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Terim, la Pomigliano di Modena: bilancio di una lotta esemplare

 

Per la terza volta in 5 anni i lavoratori della Terim sono riusciti ad opporsi contro i licenziamenti. Tuttavia, questa lotta non è stata una semplice contesa per il diritto al lavoro, ma molto di più.
In questo articolo tenteremo di dare una giusta dimensione alla portata di questa vittoria che, mai come in questo caso, ha visto un oscuramento mediatico ed una manipolazione degli avvenimenti. Perché questo sia accaduto lo lasciamo alla libera interpretazione dei lettori, i quali potranno trarre tutte le giuste conseguenze dai fatti nudi.

Antefatto

Che nel mese di Febbraio scorso. l’azienda avesse potuto aprire delle procedure di mobilità era un possibilità alla quale i lavoratori erano pronti, anzi una certezza. Tutto ciò era la normale continuazione dell’attacco sventato 2 anni prima, quando il Padrone aveva provato a chiudere il sito di Modena, con il chiaro scopo di tagliare la testa delle lotte degli ultimi 10 anni. Per certi versi potremmo paragonare la strategia di fondo della Terim a quella che la Fiat portò avanti all’Alfa di Arese, ovvero svuotare gradualmente uno stabilimento altamente conflittuale, esternalizzando nel contempo le produzioni su stabilimenti “ governabili”.
Difatti, già da alcuni anni, dietro il pretesto della crisi molte produzioni del sito Modenese erano state spostate su altri stabilimenti, vedendo scemare il numero delle linee di montaggio attive da 9 a 2. Dunque eravamo tutti consapevoli che un altro attacco non sarebbe stato evitabile e che questa volta sarebbe stato ancora più feroce. Il paragone con lo “stile Fiat” non è casuale, anzi è garantito che questa filosofia aziendale sia stata abbracciata appieno dalla Terim, fosse solo per il fatto che i Top Manager che l’hanno gestita in questi anni provenivano dalla Ferrari, Maserati, Cnh e Fiat Sata di Melfi! Sull’istituzione dei “reparti confino” e la gestione della C.I.G.S. a zero ore la Fiat ha fatto scuola in questo paese e la Terim aveva imparato molto bene la lezione.
Quando nel 2009 la chiusura del sito modenese era virata, grazie alla lotta, verso una forte riorganizzazione aziendale, poche settimane prima della comunicazione della cessazione parziale d’attività tutti i militanti ed i dirigenti sindacali maggiormente combattivi erano stati spostati dal proprio reparto verso i perimetri produttivi che sarebbero cessati da lì a breve. In questo infame trasloco vennero coinvolti tutti i lavoratori disabili, quelli che avevano maturato patologie lavorative in fabbrica ed i membri del circolo PRC aziendale. Qualcuno li chiama casi della vita, Confindustria le chiama “black list”. Comunque gli operai molto difficilmente sono dei fatalisti ed abbiamo preferito guardare in faccia la realtà sin da subito e quello che avrebbe dovuto stupirci si rivelò come una consapevolezza: chi non avrebbe mai più messo piede in fabbrica avevano tutti un nome ed un cognome! Infatti le procedure vennero aperte per 45 esuberi, appositamente per quei 45 lavoratori che da 32 mesi consecutivi ( venivamo da 8 mesi di CIGO ) non avevano più calcato il pavimento dell’officina. Questa evidente operazione discriminatoria non ha mai trovato riscontro nell’informazione pubblica, nonostante il delegato Fiom abbia rilasciato dichiarazioni esplicite a tutte le testate giornalistiche per tutta la durata della vertenza. Per tentare di dissipare questa cappa sono state fornite anche dichiarazioni testuali durante le conferenze stampa, comunicati sindacali e comunicati stampa, ma nonostante ciò questo aspetto dirimente della vertenza è sempre rimasto nell’ombra.
Nella stessa misura va riscontrato che l’unico soggetto sindacale che ha ritenuto importante e necessario dare rilievo a questo aspetto nell’opinione pubblica resta il delegato Fiom, nella figura di chi scrive.
