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“… apertamente e fattivamente dissociarsi…“

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Si è molto discusso dentro e fuori le galere, tra i compagni, sui giornali, nel e contro il movimento, dei comportamenti dei compagni che a centinaia sono stati stati setacciati e raccolti nelle varie inchieste e nei molteplici blitz “aniterroristici” dal 7 aprile ad oggi. Molti interessi, molte strumentalizzazioni, molte mistificazioni hanno alimentato questo dibattito, gonfiandolo a dismisura e drammatizzandone toni e passaggi: ma è anche vero che molti comportamenti, molte “linee difensive”, molte dissociazioni, molte rivisitazioni del proprio passato sono state e sono sconcertanti, ambigue e politicamente pericolose! La categoria del pentimento – che tanto spazio ha nella campagna che ha centralizzato tutti i mass-media contro il movimento comunista e le forme radicali dell’antagonismo sociale – è quanto di mai generica ed indistinta: vi si vuole accomunare il tradimento, la menzogna, la presa di distanza, la provocazione, la leggerezza, l’errore e l’infamia. Un arco di posizioni molto diversificate, comportamenti e responsabilità, tutti esecrabili e negativi, ma incommensurabili tra loro per intensità e gravità.

Evidentemente anche questa consapevolezza ha stimolato la discussione dell’intero movimento rivoluzionario che ha espresso orientamenti e posizioni elasticamente diversificate, realisticamente commisurate alla “natura” del fenomeno.

Da sempre i movimenti di liberazione, il movimento comunista, gli aggregati sociali in lotta si sono imbattuti in traditori, in spie, in mercenari provocatori vendutisi al nemico: storicamente, con buona pace di tutti, si è affermata un’unica prassi contro tali esseri spregevoli. L’infamia è da sempre considerata il più grave dei delitti, contro gli interessi ed il lavoro collettivo.

E per coloro che hanno sbagliato, che hanno ammesso, che hanno sottoscritto, pur senza provocare “direttamente” guasti pesanti e tragici? È stata proprio la comprensione e la pubblica denuncia della natura politica, del carattere “dell’errore” che ha indotto una così attenta ed articolata discussione nel movimento. Senza il moralismo di fermarsi al solo dato della mancanza di dignità, di coraggio e di miseria personale manifestatasi in, purtroppo, numerosi compagni travolti dalle varie inchieste.

Il vizio di fondo dell’atteggiamento di questi sbandati non è stata la partecipazione attiva alla costruzione delle inchieste o la responsabilità diretta nella criminalizzazione e persecuzione di singoli compagni, di strutture ed esperienze del movimento, di percorsi di lotta, di intere fasi storiche, il limite, si dice, è tutto nell’accettazione passiva delle ipotesi accusatorie, nella subordinazione totale, morale e culturale, prima ancora che politica, alle varie accuse che pm e GI, specializzati in antiterrorismo, hanno vomitato a getto continuo contro il movimento rivoluzionario. La relativa ampiezza del fenomeno richiama, anche, per la responsabilità, per quanto riguarda l’interno del movimento, tutti quei comportamenti in quelle posizioni che hanno aiutato la campagna di desolidarizzazione e di rottura dell’unità politica e della solidarietà comunista e proletaria.

Vi è consapevolezza tra i comunisti, nel movimento che con chi, per debolezza, leggerezza, viltà, poca chiarezza o paura, ha assunto (immediatamente rafforzandolo) il punto di vista degli inquisitori nulla potrà più essere “come prima”; vi è comunque una fiduciosa attesa che la possibilità di un franco dibattito con e nel movimento, che imponga la ragionevolezza (contro ogni miraggio di vantaggio individuale, agevolazione o benevolenza statuale) dell’esplicita ed onestà sottomissione alla verità collettiva della reale storia ed immagine del movimento. Riconoscimento e reimposizione dei caratteri del movimento come tutti i compagni li hanno conosciuti e condivisi. NON SEMPLICE RITRATTAZIONE, DUNQUE, MA DIGNITOSA RIVENDICAZIONE DI UNA REALTÀ POLITICA E DI UN PERCORSO STORICO E CULTURALE COMUNE E COLLETTIVO. Al di là della comprensione politica, c’è certo bisogno di un guizzo di umanità, di un barlume di coraggio, ma forse è sufficiente una mentalità pratica e un po’ di buon senso: queste piccole pedine corollario e contorno dei grandi pentiti, infami ed assassini, si rendono ben conto che vivere come paria, disprezzati e isolati, abbandonati dal loro mondo di provenienza, usati e gettati dal cinismo e dalla spregiudicatezza di fedeli servitori dello Stato ha un pesantissimo costo sociale e personale. Questo sforzo individuale, questa revisione e ritrattazione di impressioni e giudizi distorti, dentro all’attenzione che oggi il movimento antagonista ha su questa sua zona buia, va seguito in un dibattito generale e profondo che coinvolga tutti i compagni, dentro e fuori le galere.

 

Fonte: AUTONOMIA n. 24 – giugno 1981

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