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Cosa sono i collettivi politici operai

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Cinque anni di lotte, di attacco continuo all’organizzazione capitalistica del lavoro ci hanno insegnato una cosa: la classe operaia fa politica, si costruisce ed elabora programmi politici a partire dalle contraddizioni che vive in fabbrica. Questa «intuizione» può sembrare scontata. Di fatto invece la sinistra rivoluzionaria tende a sottovalutare l’aspetto fondamentale che ci sta sotto: il rapporto tra classe operaia e processo produttivo.

La storia del movimento operaio insegna che in Russia il proletariato lottò e prese il potere per ridistribuire la produzione; oggi la classe operaia deve lottare e prendere il potere per «cambiare il modo di fare» la produzione.

È per questo che oggi lotta politica non è tanto lotta contro la distribuzione della produzione quanto lotta contro il modo di fare la produzione: contro l’organizzazione capitalistica del lavoro. E’ per questo che il Partito deve nascere dalla fabbrica.

La lotta della classe operaia per la presa del potere deve trovare momento di centralizzazione e dirigenza nel partito operaio, nel partito della classe operaia. E il partito deve per forza di cose tener conto del rapporto tra processo produttivo e classe operaia e del tipo di classe operaia che, in un determinato momento storico, svolge il ruolo centrale.

Figura centrale dell’attuale modo di fare la produzione è l’operaio dequalificato di produzione, l’operaio che per la sua assoluta estraneità al processo produttivo è anche l’immane forza rivoluzionaria che ha sorretto l’attacco all’organizzazione capitalistica del lavoro in questi anni di continue lotte aziendali delle grandi fabbriche.

È a partire da questo tipo di classe operaia, dalla forza interna, strutturale, da essa espressa, che i Collettivi Politici Operai intendono portare la loro proposta di organizzazione dell’autonomia operaia in vista della costruzione del partito. Partono quindi dalle lotte di fabbrica per vedere il contenuto politico che c’è dentro e far vedere come per la sua realizzazione finale l’obiettivo ultimo per cui lottare è il socia-ismo. Il loro compito è partire dagli obiettivi espressi dalle masse per sintetizzarli e riportarli come programma politico di lotta alle masse stesse.

Quello dei C.P.O. è un lavoro d’avanguardia dentro la massa: l’organizzazione di massa della classe operaia è il Consiglio di Fabbrica; i C.P.O. sono in vece un momento di costruzione dell’organizzazione politica complessiva.

Il dire questo comporta anche un tipo di lavoro chiaro all’interno del C.d.F. il Consiglio non è per i C.P.O. una tribuna ma è un luogo in cui il delegato, reale espressione del proprio reparto, viene messo di fronte alla responsabilità di essere dirigente nell’impostare la strategia di lotta. È per questo che compito dei C.P.O. è anche la difesa della democrazia operaia concretizzata nel Consiglio, affinché il delegato possa esprimere non tanto valutazioni soggettive quanto, sulla base della spinta degli operai che ha dietro, trovare strategie di lotta che non possono che essere rivoluzionarie (data la sempre più spinta estraneizzazione della classe operaia dal processo produttivo).

Ma compito dei C.P.O. è anche quello di svelare alle masse che l’uso dei Consigli da parte dei riformisti tende a trasformarli in momento consultivo, in uno strumento di controllo della classe operaia e veicolo della scelta di integrazione nello Stato borghese dei burocrati. Ecco perché i Collettivi Politici Operai denunciano politicamente alle masse le scelte del Consiglio dettate dalla linea riformista, che non rispondono quindi agli interessi di classe.

In sintesi, gli operai, le loro condizioni di vita, la fabbrica sono il centro dello scontro; e che esso sia riformista o rivoluzionario è determinato dal fatto se le lotte sono indirizzate a «razionalizzare» oppure a «distruggere il modo di produzione capitalistico; da qui si può anche impostare la lotta contro il governo, Andreotti, ecc. ecc. Ma tenendo fermo il punto che l’organizzazione politica rivoluzionaria deve nascere dalla fabbrica.

I Collettivi (CPO) sono autonomi perché hanno una loro strada di costruzione del partito; sono unitari perché sul programma generale di lotta si confrontano con tutte le altre organizzazioni di fabbrica e coi gruppi e su questo programma (non quindi sullo scontro teorico) trovano momenti di reale unità per tutti.

«È finito il tempo dei partitini (espressione organizzativa delle lotte degli studenti) che si pongono alla ”testa delle masse”. La necessità materiale della classe, e insieme la sua unica possibilità è organizzarsi autonomamente intorno ai propri reali interessi a partire dalle lotte e dalla propria forza in fabbrica per poter dirigere in prima persona il processo di costruzione della propria organizzazione e il proprio programma rivoluzionario» (da un documento del Collettivo Politico Alfa Romeo, v. «Rassegna comunista», n. 10, marzo ’73).

