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La battaglia di Fincantieri

Nei cantieri navali esplode la rabbia operaia. La vicenda Fincantieri – originata dalla presentazione di quello che più che a un piano industriale somiglia a un bagno di sangue: 2551 esuberi, chiusura dei cantieri di Castellammare di Stabia e Sestri Ponente, ridimensionamento di Riva Trigoso – ha innescato una serie di proteste che in alcuni casi hanno assunto i connotati della rivolta. Perché questa storia ha almeno due caratteristiche anomale: a licenziare è lo Stato e a essere licenziate sono intere collettività.

Le realtà di Sestri e Castellammare sono connotate da un rapporto stretto, indissolubile, tra cantiere e territorio. A Genova il cantiere navale è parte integrante della storia e della cultura – che ha in parte generato – del quartiere e dell’intera città, mentre a Castellammare la Fincantieri rappresenta un’opportunità di lavoro preziosa e uno strumento di tutela e riscatto sociale. È questa l’anomalia con cui l’amministratore delegato di Fincantieri Giuseppe Bono, ribattezzato «Peppiniello» dai lavoratori per la tendenza a muoversi ed esprimersi in maniera roboante, e il governo dovranno fare i conti: non è un caso che la condotta del ministro alle attività produttive Romani sia caratterizzata da incertezze e marce indietro. E che addirittura Sacconi cerchi di ridimensionare gli obiettivi del Piano industriale, affermando che un semplice «dimagrimento» degli organici dovrebbe essere sufficiente.

Va da sé che in tutti e due i casi, sia in Liguria che in Campania, una chiusura avrebbe ricadute devastanti sul tessuto sociale. Eppure, mentre a Castellammare il sindaco arriva a invocare l’intervento dell’esercito per mettere a tacere la protesta, a Genova tutti gli amministratori locali hanno offerto il loro appoggio incondizionato ai lavoratori. Sia da una parte che dall’altra, l’atteggiamento della popolazione è di solidarietà e partecipazione: tornati da Roma, i delegati di Castellammare hanno trovato l’intera città ad attenderli di fronte al municipio che avrebbero occupato da lì a poco, mentre per dire di Genova basta il comportamento dei tassisti, che dopo tre giorni di disagi dovuti ai blocchi attuati dagli operai hanno diffuso un comunicato ufficiale di solidarietà nei loro confronti. «Quello che sta succedendo qui da noi ha dell’incredibile per chi non conosce la storia e la realtà di questo cantiere e del suo rapporto con la città – spiega Giulio Troccoli, Rsu Fiom di Sestri – ma per noi non è stato così sorprendente vedere, oltre ai lavoratori di altre fabbriche, studenti, commercianti e perfino le associazioni padronali schierarsi a difesa del nostro lavoro. Mi rendo conto che siamo portatori di un’idea forse romantica, ma alla fine in queste condizioni anche il romanticismo può aiutarti: chiedetevi perché qui a Genova anche la Lega ha emesso un comunicato in nostro sostegno».

Alleanze inattese o imbarazzanti a parte, è davvero impressionante vedere come l’intera città si sia schierata in maniera anche attiva a fianco dei lavoratori della Fincantieri. La vera novità a Sestri è piuttosto la partecipazione massiva alla lotta dei lavoratori migranti, che qui rappresentano 55 nazionalità: gente che rischia di perdere assieme al lavoro anche il permesso di soggiorno, si dirà. Ma non basta a spiegare tutto: «Questi operai hanno avuto l’opportunità di imparare nel nostro cantiere cos’è la dignità del lavoro – racconta ancora Troccoli – e sono determinati quanto gli noi a difendere i loro diritti. È gente brava a lavorare, spesso specializzata, e va detto una volta per tutte che senza di loro le navi non si fanno. Loro lo hanno compreso e si sentono parte attiva. I lavoratori del Bangladesh hanno voluto portare lo striscione della Rsu in manifestazione».

Alla Fincantieri di Sestri Ponente [2500 lavoratori a pieno organico tra diretti e appalti, età media 38 anni] si realizzano prevalentemente navi da crociera e imbarcazioni militari. Si tratta di produzioni che non possono essere sufficienti a garantire continuità, anche a causa degli effetti di una crisi che continua a mordere; il sindacato propone una riconversione che preveda l’impegno del cantiere su segmenti come l’offshore, le navi da trivellazione e i grandi traghetti, produzioni che del resto a Genova si sono realizzate nel passato. Quello che manca è l’impegno sull’innovazione tecnologica. L’incubo della chiusura, per quanto concreto, non si concretizzerà comunque prima della primavera del prossimo anno, dal momento che il lavoro è garantito fino ad aprile 2012. Per ora qui è tregua armata, in attesa dell’incontro tra il governo e le parti, programmato per la mattinata del 3 giugno al Ministero delle Attività produttive. Da Genova partiranno diversi pullman a seguito della delegazione.

