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La fiera dell’idiozia

In un misto di ingenuità e calcolo (dov’è difficile individuare dove finisce l’uno ed inizia l’altra) costoro hanno realmente pensato (sperato) di ricostruire un’impossibile unità nazionale a partire dal più insensato dei gesti.

Quando ancora non erano stati compiuti i primi sopralluoghi, né raccolti i primi indizi, già si scatenava nell’infosfera una ridda di commenti, spiegazioni, supposte grandi analisi di interpretazione circa la natura e la responsabilità della tentata strage. Ed è qui che l’infernale dispositivo integrato di media e politica, dà il peggio di se con una sfilata interminabile di sproloqui cui nessuno sembra volersi sottrarre. Né il neo-sindaco, fresco di elezioni, che tuona contra chi protesta e fischia, né un Fassino cui non sembra vero di poter finalmente parlare senza essere sommerso da cori di “vergogna”, né il “sinistro” Vendola che come al solito affabula molto senza mai dire nulla, né il Saviano che trova bello e pronto un nuovo esempio da usare per incolpare i cattivi di sempre, per arrivare al solito Enrico Mentana, di nuovo arrapato come nei bei tempi dell’11/09/2001 nel commentare in presa diretta la tragedia.

E cosi, dalla mattina alla sera di ieri, ci hanno fatto passare sotto gli occhi e nelle orecchie tutte le improbabile piste, che avrebbero dovuto informarci sulla natura reale del folle gesto. Mafie di ogni genere, interessate a rovinare le celebrazioni del ventennale di Capaci, oppure determinate nel lanciare una sfida risoluta alla magistratura inquirente (con un Tribunale che distava a centinaia di metri), fino all’esotica mano di una Al-Qaeda mediterranea che avrebbe voluto colpire una scuola femminile,fino alla sempre comoda pista dell’ “eversione e del “terrorismo”.

La summa di tanto spreco di energie mentali, veniva sintetizzata nella natura simbolica di un target che racchiudeva la cultura antimafiosa, la femminilità e le giovani generazioni, tre elementi di positività simbolica racchiuse nel nome che la scuola portava, intitolata alla moglie di Falcone, merce simbolica perfetta da propinare ad un pubblico tramortito e indignato. A nessuno che sia venuto in mente l’ipotesi più plausibile, che il crimine fosse cioè il gesto di un squilibrato o mitomane o peggio ancora, e la cosa sembra essere molto plausibile, da un misogino  (incarnazione rancorosa e individualizzata del peggio che circola nella nostra società).  Chissa` che non sia una  scheggia “impazzita” di qualche corpo militare o semplicemente qualche free-lance affascinato dalla violenza tanto di  moda negli States.
Le uniche parole appena più pacate sono state quelle della ministra Cancellieri che ammetteva di aver a disposizione ancora pochi elementi e di tener aperte tutte le piste, fin anco la più “sensata” (e che, almeno questa volta, ha evitato di dichiarare alcunché sui notav).

Un secondo aspetto significativo della vicenda, è l’istantaneità dell’adesione emotiva a manifestazioni di sdegno che celebrano la riunificazione del corpo mistico cittadini-Stato contro un non meglio precisato nemico. Non si giudicano qui comportamenti sinceri e dignitosamente umani di quanti e quante hanno sentito la necessita di testimoniare la propria vicinanza ai familiari e alle vittime colpite dal gesto efferato. Fa però riflettere l’immediatezza di una risposta in cui sembra all’opera una sorta di pavlovismo dell’obbedienza, una chiamata all’attenti che investe tutto il corpo sociale, dalle alte cariche alla corte mediatica, giù giù fino al cittadino singolo che sente il bisogno di testimoniare una peraltro giusta repulsa del terrore comminato, facendosi però facile destinatario di un’ interpretazione univoca e per nulla provata.

Mentre emergono di ora in ora elementi che provano la natura individuale del gesto, imprenditori della morale continuano a blaterare del rischio del ritorno della violenza politica degli anni bui. E mente i loro simili richiamano all’attenzione collettiva il rischio di un ritorno ad una nuova “strategia della tensione”, nessuno tra i tanti presunti luminari della “intellettualità” giornalistico-televisiva, si prende la briga di denunciare l’isteria comunicativa che prende corpo in questi momenti, in cui una sana indignazione, nel caldo di un’emozione amplificata da media che si fanno cassa di risonanza, diviene facile oggetto di manipolazione politica dei sentimenti collettivi. C’è, in piccolo, qualcosa degli effetti dell’11 settembre e della strage di Madrid del 2003. Con una non piccola differenzç, qui di politico c’è poco o niente, politico è l’uso che si fa del terrore rappresentato.

E’ questo il prodotto di un’americanizzazione della vita attraverso la spettacolarizzazione del quotidiano, dove molto s’investe nell’amplificazione delle tragedie individuali e poco nell’analisi delle cause economico-sociali delle sfortune collettive. Un modus vivendi che ha avuto nel medium televisivo il vettore principale di una catastrofica de-politicizzazione delle masse. Eppure, come ricordava ostinatamente e con molta saggezza qualcuno, “dentro la politica, tutto è possibile [nel senso di un agire collettivo per un fine, che per questo apre il campo del possibile], fuori della politica nulla è possibile” [non si è cioè nient’altro che sudditi tele-etero-comandati].

Da qui bisognerebbe ripartire a ragionare.

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