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Pat Garrett e Billy Kid ovvero I consigli del sindacato e l’autonomia operaia

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Pat Garret e Billy Kid erano due che facevano una loro battaglia contro i proprietari fondiari.

Ma Pat Garret era un legalitario: non gli piaceva che Billy ammazzasse i nemici anche alla festa di nozze quando lui aveva deciso per la tregua con l’esercito, la polizia, i proprietari. Pat fa la scelta e diventa sceriffo. A malincuore. Di fatto diventa alleato dei proprietari, non senza cercare, ogni tanto, di lasciare perdere Kid e di mantenere una buona fama tra i suoi vecchi compagni. Ma, in fin dei conti, Pat spara contro il Kid.La storia finisce lì. Qualcuno immagina che il Kid sia stato solo ferito e come ogni eroe degli oppressi, rinasca dopo ogni ferita e alla fine trionfi su Garret. Il «compromesso storico», la questione sindacale della battaglia delle vertenze, Enrico Berlinguer e Luciano Lama sono fratelli gemelli di questo vecchio Garret.

Era l’autunno 1973.

Di fronte all’inasprirsi della crisi e del suo prodotto, gli aumenti pazzeschi dei prezzi, i riformisti hanno preteso la tregua, hanno negato la riapertura delle vertenze generali sul salario, hanno chiuso con quasi niente in fatto di pensioni, disoccupazione e assegni familiari, hanno giocato al ribasso nelle vertenze aziendali, hanno impostato tutto puntando sugli investimenti al sud, sui «consumi sociali», sul «controllo dei prezzi». La loro ricetta tattica era: un po’ di pressione operaia, frammentata e prudente, una trattativa generale coi grandi gruppi industriali e col governo, nella quale esaltare la loro specialità di sindacalisti da trattativa e di artisti della battaglia parlamentare. Inverno e primavera e la danza, anche se non del tutto, è cambiata. La forza operaia dentro la fabbrica, specie là dove è più massiccia, ha spezzato molti dei legacci sindacali. Qui iniziamo le complicazioni. Il sindacato ha cercato di usare questa forza operaia per far passare la sua linea su gli investimenti e i consumi «sociali» articolandola gruppo per gruppo. Per mesi al tavolo delle trattative Fiat, Alfa, Montedison il dibattito sugli investimenti è stato al centro di tutto. Salvo poi di re, come qualcuno in fabbrica ha fatto, che era del salario che si discuteva. Gli operai parlavano invece più di salario, di garanzia del posto e della busta, di scatti automatici che non degli investimenti e di tutto il resto. E gli operai hanno ragione: non è stata forse la lotta, gli obiettivi di questi anni che hanno costretto i padroni a non aggiungere legna sul fuoco e a scegliere zone ”meno operaie”, più affamate della mancanza di salario che non di più soldi nel salario, per fare i loro investimenti? Non c’è mai stata tanta differenza tra obiettivi e comportamento sindacale e obiettivi e comportamento operaio. Certo i riformisti non sono sciocchi. E quando hanno visto crescere l’iniziativa operaia fuori del loro controllo, quando hanno visto che più di così per contenerla non potevano fare, se non volevano perdere credibilità e forza rispetto sia agli operai che ai padroni, allora i riformisti hanno fatto la voce un po’ più grossa (Alfa Romeo e intervento FLM a Rimini) e hanno ottenuto molto della piattaforma che, senza crederci molto e ritoccata in su dagli operai, avevano presentato. Restano però due cose: la prima che, comunque, i risultati ottenuti anche dei casi migliori, sono ben lontani dal rispondere alle esigenze operaie e ai livelli di lotta raggiunti, la seconda che alla lotta dura il sindacato ci è stato trascinato per i capelli e non ha nessuna intenzione di esserci costretto spesso proprio perché i suoi obiettivi rimangono principalmente una bella se ne di trattative con ogni possibile controparte su investimenti e consumi sociali (il modo riformista per uscire dalla crisi). Per controllare questo processo, per far funzionare la lotta operaia come acceleratore della trattativa sui nuovi modelli di sviluppo e sui compromessi storici il sindacato sa che la tigre non va più cavalcata come nel ’69. Perché nel frattempo è cresciuta e se prende la mano poi stavolta se li magna (cavalieri e padroni). Così, per cinque anni il sindacato ha costruito pesantemente gabbie collari, guinzagli. Adesso è giunto il momento di metterli addosso alla tigre. Non a caso allora nei «Punti per una nota unitaria sulle strutture di base e di zona» poi congelati ma non rinnegati a Rimini si afferma che il controllo riformista deve consolidarsi attraverso la rappresentanza «obbligatoria» di delegati scelti dalle organizzazioni sindacali negli esecutivi e nei Consigli (oltre che ancora più in forze nei Consigli di Zona), nel «dovere» di essere iscritto al sindacato per ogni eletto, nella possibilità di proporre rose di candidati invece delle schede bianche. Non a caso le vertenze aziendali (Fiat in testa) vedono sparire man mano il controllo alle Confederazioni nei casi limite; non a caso l’ultimo accordo sullo scaglionamento delle ferie e sui trasferimenti alla Fiat ha visto il consiglio del tutto esautorato, non a caso le stesse assemblee di reparto e ancor di più quelle di fabbrica vengono sempre più spesso gestite dall’esecutivo, dagli staccati, dai sindacati locali e nazionali. Il delegato tende sempre più ad essere il delegato allineato scelto dopo mille e una pressione sindacale, dopo intere campagne di sfruttamento e di terrorismo («gli togliamo la copertura», «vi buttiamo fuori dal CdF» ecc. ecc.: Fiat, Pirelli, Face, Alfa insegnano).

