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Elezioni 2018. Da Napoli sull’anomalia napoletana

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Riceviamo e pubblichiamo.

Un’altra elezione è alle porte, il 4 marzo si tornerà alle urne per eleggere i “nuovi” governanti. Il teatrino della politica istituzionale si è già riaperto, tra finte contrapposizioni e solite promesse elettorali. Promesse che tuttavia non ingannano più i governati costretti a sopportare l’arroganza di un potere marcio che ci vuole precari a vita nel lavoro come nell’esistenza e ci chiama solo quando gli fa comodo, a legittimarlo con una croce in bianco per toglierci anche la parola. Che si tratta di un potere in crisi, anche se ancora saldamente legato alle sue poltrone lo dimostrano i trend di astensione degli ultimi anni non solo in Italia, che evidenziano una distanza sempre più profonda tra istituzioni ed abitanti, tra bisogni sociali insoddisfatti e logiche di palazzo piegate ai diktat dei poteri che contano veramente; agli interessi delle lobbie, del capitale internazionale impegnato in un’aspra concorrenza interna per ridisegnare sul piano geopolitico globale aree di influenza e distribuzione dei profitti a scapito dell’umanità e del pianeta stesso. Un potere sempre più armato che utilizza le sue istituzioni, nazionali e transnazionali per imporre le politiche economiche agli stati, che decide arbitrariamente i confini, che alimenta lo scontro tra poveri e sempre più spesso fa ricorso al terrorismo ed alla guerra. In questo quadro di comando anche quando nuove forze politiche, hanno i numeri per governare – il caso greco vale per tutti – in realtà non hanno alcun potere reale di farlo. (Anche dove attraverso appuntamenti referendari il dominio apparentemente legittima la volontà popolare, notiamo che la decisione finale spetta sempre ad altri, basti ricordare il referendum per l’acqua pubblica tenutosi nel 2011 dove il fronte contro la privatizzazione vinse in maniera schiacciante ma di fatto il servizio idrico è un servizio pubblico a “rilevanza economica” da gestire secondo le leggi del mercato).

Mai come ora, “Il re è nudo”, i residui della stessa democrazia formale sono del tutto erosi, nello specifico italiano praticamente cancellati, visto il succedersi di governi decisi dall’alto senza nemmeno il ricorso alle urne. Insomma siamo nello stadio della democrazia puramente apparente, eppure ogni giorno si sprecano gli inviti della classe politica a non astenersi perché sanno bene che il crescere dell’astensione comporta una crisi di fiducia e di legittimazione che nel malcontento può assumere anche forme organizzate. Più che la vittoria dei cinque stelle, ormai sussunti nel sistema e pronti a governare anche in una larga coalizione con PD e Lega, il vero elemento di destabilizzazione è proprio l’astensionismo, l’incubo che un giorno possa autorganizzarsi. Figuriamoci se un partitino come “potere al popolo” possa destare preoccupazione per il sistema o invece, come pensiamo, essere funzionale proprio a legittimarlo. Del resto di partitini della sinistra c.d. radicale, nati anche dalle file dei movimenti ed approdati in parlamento, ne abbiamo visti diversi e tutti con esito rovinoso, al di là della personale gratificazione per qualcun@. Sia chiaro da subito, non ci preme per nulla porre l’accento o condannare quelle realtà di movimento che hanno deciso di costruire o aderire a cartelli politici nati in vista delle prossime elezioni politiche.

Non rinunceremo però a dare un nostro punto di vista su quanto sta accadendo, e cioè su quella che riteniamo senza mezzi termini una involuzione rispetto agli già scarsi risultati che faticosamente negli ultimi anni si era prodotto collettivamente. Lo diciamo con chiarezza, non crediamo che la costruzione di liste elettorali “di movimento”, possa essere la via di uscita rispetto al torpore e all’immobilismo che attanaglia il fronte anticapitalista nazionale. Paradossalmente, nell’ultimo decennio in concomitanza con la progressiva difficoltà dei movimenti di occupare lo spazio vuoto lasciato dallo sbriciolamento dei partiti tradizionali, continuando a porsi come forza di trasformazione rivoluzionaria, si è andato progressivamente accompagnando un percorso inverso: l’opzione istituzionale. Rimanendo alle realtà napoletane, si è infatti passati dalle prime esperienze nelle municipalità, sperimentate a cominciare dagli anni zero da alcune realtà di movimento, ad un demagogico controllo popolare delle ultime amministrative, fino al recente salto sulla scena delle elezioni politiche con un cartello elettorale (c.d.) di movimento. In tal modo, a nostro avviso, dalla decantata “anomalia napoletana” intesa come capacità di condizionare dall’esterno le scelte politiche cittadine, si rischia di cadere in un’altra anomalia quella di una sussunzione progressiva, tal volta del tutto inaspettata, di fasce di movimento dentro il baraccone della politica istituzionale.

