fiat, ritenendola la mandante di tutte le montature poliziesche che hanno colpito a Torino i militanti e gli operai e i cui cardini sono da sempre stati proprio Romano, Bessone, e soci.

 

10 ottobre 1971. Ma nessuno ne parla. Nessun giornale riporta un solo accenno alle nuove rivelazioni di Lotta Continua, ad eccezione del Manifesto, dell’Avanti! che si chiede: “Sono queste accuse motivate da elementi di prova o piuttosto soltanto un mezzo per imporre la revisione dei processi in cui sono accusati e condannati molti militanti del movimento? “.

 

14 ottobre 1971: Il fascicolo va in Cassazione.

Colli trasmette il fascicolo alla Corte di Cassazione con la richiesta di rimessione, aggiungendo una sua nota in cui “aderisce” alla richiesta già avanzata dal procuratore della repubblica dott. Rosso Severino il 6 settembre. E’ dunque passato più di un mese da quando Colli ha ricevuto il fascicolo. Perchè tanto tempo? Che cosa sperava di raggiungere il Procuratore Generale? Nel frattempo nessun altro atto istruttorio è stato compiuto. Il procedimento continua ad essere a carico di Cellerino e delle altre spie; dei dirigenti Fiat e dei poliziotti corrotti nessuna menzione, benché essi risultino incriminabili dagli atti. Sedici righe su una colonna è tutto lo spazio che l’Unità dedica alla manovra. Più doviziosa d’informazioni La Stampa che esce con un altro titolo da storia del giornalismo: Gli atti sull’investigazione privata trasmessi alla Corte di Cassazione. E nel sottotitolo: I sette dipendenti Fiat passibili di ammenda sino a 240 mila lire. I “sette dipendenti ” sono le sette spie dei servizi generali, colleghi di Ceres

 

29 ottobre 1971: Il Governo non ne sa niente.

Emilio Pugno, segretario della Camera del Lavoro di Torino, parla dalle colonne dell’Unità, rompendo il pesante silenzio della sua organizzazione: “Noi dei sindacati – afferma Pugno – lanciamo una sfida nei confronti di coloro che intendono con subdole manovre e volgari falsità cercare di favorire l’insabbiamento delle indagini”. “Fuori i nomi – continua Pugno – i nomi di tutti: gli eventuali questori, prefetti, ufficiali dei carabinieri, dei delatori… “. E’ una sortita violenta di cui si stenta a capire, come per la lettera a Colli di Donat-Cattin, il senso, visto che di sindacalisti nelle schede sequestrate da Guariniello non ce ne sono, e tutti lo sanno. L’affare giunge alla Camera. Il sottosegretario Sarti e il ministro Donat-Cattin rispondono alle interrogazioni presentate dal PCI, MPL, Manifesto, PSI, ecc. Il sottosegretario Sarti annuncia che il governo non sa niente e non può sapere niente perchè tutti i documenti sequestrati sono coperti dal segreto istruttorio. Donat-Cattin dal canto suo afferma che la Fiat con il suo Servizio Assunzioni e con i suoi sette dipendenti incriminati ha violato lo statuto dei lavoratori e dichiara che è stata data disposizione affinchè i moduli di assunzione fossero compilati in modo conforme alle nuove disposizioni di legge e affinchè la Fiat ritenesse abrogato il famoso decreto del 1941 sulle industrie belliche. Basta così. Nel corso del dibattito parlamentare un solo nome viene fatto, quello di Guida ad opera del comunista Spagnoli (sull’Unità niente). I compagni del Manifesto parlano degli incontri segreti tra Umberto Agnelli e personaggi reazionari e fascisti con scopi non ben definiti; partecipano a queste riunioni Vittorino Chiusano, dell’ufficio stampa della Fiat, Scardia, sostituto procuratore generale della Corte di Cassazione, Scassellati, della fondazione Agnelli, Claudio Vitalone, della Procura di Roma, Garino, vice-direttore della Fiat, del giornalista Mimmo Scarano e del giovane industriale fascista, Lorenzo Vallarino Gancia. Sono i soli risultati del dibattito parlamentare. Restivo, che pure aveva ricevuto dal prefetto Casu un assegno della Fiat che provava la tentata corruzione ai danni del funzionario e che quindi cose da dire ne aveva anche per conoscenza diretta, non partecipa neanche alla seduta.

 

30 ottobre 1971: Si parla dello spionaggio aziendale, ma dei poliziotti corrotti no.

I giornali italiani riferiscono con abbondanti particolari del dibattito parlamentare. Nei titoli e negli articoli si insiste però con monotonia sullo spionaggio aziendale. L’Unità giudica “importante che le conferme siano venute ieri, piene e circostanziate da esponenti governativi nel dibattito di Montecitorio”. E’ Luca Pavolini che scrive. La voce repubblicana parla ancora di “presunto servizio investigativo”. Per la Nazione il tutto è un “duro attacco alla Fiat del ministro del lavoro”

 

3 novembre 1971: Agnelli al Salone.