Esuberi oggi od assunzioni domani?
Che l’attacco aziendale fosse squisitamente politico è dimostrato dal Piano Industriale consegnatoci dal Padrone. Mentre partivano i licenziamenti, veniva prospettato un raddoppio delle linee di montaggio attive entro il 2011, al quale nel 2012 sarebbero state aggiunte ulteriori 2 linee per un totale di 6! Dunque perché licenziare 45 lavoratori se entro l’anno sarebbero state ricostituite tutte le condizioni necessarie ad un riassorbimento totale? Logica avrebbe suggerito, nella normale routine delle relazioni industriali, l’utilizzo della cassa in deroga regionale ( C.I.G.D. ), senza l’apertura di alcuna procedura, traghettando così i lavoratori al riallineamento dell’occupazione alla produzione. Ma in questa lotta tutte le dinamiche di “buon senso” hanno desistito ad uno scontro feroce dove padrone e lavoratori si sono fronteggiati con ogni mezzo a disposizione.
Anche in questo caso, per quanto concerne le prospettive industriali della Terim, la stampa non ha ritenuto opportuno focalizzare questo aspetto da noi più volte reiterato.
La posta in gioco: Riscrivere le relazioni sindacali scardinando la linea nazionale della Fiom
I fatti finora accennati rendono già chiaramente visibile la tattica Confindustriale, le modalità con le quali sono state aperte le procedure la rendono esplicita. Nel testo veniva posta come condizione imprescindibile all’utilizzo della CIGD la certezza dei licenziamenti alla fine dell’ammortizzatore. Di conseguenza il sindacato avrebbe dovuto siglare un accordo che prevedeva dei licenziamenti e, come tutti sanno, questo disattende l’orientamento dell’intera Organizzazione a livello nazionale. La Fiom, fin’ora, è sempre riuscita ad imporre la linea delle mobilità volontarie incentivate e piuttosto che firmare dei licenziamenti imposti approda a dei non-accordi.
L’obiettivo dell’asse Confindustria-Terim era dunque svelato: Bisognava far passare la linea che alla fine della C.I.G.S. si licenzia! E chi va fuori lo decide l’azienda! Mentre scriviamo, solo nel territorio modenese i lavoratori meccanici coinvolti da processi di cassa integrazione sono oltre 10000, proviamo ad immaginare che ecatombe si sarebbe potuta scatenare se gli operai Terim non avessero posto una diga a questo fiume in piena. Per questo era importante sferrare l’attacco da un baluardo della lotta di classe e della Fiom, per questo bisognava partire dalla Terim. Nonostante questa evidenza urli come una sirena antincendio nell’inferno, finanche in questo caso i pompieri della carta stampata hanno puntualmente taciuto il vero oggetto del contendere.
La nostra lotta è stata una come tante, anzi visti i numeri degli esuberi neanche una delle più importanti. Una lotta che ha visto comparire articoli sistematicamente difformi nelle cifre e nei fatti da testata a testata nonostante il delegato Fiom venisse intervistato telefonicamente giorno per giorno fornendo un’unica versione dei fatti. Misteri della comunicazione di massa…. Di converso l’azienda ha ricevuto un trattamento diametralmente opposto. A questi gentleman non solo è stato permesso metodicamente di pubblicare fandonie ed/o inesattezze, nientemeno alcune testate gli hanno offerto un pulpito dedicato per dileggiare la Fiom, a loro modo di vedere, incapace a fare gli accordi ed immemore degli impegni presi al Ministero del Lavoro due anni prima, rispetto l’epilogo dei licenziamenti come condiviso.
