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L’ambivalenza della forza riproduttiva

Il punto zero della rivoluzione (ombre corte, 2014) raccoglie alcuni saggi scritti da Silvia Federici tra la metà degli anni Settanta e il primo decennio degli anni Duemila. In tal modo, il volume fornisce una panoramica ampia del percorso teorico e politico di una delle maggiori femministe marxiste contemporanee e si presta a diversi livelli di lettura. Ognuno dei contribuiti, infatti, intrattiene un legame specifico con il contesto storico-politico di rielaborazione e, al contempo, possiede un’autonomia teorica che ne consente la “traduzione” all’interno di orizzonti differenti.

La materia viva della storia, la passione dell’esperienza e la lucidità della teoria sono il collante primario che tiene insieme i saggi raggruppati nel testo e che ne determina il piacere alla lettura. Non vi è rigo o paragrafo, infatti, che non interpelli il presente, la sua complessità e le sfide politiche racchiuse al suo interno. La noia – la tristezza del cuore, per dirlo con Walter Benjamin – è bandita nello stile e nella pratica di Federici, la quale, in tal modo, non sembra invitare soltanto alla semplice riflessione o discussione tematica, ma, più radicalmente alla condivisione di una passione comune, quella di una politica femminista ben piantata con i piedi sulla terra.

Riportare il femminismo sui piedi – come titola uno dei saggi della raccolta – può essere considerato uno degli obiettivi principali dell’attività di Federici. L’espressione, che fa eco alla celebre ingiunzione di Marx alla filosofia, allude infatti alla necessità di elaborare e praticare una prospettiva politica femminista e materialista in cui i problemi dell’emancipazione e della liberazione delle donne dai rapporti di dominazione e sfruttamento siano formulati a partire dalla presa in carico delle possibilità materiali di cui godono soggetti concreti all’interno di contesti storicamente e geograficamente specifici.

Da questo punto di vista, l’insieme dei contributi è legato da un duplice presupposto critico – più volte ribadito, ancorché lontano da ogni velleità polemica e rigidità ideologica – nei confronti di un orientamento femminista incentrato sulla questione della coscienza o interamente riassorbito all’interno dell’agenda della politica istituzionale. Sin dal suo approccio iniziale al femminismo, infatti, Federici contribuisce alla formulazione di una proposta teorico-politica che mette in primo piano strategie collettive e situate di liberazione in grado di incidere in modo diretto sui rapporti sociali di produzione e riproduzione all’interno del capitalismo.

Tenendo conto di questo orizzonte complessivo, il volume propone una selezione coerente e coesa di saggi a partire dalla centralità della categoria di riproduzione dei rapporti sociali all’interno del percorso intellettuale e politico dell’autrice. Da una lettura complessiva del testo, infatti, emerge una posizione originale e feconda sul piano teorico e politico che instaurata una relazione diretta tra i processi di riproduzione sociale e le forme di accumulazione capitalistica. Articolando una lettura singolare di Marx con diagnosi congiunturali specifiche, infatti, Federici mostra come alla continua ristrutturazione dei rapporti capitalistici corrispondano forme di «accumulazione originaria» inerenti ai rapporti di riproduzione sociale. E, per converso, insiste sulla necessità di organizzare strategicamente gli spazi di autonomia disseminati nel tessuto delle relazioni riproduttive. Secondo Federici – che, sopratutto su questo punto avanza una lettura originale di Marx – non è possibile ridurre interamente la questione riproduttiva a quella produttiva poiché, così come in termini analitici la riproduzione non risulta interamente riconducibile al consumo di merci prodotte all’interno del ciclo produttivo, allo stesso modo il terreno della produzione non costituisce l’unico asse che definisce la conflittualità dei rapporti sociali.

L’assunzione di una funzione ambivalente della forza riproduttiva all’interno dei processi di sussunzione capitalistica costituisce il punto di partenza da cui, da prospettive storico-geografiche molteplici, vengono rielaborati gli interventi raccolti nel volume. Il primo nucleo di saggi – che fa particolare riferimento all’esperienza della campagna internazionale per il “salario al lavoro domestico” negli anni Settanta – ruota intorno alla questione del “lavoro domestico” contemporaneamente definito come una forma di sfruttamento specificamente femminile e come terreno di politicizzazione di una sfera dell’esperienza all’interno della quale si è storicamente socializzato un soggetto massivo. Le donne, in qualità di lavoratrici domestiche, infatti, non costituiscono una soggettività pre-data in senso essenzialistico, ma una posizione incarnata politicamente strategica.

Nel secondo nucleo di saggi – elaborati tra la fine degli anni Novanta e i primi anni Duemila in concomitanza alla formazione di un movimento anti-capitalista transnazionale e fortemente influenzati dall’esperienza di Federici in Nigeria negli anni Ottanta – la questione riproduttiva diventa centrale per la comprensione dei processi di aggiustamento strutturale del capitalismo nel passaggio dal fordismo nordaltantico al post-fordismo globalizzato. In particolare, Federici insiste sul carattere strutturale delle «crisi riproduttive» che – a diverse latitudini e longitudini e ad intensità variabile – hanno accompagnato la formazione di una nuova spazialità capitalistica. Come osserva l’autrice in un saggio del 2008 edito nel volume, nel passaggio al capitalismo neoliberale «è saltata la successione temporale tra riproduzione e accumulazione [poiché] i lavoratori sono stati costretti ad assumersi il costo della loro riproduzione, mentre ogni momento della riproduzione della forza lavoro veniva trasformato in un immediato punto di accumulazione» (p. 95).

A partire da questa consapevolezza, l’ultimo nucleo di saggi – elaborati sul finire della prima decade degli anni Duemila e stimolati dall’emergere di nuove forme di lotte su scala globale – presenta le ipotesi più recenti dell’autrice sulle possibilità politiche inerenti alle forme di riproduzione sociale nel contesto attuale. Sulla base di una diagnosi disincantata che fa i conti con le realtà in cui il processo di accumulazione del capitale tende a coincidere con una riproduzione vicina allo zero – cioè con i regime di povertà e miseria radicali – Federici insiste sul carattere conflittuale dell’attività riproduttiva e sull’importanza di esperienze resistenti capaci di affermare una forma del valore sganciata dalla valorizzazione capitalistica. Per l’autrice, tuttavia, la posta in gioco non è l’organizzazione di una sorta di “pauperismo d’avanguardia”, ma, al contrario l’instaurazione di una coincidenza diretta del piano organizzativo con quello riproduttivo all’interno dei movimenti sociali che intendono affrontare il regime capitalistico attuale.

In questo modo, seguendo alcuni snodi importanti della riflessione di Federici, ognuno dei quali connotato da un’importanza specifica, il volume approda alla formulazione di una proposta di riflessione e sperimentazione collettiva aperta al presente e alla ricettività di nuove generazioni di attivisti e attiviste. Con le stile che le è proprio – privo di compiacimenti e fronzoli – Federici individua un terreno sul quale la miseria connaturata a esperienze di vita individualizzate e sempre più impoverite può tradursi in forza e passione collettiva, un punto di radicamento esperienziale e discorsivo a partire dal quale all’imposizione capitalistica della sopravvivenza – cioè della riproduzione di sé e degli altri ad un livello minimo – vada sostituendosi una capacità condivisa di affermazione e appropriazione delle condizioni e dei mezzi necessari alla soddisfazione della vita in quanto bene primario e condiviso.

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