Un’altra conferma importante sulla veridicità delle notizie giunge all’Unità che le pubblica con grande rilievo, è nientemeno che la testimonianza di Gianni Agnelli. Agnelli al Salone dell’auto ammette lo spionaggio Fiat è il titolo trionfale su quattro colonne. Agnelli, in una conferenza stampa, aveva detto: “bisogna distinguere tra l’attività svolta dall’ufficio personale prima dell’approvazione dello statuto dei diritti dei lavoratori e dopo”. “Pur nella sua sinteticità quella di Agnelli è un’ammissione importante, in quanto riconosce se non altro la validità delle accuse mosse alla direzione della Fiat”. E’ il testuale commento dell’Unità a quelle dichiarazioni! Eppure il PCI era già a conoscenza di un altro gravissimo fatto: l’assunzione di operai meridionali nelle fabbriche FIAT tramite il MSI torinese, nella persona di uno dei più noti picchiatori e consiglieri comunali del MSI, Ugo Martinat.

 

12 novembre 1971: Conferenza stampa di Lotta Continua. Altri nomi con le cifre della corruzione. E i nomi dei corruttori.

Le delibere di pagamento rilasciate a ufficiali di polizia e dei carabinieri con le motivazioni “per collaborazione durante gli scioperi” o “per collaborazione durante le manifestazioni” sono controfirmate dall’ingegner Bono, dall’ing. Gioia e dal dott. Garino. La struttura completa del Sifar della Fiat si basava su due uffici: i Servizi generali e il Servizio delibere, uno di carattere esecutivo l’altro decisionale, con lo scopo preciso di avvicinare pubblici funzionari e personalità politiche per corromperli. Vengono precisati e i compensi e le modalità di pagamento dei poliziotti corrotti al cui elenco si aggiunge il capo-gabinetto della Questura di Torino dott. Stabile con quasi tutti i questori succedutisi a Torino nel dopoguerra, alcuni prefetti, il comandante della legione territoriale dei carabinieri, alti ufficiali, giù giù sino ai semplici agenti per un totale di 150 nomi. Nessun giornale (tranne il Manifesto) riprende queste dichiarazioni.

 

13 novembre 1971: Assemblea popolare al teatro Alfieri. Quattromila proletari al processo contro Agnelli.

La manifestazione ha come titolo “La città deve sapere”. Il compagno Luciano Parlanti di Lotta Continua è l’unico a fornire i nomi e le cifre tra gli applausi dei compagni operai. Era questo che la città voleva sapere. L’assemblea compatta si scioglie con la parola d’ordine processo a Torino, l’unica giustizia è quella proletaria.

 

3 dicembre 1971: La I sezione penale della Cassazione, presidente il dott. Giovanni Rosso, accoglie la richiesta di Colli e assegna il processo, per gravi motivi di ordine pubblico, alla Procuira della Repubblica di Napoli. L’indomani i giornali italiani, tutti i giornali italiani, si muovono con un’unica parola d’ordine: “minimizzare”. 22 righe e il titolo su una colonna è lo spazio che l’Unità dedica alla notizia. Gli altri si adeguano.

 

IL PROCURATORE GENERALE

Con atto in data 28 settembre 1971 il Proc. Gen.le presso la Corte d’Appello di Torino chiedeva, ai sensi dell’art. 55 p.p. del c.p.p. che codesta Corte disponesse la rimessione del procedimento a carico di Cellerino Mario e altri imputati di reati di cui agli artt. 134 e 140 del T.U.L.P.S. e dell’art. 326 C.P. dagli organi giudiziari di Torino a quelli di altra sede. Nella richiesta si faceva presente che nel corso di un giudizio civile davanti alla sezione lavoro della Pretura di Torino, il magistrato aveva rilevato elementi che potrebbero costituire gli estremi dei reati di cui sopra, donde la necessità, ai fini dell’art. 3 del c. di p.p., di farne rapporto al p.m. Il procuratore della Repubblica, ritenuto che per i fatti emersi si profilavano eventuali responsabilità penali a carico di un ten. Colonnello dei C.C., di due vicequestori e di altri funzionari di P.S., operanti in quella sede, nonché nei confronti dei massimi dirigenti della Fiat, con la probabilità dell’insorgenza di agitazioni di piazza, di reazioni in campo sindacale che potrebbero sfociare anche in manifestazioni violente; che, inoltre, per la qualità e la quantità degli appartenenti alle forze di polizia giudiziaria, da eventualmente incriminare, si sarebbero gravemente compromessi i rapporti tra l’autorità giudiziaria e le forze di polizia, proponeva la rimessione del procedimento ad altre sedi. Ciò premesso, non può revocarsi in dubbio alla stregua delle considerazioni dianzi esposte, l’opportunità che tanto l’istruzione, quanto il giudizio siano rimessi ad altro giudice, di sede diversa da quella di Torino. E’ infatti di diretta e diuturna constatazione dello stato di tensione che permane nell’ambiente sindacale, soprattutto a Torino, e delle frequenti agitazioni delle masse operaie che presumono, a torto o a ragione, di essere controllate nella loro vita privata da organi del padronato in collusione con le forze di polizia. Sulla scorta, pertanto, della costante giurisprudenza di cotesta Corte nella interpretazione dell’art. 55 del c. di p.p., la cui costituzionalità è affermata e ribadita dalla C. Cost. si ritiene necessario accogliere la richiesta del P.G. di Torino, sia per gravi motivi di turbamento dell’ordine pubblico, sia per legittimo sospetto.

P.Q.M.

Si chiede che la Corte, in accoglimento della richiesta, voglia rimettere l’istruzione e il giudizio, nel procedimento de quo, ad un altro giudice di diversa sede.

 

Roma, 25-10-1971

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