Nel cantiere di Castellammare di Stabia [684 addetti diretti, che diventano quasi 2000 con l’indotto, età media 34 anni] la produzione è dedicata per lo più ai grandi traghetti. Qui di tregua non se ne parla: ancora oggi cortei e blocchi stradali hanno paralizzato la città dopo l’occupazione del municipio e le azioni dei giorni passati. «Non ci fidiamo più, veniamo presi in giro da due anni – dice Antonio Santorelli della Fiom – dal signor Bono, ma anche dalla politica locale e dal governo. Non molleremo, se non in presenza di atti seri e concreti. E chiediamo il contributo di tutti alla nostra lotta, perché se qualcuno pensa che lo smantellamento di questi due stabilimenti sia sufficiente a chiudere la partita si sbaglia di grosso: dopo di noi toccherà agli altri, qui ciò che sta per essere dismesso è l’intero settore della cantieristica navale». In discussione ci sono l’ipotesi della realizzazione di un bacino di costruzione da Castellammare all’inizio del porto di Napoli e un impegno sulle riparazioni, ma le promesse del presidente della regione Stefano Caldoro non sono riuscite a persuadere i lavoratori, che ogni mattina si trovano con parte della popolazione di fronte al palazzo del Comune per decidere le modalità delle lotte della giornata. Anche qui parte della cittadinanza scende in piazza a fianco degli operai, ma il sindaco Luigi Bobbio ha reagito come un signorotto ottocentesco di fronte ai tumulti popolari: ha chiesto l’intervento dell’esercito contro le «azioni sovversive» messe in piedi dagli operai e ha sollecitato la prefettura al ripristino dell’ordine. «Hanno detto che abbiamo costretto i commercianti alla serrata e questa è una bugia vergognosa – spiegano i delegati Fiom – la realtà è che i negozianti hanno abbassato spontaneamente le saracinesche al nostro passaggio in segno di solidarietà. Ma anche la disinformazione l’avevamo messa in conto»

Resta una situazione drammatica, che secondo i sindacati andrebbe gestita parlando direttamente con Berlusconi e Tremonti. La vera proprietà di Fincantieri è il ministero del tesoro, che attraverso Fintecna controlla il 99, 06 per cento della società. È ancora troppo presto per capire se Fincantieri stia «alzando l’asticella», minacciando le chiusure per strappare più agevolmente concessioni in termini di diritti e produttività. Ma non sono pochi a pensare che anche in questo caso Marchionne abbia fatto scuola. «Con tutta probabilità non verrà richiesta la limitazione delle libertà sindacali come il diritto di sciopero o l’elezione delle Rsu – spiega Franco Grondona, segretario Fiom di Genova – ma ci aspettiamo richieste tipo la mensa a fine turno, una maggiore elasticità sugli orari e concessioni in termini di produttività. Ma adesso l’imperativo è scongiurare la chiusura».

La posta in gioco è alta anche in termini politici, perché se il piano Bono andasse a compimento ad avere chiuso i cantieri sarebbe stato di fatto il governo. Un precedente che stravolgerebbe la logica delle relazioni industriali: i ministeri – e più in generale le istituzioni – vedrebbero svuotato di credibilità il loro ruolo di arbitri tra le parti e qualunque imprenditore privato potrebbe sentirsi maggiormente legittimato a chiudere o licenziare. Ma del resto, questo è il mercato globale.

Non possono non tornare alla mente di chi li ha visti i protagonisti e le storie di un piccolo grande film spagnolo di qualche anno fa, «I lunedì al sole», che raccontava le vicende di alcuni operai di Vigo reduci dalla chiusura del loro cantiere navale. In una delle scene più esilaranti della pellicola uno di loro racconta la storiella dei due compagni che si ritrovano dopo tanto tempo. Uno dice all’altro: «Hai visto? Tutto quello che ci avevano raccontato sul comunismo era falso». L’altro gli risponde «Già, ma il peggio è che quello che ci avevano detto del capitalismo era vero».

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