L’arretramento dei settori di classe, che si presentano stratificati e frammentati, e dei movimenti pone quest’ultimi nella incapacità di legare il soddisfacimento dei bisogni sociali col conflitto. La debolezza strutturale porta, spesso, spezzoni di movimento a sostituirsi ai servizi, al welfare pubblico e misto, diventando ammortizzatori sociali e, di fatto, regolatori del conflitto. Incapaci di cogliere la dialettica con i territori e con quei soggetti del proletariato metropolitano con cui sono in relazione. Pensiamo che la vera sfida sia quella di spingere l’acceleratore sul pedale della delegittimazione e del rifiuto della delega, di promuovere in maniera più larga ed efficace processi di autorganizzazione; tenere aperta la possibilità concreta di un’alternativa radicale e dal basso, contro ed oltre la politica istituzionale, impedendo che nuovi giochi di potere, espressione di vecchie logiche di partito, tentino di perpetuare l’obiettivo di anestetizzare il conflitto. Prioritario per noi rimane l’attribuire centralità alla piazza, rifiutando la pacificazione dei movimenti e continuando a proporci come punto di riferimento per la ripresa della conflittualità sociale e di classe, che dal livello territoriale sia capace di guardare oltre lo stato nazionale con particolare attenzione all’area del Mediterraneo.

Siamo convinti che per essere all’altezza dei tempi sia indispensabile costruire una battaglia politica e culturale dal carattere ricompositivo per strappare un reddito incondizionato dal lavoro per tutt@, individuale e sufficiente a vivere, che ci liberi dal ricatto del lavoro salariato riducendone drasticamente l’orario e che sia capace di fare spazio ad altre forme di cooperazione per ridisegnare un altro modello di sviluppo. Lo ripetiamo in una fase in cui la disillusione verso i partiti e la politica istituzionale in generale, è sempre più diffusa, il tentativo di ricondurre il malcontento ed i conflitti nelle sedi di partito, rilegittimando le istituzioni ci appare antitetico alle necessità di fase. Per raccogliere la sfida occorre fare rete con i comitati territoriali e di quartiere, con le soggettività di movimento, con gli spazi occupati, con quel sindacalismo ancora indipendente … con tutte quelle realtà che ancora credono nella politica nella sua dimensione vera, antitetica alle istituzioni e lontana dalla rappresentanza. Per continuare ad alimentare le nostre ambizioni occorre rimettere in piedi processi di ricomposizione di classe, avendo quali interlocutori privilegiati disoccupati, precari di ogni settore, migranti, studenti, lavoratori … e tutti quei soggetti che quotidianamente vivono sulla propria pelle le contraddizioni generate dalla barbarie di questo sistema sociale. Il nostro programma in questa fase di stagnazione ha un solo punto al quale lavorare: la destabilizzazione della pacificazione sociale in ogni ambito possibile e la costruzione di nuovi organismi decisionali.

Chiaro che questa ingovernabilità si declina nei luoghi del conflitto e nei territori dell’attacco agli strati sociali subalterni, chiaro che questa indisponibilità vada testata sui terreni delle lotte a difesa del territorio, del reddito e della casa per tutti e tutte, più in generale dei bisogni negati. Pensiamo che sia necessario mettere in connessione quanti non amano vivere in questo gorgo, quanti non vedono all’orizzonte punti di riferimento da alimentare o istituzioni da attraversare, quanti vivono questa realtà con disagio, quella maggioranza del paese che non vota ma resta passivamente a casa. A tutti costoro noi diciamo che è giunto il momento di smetterla di lamentarsi e di mettere in cammino insieme storie ed esperienze libere, ingovernabili e indisponibili a farsi risucchiare dal sistema che dobbiamo abbattere. Certo la sfida davanti è difficile e impegnativa ma bisogna ripartire da qui, dalla materialità delle contraddizioni/conflitti prodotti dalle politiche dei governi che si sono alternati negli ultimi anni, contro i rigurgiti fascisti e razzisti che attraversano le nostre città, contro il sessismo e il patriarcato,contro le politiche di sfruttamento e di messa a profitto delle nostre vite, dei nostri corpi e dei nostri territori. Per tutto ciò lanciamo un appello a quanti ancora oggi ritengono che non esistano scorciatoie indolori per uscire dallo stallo in cui le politiche economiche, sociali e di polizia ci hanno ricacciato negli ultimi anni, ma che solo attraverso la caparbia costruzione di contrapposizione e costruzione autonoma possiamo intendere e ipotizzare percorsi diversi, nuovi e di riscatto.

CSOA Officina 99 – CSOA Tempo Rosso – L.O. Ska

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