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Cattivi maestri, buoni consigli. #1. Attualità della rivoluzione

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Seconda parte un percorso di rilettura e riscrittura aperto. Leggi il preambolo al cammino: #0.

 

L’attualità della rivoluzione è l’idea fondamentale di Lenin, dice Lukács (1) . In che senso è possibile sostenere ancora questa idea e appropriarcene in un contesto di apparente assenza di movimento rivoluzionario della classe?
Bisogna penetrare in profondità il senso di questa idea in Lenin.

Sostiene Lukács nel 1924 che certe interpretazioni, per non tacere della grandezza di Lenin, tendono a ridurlo a grande uomo politico. Si tratta di letture sono riduttive e opportuniste dice il pensatore ungherese (2). Lenin al contrario, sostiene Lukács, è il più grande pensatore che il movimento operaio abbia avuto da Marx in poi non (solo) perché fu guida del proletariato russo, ma innanzitutto perché fu il massimo interprete del materialismo storico che è la teoria della rivoluzione proletaria.

Un primo accorgimento su cosa non è il materialismo storico in quanto teoria della rivoluzione. Esso non è una teoria della generalizzazione. In altre parole i problemi e le soluzioni fornite da Lenin in riferimento alla realtà russa non valgono e non devono valere su un piano universale. Egli individua però dei compiti immediati per una realtà determinata e in riferimento a dei fini ultimi. È per questo un rivoluzionario, un materialista e un comunista. Ma questi compiti di chi sono? Su cosa agiscono? E inoltre, a chi appartengono questi compiti e perché vengono assunti? Osservando quale fine ultimo?

Il discorso va situato. Lenin parla sempre dei compiti di una minoranza di proletari rivoluzionari vincolandoli, in qualità di militanti rivoluzionari, a un modo di stare nella propria realtà quotidiana per trasformarla in vista di fini ultimi che diremo comunisti. È una regola di militanza come approccio all’esistente per la rivoluzione. C’è una pagina di Romano Alquati che, pur non riferendosi direttamente a Lenin, ben specifica la natura e il posizionamento di un discorso indirizzato alle condizioni materialistiche di un’organizzazione comunista (o ipercomunista, secondo le esigenze dell’oggi).

“Ma stiamo attenti: ripeto ancora, non confondiamo la quasi-utopia finale e globale, essa pure mobile, della società alternativa che vogliamo costruire, ed andiamo costituendo, e dell’iperproletariato in generale, con il discorso (…) dell’organizzazione ipercomunista che vuole svilupparne la costituzione (…). Sono due livelli e momenti distinti. Io qui mi riferisco a questa organizzazione che vuole promuovere un nuovo comunismo non ad agenti proletari qualsiasi. E nemmeno a certi comunisti cnella loro anima bella ma refrattari ad organizzarsi per realizzare questo neo (od iper-) comunismo medesimo. Quindi mi riferisco ad una minoranza.
Pertanto ora anticipo il tema qui centrale dicendo che mentre iperproletari qualsiasi, singolari o collettivi (la gente qualsiasi quindi), io qui non li voglio vincolare proprio a nulla e li considero liberissimi; invece io dico che coloro che si dichiarano in qualsiasi maniera membri di una qualsiasi organizzazione che racconti in giro di promuovere ed attuare il misterioso e demodé “comunismo”, anche nuovo o rinnovarlo, così sono vincolati. Questi membri sono vincolati, ossia essi limitano la loro libertà attuale , ossia rinunciano a una parte di questa in vista di una maggiore e migliore libertà futura… non solo, ma rinunciano a una parte della libertà odierna anche allo scopo di dare maggiore potenza e riccchezza già fin da ora alla libertà attuale ed ambivalente (anche sistemica) che loro rimane, libertò loro personale in quella collettiva. No? L’accettazione di questo vincolo è implicità nell’adesione all’una o all’altra organizzazione per un qualsiasi comunismo.”(3)

Questi compiti, per questa minoranza, devono essere rintracciati entro una realtà concreta e determinata. È il materialismo come metodo che non è né un processo di astrazione che estende “particolari aspetti di un fenomeno temporalmente e localmente determinato, assunti come «leggi generali» e utilizzati come tali”(4), né una forma di idealismo corretto da una volontà storicamente situata e al servizio dell’agire politico. Per questo, su delle premesse materialiste, attualità della rivoluzione non può significare l’eventualità della rivoluzione ogni qualvolta la si scelga.