Il delegato del Sindacato, il delegato del Partito dietro e dentro il Sindacato. Ma le masse hanno una voce. A tratti sembra una voce da padroni del mondo, poi si affievolisce. sembra scomparsa, riappare là dove nessuno se lo aspetta: l’autonomia .è per oggi discontinua perché troppi sono i varchi che deve farsi attraverso i recinti sindacali e i muri padronali. Quando la voce delle masse canta spiegata dà indicazioni strategiche che bisogna capire, articolare, organizzare, riversare sui punti più arretrati, mante nere vivi nei momenti di stanca. Fiat e Alfa: la crisi dei padroni e la crescita dell’autonomia si identificano largamente in questi due nomi. Occupazione a lavoro zero e violenza aperta dei cortei in forma di massa sono stati i punti altri della lotta Fiat. Dal rifiuto del lavoro all’appropriazione, anche se momentanea, della fabbrica a un progetto di potere che nella violenza operaia si fa strada: tutto questo pazientemente, senza farsi illusioni sulla permanenza e chiarezza nella coscienza operaia di queste tappe, bisogna rendere politica quotidiana, organizzazione articolata nei reparti (comitati), capacità di direzione sulla fabbrica, sulle altre e più deboli frazioni operaie, sull’insieme del proletariato (organizzazione e unificazione degli organismi autonomi). E all’Alfa: dalla partecipazione e forza dei cortei, alla scacchiera durissima e al blocco portinerie come fatto per la prima volta allargato al di là delle avanguardie organizzate, alla riscossione dei pedaggi al casello dell’autostrada, all’accerchiamento del padrone da parte di 4.000 operai. Tutto questo testimonia in forma più lenta, ma anche più organizzata e con una presenza più incisiva degli organismi autonomi, la presenza nei momenti più alti di quello stesso processo di lotta percorso alla Fiat. Il controllo sindacale viaggia sicuro verso una stretta ancora più severa per obiettivi di «sviluppo diverso» della stessa e solida merda capitalistica. L’autonomia, di massa e organizzata, viaggia con discontinuità, momenti buchi, pause, ma viaggia per l’ottenimento degli obiettivi operai. Salario, garanzia del posto e della busta, scatti automatici, parificazione del punto della contingenza, pensioni elevate e agganciate al salario, trasporti gratuiti, affitto proporzionale al salario, scuola gratuita e non selettiva: questi gli obiettivi generali dell’autonomia sui quali, è innegabile, con più o meno consapevolezza, comincia a muoversi nei momenti di scontro la stessa massa operaia nelle fabbriche più forti.

Ma per questi obiettivi, su questi obiettivi, deve ancora crescere fino in fondo una politica comunista direttamente contrapposta ai riformisti. Rifiuto del lavoro contro la nuova professionalità dell’affezione al lavoro, ratifica contro l’ingabbiamento della lotta nelle trattative sindacali, ratifica dell’obiettivo, o questo o si sciopera, ratifica dell’obiettivo già dentro la forma di lotta (ritmi, cottimi, nocività: meno lavoro) appropriazione: le cose ce le prendiamo, i prezzi ce li ribassiamo organizzando l’insubordinazione in fabbrica, prendendo la fabbrica con il blocco della produzione e delle merci, contro i capi, i crumiri, i fascisti che ci impediscono di ”potere” nel reparto e sul territorio (casa, trasporti ecc.). Dentro questo progetto, condizione e risultato della sua realizzazione è far esprimere e rendere necessaria e cosciente, contro la violenza e il potere capitalistico, la violenza e il potere operaio. Ma il comunismo non arriva all’ora X. È un processo che va avanti. O la sua costruzione incomincia, anche se confusamente, disarticolata, soggetta a flussi e riflussi, già oggi dentro le lotte, o rimane una ”buona idea”. È per questo che sugli obiettivi e le forme di lotta immediate, su quelle più generali, sul programma comunista, gli organismi dell’autonomia devono far crescere capillarmente la coscienza operaia, reparto per reparto, in una pratica e in un dibattito quanto più largo possibile. L’articolazione è oggi decisiva. Il reparto è il varco più importante e insieme più facile per la lotta contro la produzione capitalistica, specie oggi che lo sbocco generale può essere forzato, per via del controllo sindacale, solo ripartendo ogni volta dal nucleo centrale sia della produzione che della formazione e pratica politica degli operai. Il dibattito sui consigli finisce qui.

 

Alle scuole quadri il dibattito storico su come sono nati nelle diverse realtà, su cosa hanno rappresentato. All’organizzazione operaia e alla sua pratica il programma: ogni azione, discorso, iniziativa dentro i consigli, senza purismo e dogmatismo, deve essere misurata su questo: serve o non serve alla crescita del progetto politico che prima di tutto deve svilupparsi fra le masse operaie, nei reparti? Quando e se serve va benissimo anche l’azione nel consiglio, a patto che, appunto, la nostra attenzione vada tutta ai reparti, all’iniziativa autonoma per farla capace di spezzare con continuità le briglie sindacali e di rompere le ossa al padrone.

 

Collettivi politici operai di Milano

 

da «Rosso. Giornale dentro il movimento» – anno 2 – n. 10 – maggio 1974

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