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La seconda rivoluzione spagnola

Cronaca

Barcellona, venerdì mattina, ore 7. La polizia interviene con mano dura in Piazza di Catalunya per sgomberarla, arrivano presto le prime notizie di feriti, gambe e teste rotte…

La scusa ufficiale, quella presentata sui media mainstream, è di pulirla per motivi di salubritá. La classe dirigente considera le in piazza sporcizia. Vogliono mandare via tutti, ma un gruppo di alcune centinaia di persone non si muove, rimane seduto pacificamente al centro della piazza. Il cordone della polizia tutto intorno tiene lontano col manganello chi sopraggiunge e permette che il servizio di pulizia inizi la distruzione totale dell’accampamento. Tutto viene caricato alla rinfusa su una decina di camion della spazzatura: tendoni, computer, documenti, vettovaglie e strumenti di cucina, libri della biblioteca, megafoni e materiale audiovisivo, etc. Poco a poco, arrivano altre persone, molte, le forze dell’ordine vengono circondate, tutte le entrate presidiate: una presenza sempre più rumorosa sostiene chi sta al centro, incita alla calma e a non reagire. Migliaia di persone in poche ore circondano la piazza.

Alcuni cercano di bloccare l’uscita dei camion per non permettere di portare via i sogni di quella piazza. Nonostante la resistenza pacifica con un sit-in in mezzo alla strada, la polizia inizia a caricare colpendo alla cieca per creare uno spazio utile al passaggio dei camion. I gas lacrimogeni sono illegali, la polizia non esita a sparare in quantitá proiettili di gomma sulla folla indifesa. Persa la battaglia che voleva impedire l’uscita dei camion, qualcuno inizia a rinforzare l’anello attorno alla piazza. Un cordone di polizia circonda il gruppo che sta al centro, mentre impedisce l’entrata di quelli che stanno attorno. La tensione sale cosi come la pressione da fuori sul cordone di polizia. Sempre più persone giungono in piazza.

Finalmente, dopo sei ore di resistenza, il cordone viene rotto e i manifestanti entrano esultanti nella piazza. La polizia si ritira ma riprende a sparare sulla folla. Molti pensano che gli agenti sparino per aprirsi un varco e proteggere la ritirata, ma ci si rende subito conto che, già fuori dalla piazza, camionette arrivavano a tutta velocità sulla folla dall’esterno, aprono gli sportelli e sparano per poi ritirarsi: una signora anziana si mette a fronteggiare una camionetta, tutta la folla l’ha protegge. A ogni incursione la gente avanza senza violenza, con le mani aperte in alto. Verso l’una, sotto il sole cocente, stanchissime ma felici, migliaia di persone festeggiano al centro della piazza al grido «É ancora nostra!».

Qualcosa di mai visto

Se pensiamo che i manifestanti hanno ripreso la piazza senza l’uso della violenza, potremmo dire che é successo qualcosa di mai visto negli ultimi decenni di storia catalana. Per trovare un evento simile dovremmo tornare indietro fino alla Rivoluzione spagnola del 1936. La memoria storica di quegli eventi é senza dubbio viva tra gli indignados. Allora si trattava di una rivoluzione con una base ideologica nell’anarcosindacalismo, nel comunismo libertario e nel marxismo rivoluzionario. C’erano gruppi organizzati come il Poum [Partito Operario di Unificazione Marxista], la Cnt [Confederazione Nazionale del Lavoro], il Psoe [Partito Socialista Operaio Spagnolo] e la Ugt Unione Generale dei Lavoratori]. Oggi gli indignados non hanno ideologie facilmente etichettabili e non appartengono a gruppi organizzati. Addirittura si oppongono alla legittimitá di alcuni di quei gruppi storici, ormai totalmente degradati [il Psoe é al governo e la Ugt é uno dei sindacati maggioritari]. «Rivendichiamo un cambiamento profondo del sistema politico, sociale ed economico – spiegano – Vogliamo giustizia e la vogliamo adesso!».

Chi sono e cose vogliono gli indignados?

Sono domande complesse alle quali é difficile rispondere. Senza dubbio molti sono giovani [studenti, precari e disoccupati] insoddisfatti del presente e preoccupati per il loro futuro. Sarebbe peró un errore ridurre il tutto a questioni materiali, il lavoro o la casa. C’é molto di piú. Lo slogan «gioventu senza futuro» esprime un malessere emotivo generalizzato, che é cresciuto nelle pance seppur piene. Da un lato la quotidianitá, con le insicurezze e la paura, dall’altro le questioni sociali, con la crisi multidimensionale e l’inadeguattezza dell’ordinamento politico e la sua classe dirigente.

Possiamo fare un parallelismo con i grillini? A differenza dei grillini, gli indignados non hanno un leader e si sono fortemente opposti a far emergere una nuovo soggetto politico. Il movimento inizió con lo slogan «Democrazia reale adesso!» e ha mantenuto la coerenza attraverso l’organizzazione assemblearia con partecipazione diretta ed orizzontale. Tuttavia gli interventi nelle assemblee di questi giorni hanno mostrato l’etereogenitá di chi partecipa. A parte le diversitá delle tematiche di interesse degli indignatos, si possono identificare due posizioni differenti. La prima é la riformista, condivisa sopratutto da chi é piú vergine di mobilizzazioni; la seconda é radicale e propone cambiamenti strutturali. Per esempio, la prima é favorevole a esigere ai politici delle riforme sui temi del lavoro, l’educazione o la sanitá, mentre la seconda rifiuta il dialogo con i politici per la loro illeggitimitá ed appoggia l’auto-organizzazione. Ad ogni modo i punti in comune sono tanti e sufficienti per mantenere compatto il movimento.