Questa è solo una minima parte dei colpi bassi e delle panzane portate avanti dal padrone in questi mesi, la verità è che la linea della Fiom a Modena è salva grazie a questi lavoratori ed a tutta la solidarietà operaia che si è stretta attorno a loro. Certamente anche la Fiom di Modena ha abbracciato questa lotta, ma non ha affatto insistito nella proiezione esterna della vertenza, ovvero rendere noto che fosse sotto attacco l’intera Organizzazione e comportarsi di conseguenza. Paragonare la Terim alla Fiat di Pomigliano, intesa come luogo dove il padronato prova a riscrivere le relazioni sindacali, ahimè è toccato farlo ad un giornalista di destra, che come sempre accade sono gli unici che ( strumentalmente ) evidenziano gli aspetti che sempre più spesso la sinistra tace.

L’artiglieria pesante del padrone….e quella degli operai
Come già scritto, i mezzi adoperati dal padrone per far passare questo disegno sono stati assolutamente “non-convenzionali” nel quadro delle relazioni alle quali il sindacato si era abituato in questi anni. Nessuno aveva mai visto la partecipazione sistematica dei colletti bianchi alle assemblee, come nessuno aveva mai assistito a tanti interventi pro-azienda e contro il sindacato ed i suoi rappresentanti. Nessuno era pronto a vedere Direttori di produzione che, forti di una massiccia presenza impiegatizia, premevano per partecipare ai lavori, in barba allo Statuto dei lavoratori. Nessuno era pronto tranne i lavoratori della Terim, che con metodi altrettanto risoluti hanno risposto volta per volta a questi attacchi. Ai sobillatori, dopo aver pubblicamente svelato la loro natura, è stata tolta la parola, i Dirigenti sono stati “gentilmente” accompagnati fuori dall’assemblea. Ma questo non era che l’inizio, in seguito l’azienda ha disatteso i tavoli di consultazione sindacale previsti per legge, dettando luoghi ed attori che avrebbero dovuto presenziare alla trattativa.
Così, non comprendendo come e perche, ci siamo ritrovati in Provincia ben prima che potessero intervenire le Istituzioni preposte, fermo restando che nel nostro caso specifico l’Istituzione designata sarebbe stata la Regione e non la Provincia, in virtù dell’ubicazione su più provincie degli stabilimenti.
Ciò nondimeno, anziché strabuzzare gli occhi per la meraviglia quel giorno abbiamo indetto sciopero al pomeriggio ed organizzato sotto la sede della Provincia di Modena un presidio combattivo dei due stabilimenti, al quale parteciparono oltre 150 lavoratori sotto una neve scrosciante. Una partecipazione così tanto massiccia e per certi versi inaspettata, viste le condizioni climatiche, è stata favorita dall’ennesima provocazione consumatasi poche ore prima dell’incontro. Approfittando dell’assenza in fabbrica dei delegati sindacali il Padrone aveva sguinzagliato i propri capi reparto che, procedure alla mano, intimavano ad ogni singolo dipendente di desistere dall’aderire allo sciopero, pena la minaccia di una serrata per il giorno successivo. Mai letto nulla di questo? Io no, eppure queste cose in fabbrica le sanno tutti.
Mettendo da parte questi piccoli comportamenti anti-sindacali, la rabbia operaia ormai aveva ceduto il passo al “buon senso”, i lavoratori avevano capito che non bisognava farsi intimidire e la radicalità di quello sciopero e del presidio costrinsero l’azienda a siglare un verbale d’incontro dove, già ai primi di Marzo, avevamo conquistato la mobilità volontaria come criterio sostitutivo a quelli di legge. In questa fase nessuno immaginava ancora quello che sarebbe accaduto nei successivi 15 giorni. Quel giorno non solo definimmo gli strumenti per risolvere la vertenza, ma di comune accordo decidemmo di sospendere le “ostilità” da ambo le parti per favorire un confronto più disteso.