 

Troppo spesso, nel movimento degli studenti, il problema dell’organizzazione delle masse e delle avanguardie è stato posto in modo distorto e modificato, o non è stato posto per niente. È questo che ha permesso al PCI di fare di questo tema il suo cavallo di battaglia per l’intervento nella scuola.

Una cosa, i revisionisti, l’hanno capita: il problema dell’organizzazione non è problema di «vestiti» e di modelli indipendenti. Da ogni linea politica discendono dei modelli organizzativi conseguenti.

I revisionisti vogliono risolvere gli squilibri e le arretratezze della scuola, all’interno della funzione che questa società le delega; quindi propongono alle masse organismi (i consigli degli studenti) che possano rendere «compatibile» la «politica» degli studenti con la funzione di questa scuola, che cerchino di tamponare l’estraneità delle masse alla scuola borghese, facendole «partecipare» all’organizzazione della didattica, ecc.

Per noi è tutto il contrario: si tratta di sviluppare l’estraneità degli studenti alla scuola, di trasformarla in antagonismo politico cosciente all’organizzazione borghese dello studio. Quindi non vogliamo organizzare le masse nell’istituzione, ma contro l’istituzione questo è il senso della nostra lotta ai parlamentini e alla regolamentazione dell’agibilità politica.

E’ possibile che crescano organismi rappresentativi del movimento delle masse contro questa scuola e quindi non costruiti su discriminanti ideologiche), solo dove le masse non vivono la «politica»

come qualcosa di esterno, di ideologico, che non ha nulla a che vedere con le loro contraddizioni con l’istituzione.

Molti compagni hanno scelto queste contraddizioni come terreno di scontro «sindacale».

In questo modo, a lungo andare, hanno alimentato questa concezione: una cosa è la lotta «interna» e un’altra è la «politica» con la P maiuscola; quella di Andreotti, del Vietnam, della classe operaia.

Esempi classici di questa tendenza sono Avanguardia Operaia e il MS della Statale di Milano.

Ecco dunque un modello di organizzazione che è comune a molti settori del movimento: vengono barattati per « organismi di massa », organismi generalmente costruiti su discriminanti ideologiche,

che di massa non sono affatto, in quanto ripropongono una visione della politica esterna al movimento delle masse. Sono, in sostanza, degli organismi d’avanguardia, più o meno forti, ma propri delle avanguardie.

Costruire organismi di massa nella scuola significa per noi organizzare l’estraneità delle masse alla istituzione; quindi significa costruire organismi «aderenti» all’istituzione, che siano momenti unitari di tutti gli studenti che fanno questa lotta; dove questi studenti facciano politica in prima persona (Collettivi di sezione, di piano ecc.).

Per noi rompere l’ambiguità di organismi quali i CUB, i Collettivi del MS (almeno a Milano) ecc., significa appunto proporre al movimento questo modello organizzativo.

Arriviamo dunque ai Collettivi Politici Studenteschi. I Collettivi Politici Studenteschi sono quegli organismi d’avanguardia che portano questo programma nella scuola.

Questa proposta, infatti, non potrebbe marciare se non avesse delle solide gambe nel movimento. E non potrebbe, noi crediamo, essere portata avanti direttamente dai gruppi, nell’intervento di massa. Per questo i Collettivi Politici Studenteschi sono, realmente e non formalmente, organismi autonomi delle avanguardie studentesche: perché vogliono raccogliere tutto uno strato intermedio di avanguardie di scuola, che pur non riconoscendosi direttamente nei gruppi, hanno una problematica politica che travalica i temi dell’intervento nella singola scuola, per porsi quello di un intervento strategico.

Il fatto che i C.P.S. non si basino su discriminanti ideologiche, non contraddice certo il loro carattere d’avanguardia»: i compagni che ne fanno parte sono comunisti che si unificano su un programma strategico di intervento sulla scuola.

I punti discriminanti di questo programma possono essere riassunti sommariamente:

  1. I) il rifiuto dell’ideologa e del sindacalismo: il lavoro continuo perché le masse si riapproprino in prima persona della politica, all’interno dello scontro continuo con la scuola borghese, in tutte le sue articolazioni.

2) il riferimento politico ed organizzativo all’autonomia operaia: sviluppare le lotte degli studenti sulle tematiche centrali del programma operaio: la lotta egualitaria e la lotta per il salario. Fare di questo programma la base per l’attacco cosciente delle masse estraniate alla divisione del lavoro.

3) lavorare concretamente per la costruzione di organismi rappresentativi del movimento delle masse. Su questo piano è possibile unificare nei C.P.S. compagni che, sebbene abbiano diverse impostazioni teoriche, sono uniti sul programma d’intervento nella scuola. È significativo, ad esempio, che in molte città questa esperienza sia stata fatta propria anche da Lotta Continua.

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pubblicato il in Storia di Classedi redazioneTag correlati:

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