In primo luogo, tutti sono insoddisfatti della classe politica per la sua distanza dalle persone comuni, per la corruzione e per la gestione delle crisi economica. L’indignazione viene dalla sensazione che con la scusa della crisi economica, si stia smantellando lo stato sociale tanto per le riforme sul lavoro e le pensioni, quanto per i tagli alla sanitá ed educazione. Perdipiú il sistema finanziario invece di essere giudicato per le sue resposanbilitá, é stato salvato senza condizioni con ingenti flussi di denaro pubblico e le banche hanno incrementato i loro utili proprio con la crisi. Questa volta la tradizionale terapia shock per introdurre le riforme neoliberali ha fallito nel suo tentativo di schivare la resistenza popolare. «Abbiamo perso la paura», si legge su un cartello.

Una mobilitazione, insomma, che numericamente va molto al di lá da quelle usuali dei movimenti sociali organizzati [centri sociali, femministe, ecologisti, anarchici,…], ma che ha beneficiato di quanto quei movimenti hanno offerto. Per prima cosa il «know-how» nell’auto-organizzarsi [come moderare un’assemblea o preparare una cucina in tre giorni]. Se non ci fosse stato un bagaglio di esperienza che era stata aquisita negli anni, in piccoli gruppi, sarebbe stato impossibile farlo per migliaia di persone in cosí poco tempo. In secondo luogo la conoscenza sui vari temi é profonda grazie alle lotte degli ultimi anni che hanno permesso identificare con chiarezza le rivendicazioni.

Mancano due giorni perché il movimento compia le due settimane. I livelli di organizzazione raggiunti fino a ieri erano incredibili. Le piante dell’orto potevano crescere rigogliose ed orgogliose. I pannelli solari avevano sostituito i generatori per la produzione di elettricitá. C’era anche un gruppo di poeti che pedalava a turno per generare l’energia che amplificava la loro voce. La commissione della cucina offriva regolarmente pasti completi e gratis ad orari prestabiliti. La commissione di infrastruttura aveva organizzato un’accampamento completo, con servizi igenici, sala studio, biblioteca, tende per proteggersi dal sole, tra le tante cose. La commissione internazionale manteneva i contatti con altri paesi traducendo nelle diverse lingue i comunicati che escono ed arrivano alla piazza. Durante un’assemblea era stato anche letto un comunicato in Urdu [lingua dei musulmani di India e Pakistan] per spiegare ai lateros, che storicamente vendono lattine di birra per strada, che cosa stava succedendo nella piazza, invitarli a rispettarla, a vendere acqua o rinfreschi. Le commissioni informazione e diffusione si erano occupate di far uscire il messaggio della piazza e costruire alleanze con altri collettivi in lotta, come i lavoratori licenziati dalle fabbriche o dai settori pubblici dell’educazione e sanitá. La commissione azioni e attivitá offriva un nutrito programma di azioni dirette e pacifiche fuori dalla piazza come varie attivitá interne [dalle conferenze ai concerti]. La commissione contenuti, forse la piú numerosa, era composta da oltre dieci gruppi tematici che lavoravano intensamente per produrre conoscenza ed elaborare proposte politiche. Infine la inter-commissioni si occupava di far fluire l’informazione e coordinare le attivitá.

Per una mezza giornata questa normalitá auto-organizzata é stata distrutta dall’intervento della polizia. Le migliaia di persone che hanno riconquistato le piazza stanno lavorando per ricostruirla. Nessuno pensa che distruggendo una tenda o un accampamento intero, possano spegnere il fuoco che brucia dentro. Senza paura, si ricomincia da capo.

E’ venerdì notte: in questo momento la piazza è stracolma, non è mai stata così piena finora. In poche ore si sta riorganizzando tutto, ognuno porta qualcosa, la cucina ricomincia a funzionare, dal mercato della boucheria i commercianti offrono cibo alla piazza, ci telefonano dalla Porta del sol di Madrid e il grido della loro piazza è che «Barcellona non è sola». Molti invitano i giovani e gli indignati di tutta Europa ad unirsi, a manifestare.

Dopo Madrid e Barcellona, Atene?

Per il terzo giorno consecutivo migliaia di persone stanno occupando le piazze di diverse cittá in Grecia. Ad Atene si sono riunite 100.000 persone, nonostante la pioggia. Non si sono viste né bandiere, né atti di violenza. Chiaramente s’é alzato un vento, forte e inarrestabile, dal Nord Africa che sta arrivando in tutta Europa attraverso i suoi porti del sud, la Spagna e la Grecia. L’Italia non puó mancare.

L’elicottero della polizia sorvola minaccioso le nostre teste mentre la gente torna a ri-organizzarsi nelle commissioni. Hanno calpestato le piante dell’orto comunitario, «ma noi, come quelle piante – dicono alcuni ragazzi – torneremo a crescere per raccogliere i frutti dei nostri sogni. Vi invitiamo tanto a sognare come a seminare, cosi da poter arrivare assieme al raccolto. Juntas podemos! Insieme possiamo!».

[Uno degli autori di questo articolo scritto per Carta, Federico Demaria, è tra le oltre cento persone rimaste ferite dalle cariche della polizia venerdì 27 maggio a Barcellona]

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