Mentre i lavoratori tennero fede a questo impegno, durante queste due settimane di blocco delle iniziative di lotta l’azienda proseguì per la sua strada ignorando accordo ed impegni. Volantini che dileggiavo il sottoscritto come “protettore dei lavativi” circolavano dentro e fuori gli stabilimenti e nei raid dei capi reparto ai lavoratori veniva continuamente ricordato di scegliere da che parte schierarsi. In questo clima di “paritaria distensione” si è giunti all’ennesimo coupe de teatre da parte del padrone. Mentre in Confindustria veniva firmato su carta intestata un verbale che ribadiva per la seconda volta che non si sarebbe licenziato nessuno, contemporaneamente il Dott. Montorsi in persona teneva delle assemblee in fabbrica dove disconosceva quanto siglato fino ad allora, ribadendo che quei 45 sarebbero dovuti andare via in qualsiasi modo! Altro che teoria della doppiezza!
Questa ennesima presa in giro, ha scatenato scioperi, picchetti e blocchi delle merci fino a quando non è stata sventolata per l’ennesima volta bandiera bianca, per l’ennesima volta ipocritamente. In questo modo ci siamo ritrovati al 7 di aprile con due accordi siglati nelle tasche ed una azienda che il giorno prima rompe il tavolo Confindustriale, abbandonando nel senso letterale del termine la delegazione, la quale soltanto dopo 3 ore di attesa sarà informata del fatto accaduto. La ragione restava sempre la stessa: “Ok a tutte le vostre richieste, ma la mobilità volontaria può essere circoscritta soltanto a quei 45 lavoratori!” Da allora in avanti soltanto uno stolto avrebbe continuato a fare affidamento alle carte senza rendersi conto dell’utilizzo “igienico” che ne faceva l’azienda. Era necessario intraprendere una lotta senza quartiere perché la clessidra del tempo scorreva sempre più veloce e l’efficacia dei licenziamenti era sempre più vicina. Da quel giorno, fino a quello della vittoria furono 13 giorni di scioperi ad oltranza con picchetti e presidio dello stabilimento 24h su 24, con tanto di macchine e cordoni a sbarrare gli accessi. Ma non solo.
La lotta di classe è innanzitutto una guerra di nervi
I 13 giorni continuativi di sciopero hanno messo a dura prova il corpo e la mente dei lavoratori. Durante i tentativi di sfondamento del picchetto un ex delegato Fiom è stato quasi investito, il delegato Fiom maggiormente rappresentativo è stato ingiuriato in tutti i modi, addirittura nella sfera degli affetti personali, con l’evidente intento di farci perdere le staffe per poi far degenerare la lotta in veri scontri fisici, che a quel punto avrebbero giustificato l’intervento della Digos ( presente ogni giorno dall’inizio alla fine della lotta) . Dirigenti kamikaze che tentano di aizzare gli impiegati contro gli scioperanti saltando automobili e picchetto manco come fossero dei supereroi, per poi schiantarsi goffamente al suolo.
L’azienda era persino arrivata ad inventarsi di sana pianta, come nel caso del compagno licenziato politico Scognamiglio della Maserati, una presunta aggressione da parte di chi scrive, ai danni del n. 3 della Terim. A questi forti elementi di pressione psicologica e fisica andavano aggiunti i segnali di uno sfaldamento crescente nel rapporto con i colleghi dell’altro sito, intimiditi dal padrone innanzitutto a causa di una debolezza sindacale propria. Infine, nell’ottica di contrapporre i due stabilimenti, i colleghi di Rubiera vengono messi in libertà. L’azienda ci accuserà di questa sua scelta, come quella di non pagare gli stipendi, a causa dei nostri scioperi ad oltranza e della conseguente paralisi di qualsiasi attività aziendale.
All’interno di questa dinamica diffamatoria e “vagamente” antisindacale ( ma sempre troppo vagamente ) e forte dell’appoggio di una 80 di impiegati e qualche sparuto crumiro, l’azienda ha scritto una delle pagine più vergognose del movimento operaio modenese: ha condotto questi lavoratori prima in Questura, poi in Prefettura chiedendo lo sgombero violento degli “occupanti”. Questo era il termine adoperato dai giornali, come se non fossimo lavoratori in lotta, ma dei teppisti o qualcosa del genere. Per l’esattezza testualmente scritto “fuoriusciti dalla Fiom”.