“Né Lenin né Marx avevano presentato l’attualità della rivoluzione proletaria e dei suoi scopi ultimi come se la si potesse realizzare a piacere in qualsiasi momento” ma come il fatto che “ogni singolo problema attuale deve essere considerato in rapporto alla totalità storico-sociale, e che deve essere visto come un momento dell’emancipazione del proletariato”.(5)

Attualità della rivoluzione è la possibilità sempre attuale di guadagnare entro (e contro) delle relazioni storico-sociali determinate un momento di inversione del processo che ordina il verso di quei rapporti. Sotto questo riguardo uno sguardo materialista si serve come lenti di due categorie fondamentali: quella di composizione e quella di tendenza. Meglio, il concetto di composizione tecnica e politica di classe, ovvero l’organizzazione della forza lavoro nel suo rapporto con il lavoro morto e il processo di autonomizzazione di questa come soggetto collettivo irriducibile in questo stesso rapporto, è lo sviluppo dialettico di un’altra categoria, quella di formazione sociale determinata.

Prestissimo, nel 1894, un Lenin imbevuto ancora di un certo positivismo, in “Che cosa sono «gli amici del popolo»?” scagliandosi contro la sociologia populista di Michaijlovskij, scrive che in riferimento a questa “non si può neanche parlare di un sviluppo, ma soltanto delle diverse deviazioni da ciò che è «desiderabile», dei «difetti» che si sono prodotti nella storia in seguito… in seguito al fatto che gli uomini non erano intelligenti, non sapevano capire bene che cosa esiga la natura umana, non sapevano trovare le condizioni per la realizzazione di tali ordinamenti razionali. È chiaro che l’idea fondamentale di Marx, l’idea di un processo sotorico naturale di sviluppo delle fomrzioni economico-sociali scalza dalle radici questa morale puerile che pretende chiamarsi sociologia”.(6) Di contro, avanzando il punto di vista materialista, aggiunge “soltanto riducendo i rapporti sociali a rapporti di produzione, e questi ultimi a livello delle forze produttive, si è ottenuta una base salda per rappresentare l’evoluzione delle formazioni sociali come un processo storico naturale”.(7) Lenin in riferimento al materialismo storico ha l’esigenza di mettere in luce una dialettica di sviluppo. Commenta Negri:

“La scienza della formazione e dello sviluppo capitalistico deve essere sempre riportata alla determinatezza dei rapporti di forza tra le classi così come questi si pongono al suo interno. Non esiste possibilità di sviluppo del capitale che non sia di per sé registrazione, in qualsiasi senso sia questa determinata, di un rapporto di forza nella lotta nella lotta tra le classi. Tutti i rapporti sociali debbono essere riportati alla lotta, al conflitto che si dà tra le forze produttive, dentro i rapporti della produzione sociale”(8).

La dialettica è l’arma metodologica che permette di invertire i fini dello sviluppo rispetto alla totalità data. Le tendenze dello sviluppo sono forze ambivalenti perché prese nel conflitto interno ai rapporti della produzione sociale. Il concetto dell’astrazione determinata permette “la compensione della dialettica rivoluzionaria nel quadro della tendenza, la comprensione del particolare insubordinato alla prospettiva della totalità”(9). Il circolo marxiano concreto-astratto-concreto dell’astrazione determinata specifica negli antagonismi concreti del rapporto sociale le tendenze che informano lo sviluppo di capitale e delle forme formazioni sociali nello sviluppo di capitale, dunque i rapporti sociali e la loro forma determinata come rapporti antagonisti di sfruttamento.(10)

Guadagnare la concretezza delle formazioni sociali determinate a partire dall’intenderle come un prodotto del rapporto conflittuale tra forze produttive consente di riferirsi alla totalità del processo capitalistico non a partire dall’oggettività dei suoi fini attuali già dati, ma a partire dallo sviluppo attuale e sempre possibile delle sue tendenze interne come forze antagoniste e sovversive dei fini che definiscono i fini attuali entro i quali si inscrivono. Lukács a proposito di Marx scrive: “proprio il fatto di aver avuto sempre presenta la totalità del processo capitalistico gli ha consentito di scorgere in ciascuna delle sue manifestazioni il suo senso complessivo, e di coglierne nella struttura anche il movimento”(11).