I metodi di lotta (lo sciopero ad oltranza) e la solidarietà operaia: l’elemento determinante
Ricapitolando. Mentre dei veri eroi moderni combattevano come leoni, la versione ufficiale dei telegiornali la trasmettevano come una vertenza difficile aggravata da una forte contrapposizione dei lavoratori. Come per Pomigliano nessuno avrebbe scommesso su di noi, eppure anche in questo caso l’anello non si è spezzato, al contrario si è rafforzato.
La prima questione che va precisata è: che nulla di quello ottenuto sarebbe stato possibile se non ci fosse stato alle spalle un lavoro di costruzione politico/sindacale durato anni. L’aver conquistato e sedimentato in fabbrica un autentico regime di democrazia e conflitto ha garantito un livello di coscienza ed organizzazione tale dei lavoratori che ha permesso facilmente di abbattere il primo vero scoglio politico, quantomeno dal nostro punto di vista: l’isolamento. L’obiettivo di “isolare” questi 45 lavoratori da tutto e da tutti è stato uno dei “”lait motif” aziendali, pertanto dopo aver ribadito nei fatti che la lotta non era di 45, ma perlomeno della larga maggioranza dei lavoratori ci siamo rivolti contemporaneamente all’esterno.
Durante la vertenza abbiamo assistito ad un vero crescendo della solidarietà operaia, addirittura studentesca. Ogni giorno a dare man forte sui picchetti sono passate decine di RSU di quasi tutte le categorie della Cgil, diversi studenti dei collettivi cittadini ed anche pezzi del sindacalismo di base locale. Un nota particolare va evidenziata rispetto le forze politiche e la loro assoluta latitanza dalla vertenza. Fatti salvi i due circoli del PRC del comprensorio ceramico e di Modena, sempre presenti sin dalle 6 del mattino, nessuno si è mai fatto vivo od interessato di quei cancelli, e questo i lavoratori non lo dimenticano.
Ad ogni modo, gli operai della Terim hanno ricevuto linfa vitale da questa unità operaia nella lotta, mentre la macchina della solidarietà attiva produceva risorse che mai avremmo immaginato di poter disporre. Solo a titolo esemplificativo, con tempi di reazione da piloti di F1 ( non a caso avevamo la RSU Ferrari e Maserati nella nostra scuderia) sono state organizzate grigliate da 150 persone ed aperitivi davanti ai cancelli, rallentamenti del traffico quotidiani con appelli alla cittadinanza e raccolta fondi, volantinaggi cittadini ed assemblee pubbliche, che ha ottenuto risultati molto soddisfacenti e che ci hanno permesso di affrontare qualsiasi spesa necessaria a sostenere la lotta con la più totale agiatezza ed innanzitutto all’insegna dell’autofinanziamento, una tradizione che ci accompagna e premia da sempre.
Dopo aver superato questo primo scoglio ci siamo concentrati nell’analizzare la natura dell’apparente contrapposizione dei due siti per comprendere quanto la messa in libertà ci fosse favorevole o sfavorevole. Che questa ennesima provocazione non fosse una minaccia reale lo avevamo già intuito dal ripensamento padronale, che il giorno successivo il provvedimento aveva ripiegato chiedendo la C.I.G.O. Questo pentimento era evidentemente legato al timore che l’ispezione dell’Organo di Vigilanza condannasse l’azienda al reintegro immediato dei lavoratori. Inoltre, appurato che le continue istigazioni di un nucleo organizzato a “sfondare” il picchetto non avrebbero mai avuto corso, in quanto attecchite su una debole minoranza che spiccava su una maggioranza paralizzata e confusa, ci siamo posizionati sui cancelli con la parola d’ordine: Resistere un minuto in più del padrone! Questo ha previsto un organizzazione quasi militare con turni di notte e ronde lungo i perimetri, a causa dei tentativi di trafugare dati e supporti cartacei a qualsiasi ora. Gli ultimi giorni sono stati i più vessanti perché oltre allo scorrere del tempo ed un padrone che pareva aver deciso di “mandare in vacca” l’azienda piuttosto che arrendersi, si è aggiunta qualche incomprensione con la Fiom rispetto l’opportunità o meno di proseguire ad oltranza dopo i primi otto giorni di sciopero ad oltranza.
Per inciso la Terim è e sempre sarà un baluardo della Fiom. In quei 45 lavoratori trovavano casualmente collocazione: 1 delegato su 2 presenti in stabilimento; 3 membri del Direttivo Provinciale su 4, 1 di quello Regionale e perfino 1 del Direttivo Provinciale Cgil, oltre ovviamente a molti dei suoi migliori militanti. Siamo orgogliosi di farne parte e di essere sempre in prima linea nelle lotte e questo è ben presente ad ogni compagno della Fiom di Modena. Dunque per quanto ci riguarda neanche di screzio si tratta, ma di dinamiche di confronto normali, specie quando si applica realmente la democrazia.
Difatti la Fiom non ha mai abbandonato questa lotta e la sua riuscita ha ripagato ampiamente le aspettative di tutti. Che la tensione fosse palpabile e che la situazione fosse molto delicata era chiaro a tutti. Per 3 giorni consecutivi molti funzionari, addirittura l’apparato al completo, sono venuti davanti i cancelli a chiedere di “rimodulare” la portata della mobilitazione interrompendo lo sciopero ad oltranza. Il loro timore era che gli scontri auspicati dal padrone potessero realmente avvenire. Fermo restando che ogni valutazione aveva piena legittimità, gli attriti si sono concretizzati non per la proposta in sé, ma perché veniva continuamente reiterata, senza avere nulla in mano, nulla da offrire, e con pochi giorni ancora a disposizione.
Peraltro delegazioni dell’altro stabilimento venivano quotidianamente ad attestare la loro solidarietà spiegandoci che la maggioranza dei loro colleghi era paralizzata, ma non ostile, condizione da noi verificata personalmente svariate volte. Dunque null’altro che una divergenza sull’analisi politica della fase. Ma oltre a questo elemento c’erano altri sintomi che ci incoraggiavano a non desistere: Un’azienda che continuava a fare il muso duro ai tavoli, ma che nel contempo si riservava di fissare incontri quanto più vicini possibili nel tempo ed infine un sabato abbiamo avuto un segno di debolezza intellegibile.
Il padrone in persona ci ha chiesto, ed ottenuto, di poter entrare in stabilimento per prendere la propria agenda personale. Chiaramente è stato accompagnato dal delegato e da un membro del direttivo Fiom che si sono sincerati venissero prelevati esclusivamente gli effetti personali richiesti! Non ci parse affatto una richiesta che proveniva da una posizione di forza!
Al 13° giorno consecutivo di sciopero ad oltranza la nostra analisi ed i nostri metodi di lotta si sono rivelati corretti e vincenti e l’azienda ha ceduto. Lavoratori della Terim 3 Confindustria 0! Anche questa volta nessuno sarà licenziato è chi vorrà accedere volontariamente alla mobilità otterrà uno degli incentivi all’esodo più alti mai erogati a Modena!
L’ultimo colpo di coda dell’animale agonizzante fu siglare l’accordo lasciando in sospeso il provvedimento per aggressione nei confronti del delegato, un modo come un altro per dare il senso della sconfitta, ma non della resa. Quella sera saremmo dovuti essere tutti al settimo cielo ed in parte lo eravamo realmente, ad ogni modo il messaggio che i cancelli mandarono all’esterno fu chiaro e lapidario: “per noi la vertenza si chiude quando l’azienda ritirerà ogni pendenza nei confronti del Delegato Santoro Francesco altrimenti torneremo sui picchetti accordo o non accordo!” Una settimana dopo l’azienda cedette anche quest’ultimo bastione ed i lavoratori della Terim conquistarono il cielo.

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