Attualità della rivoluzione significa quindi critica dell’irriformabilità delle condizioni oggettive della realtà che ne decretano la sua non trasformabilità. Critica di un penisero che non contempla il conflitto come motore della realtà. Al contrario il pensiero rivoluzionario vede la possibilità della trasformazione ben prima che questa si dia: la sua attualità.

“Per l’uomo comune la rivoluzione proletaria diviene un fatto percepibile solo quando le masse operaie stanno già lottando sulle barricate, e neppure a questo punto, se l’uomo comune ha assimilato soltanto le nozioni di un marxismo volgare. Per i marxisti volgari infatti le basi della società borghese sono così inamovibili che anche quando essa vacilla più gravemente egli si augura soltanto il ritorno del suo stato «normale», e vede nelle sue crisi soltanto degli episodi passeggeri, sicché considera la stessa lotta che vi si sviluppa com un’irragionevole ribellione di gente sconsiderata contro un capitalismo pur sempre invincibile”. (12)

Non solo ottimismo rivoluzionario contro il triste pessimismo di chi fa propria la rassegnazione. Certo, anche quello. Ma soprattutto la metodica ricerca di punti di rottura e di inversione e la certezza della loro esistenza perché questa realtà si struttura per contrasti. Lo sviluppo sempre possibile di tendenze antagoniste è l’attualità della sovversione della totalità data. È lo sviluppo dunque di queste tendenze per altri fini, alternativi e contrari.

“Il social-comunismo è in crisi da alcuni decenni perché, privo di fantasia strategica nonché di riferimento a desideri radicali della gente iper-proletaria, non sa prospettare ad essa gente niente di (fortemente) desiderabile, in alternativa a quello che il padrone collettivo dà e/o promette. Ed infatti la gente preferisce comunque il capitalismo. Riducendoci a una quasi-utopia. Io premetto, fra l’altro, la mia opzione ed ipotesi che i fini ultimi comunisti e/o iper-comunisti non debbano nemmeno limitarsi al liberare il valore dal capitale, ma siano di liberazione dell’umanità dalla forma-valore stessa, e quindi dalla stessa forma-merce; oltreché dal capitale e dalla forma-capitale. Questa è una discriminante strategica e metastrategica da attuare fin d’ora per l’ipercomunismo come a mio parere lo fu per il comunismo originario: attualissima!”(13)

Sì, crediamo, attualissima!

 

 

__________________________________

1 G. Lukács, Lenin. Teoria e prassi nella personalità di un rivoluzionario, Einaudi, Torino, 1970, p. 13.

2 Ivi, p. 17.

3 R. Alquati, Camminando per realizzare un sogno comune, Velleità alternative, Torino, 1994, pp. 30-31.

4 G. Lukács, cit. p. 12.

5 Ivi, p. 15.

6 V.I. Lenin, Opere Complete, vol.1, Editori Riuniti, Roma, 1955, p. 132.

7 Ivi, p. 135.

8 A. Negri, Trentatre lezioni su Lenin, Manifesto libri, Roma, 2004, p. 28.

9 Ivi., p. 29.

10 Astrazione determinata è il lavoro non come lavoro in generale ma come lavoro nel modo di produzione capitalistico mediato dalla forma merce.

11 G. Lukács, cit. p. 13.

12 Ivi., p. 14; “La direzione operaia del movimento è lotta contro le condizioni obiettive”, in A. Negri, op. Cit. p. 72.

13 R. Alquati, op. Cit., p. 31.   

 

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