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41bis per imporre dentro e fuori la “pace sociale”

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L’intervento dell’Avv. Caterina Calia all’assemblea del 19 aprile a Napoli alla Mensa Occupata

Io penso che la battaglia contro il 41 bis è una battaglia importantissima, proprio perché il 41 bis in qualche modo rappresenta la cella Zero del carcere in generale, che ogni tanto viene per far assaggiare il trattamento nelle sezioni ordinarie.

In 41 bis questa “cella Zero” in qualche modo è permanente, anche se di natura diversa, perché la cella Zero significa che ti massacrano in occasioni particolari, il 41 bis è una forma di tortura molto più sottile, in cui magari non ti metteranno mai le mani addosso, però è una tortura bianca, che tende alla spersonalizzazione totale delle persone.

Da questo punto di vista è importante la battaglia di Nadia, perché è una battaglia contro il 41 bis, quindi partecipare, credo, all’iniziativa a L’Aquila non significa tanto portare solidarietà ad una prigioniera, ma utilizzare anche quella possibilità per svelare che cos’è realmente il 41 bis.

Il 41 bis è tortura, è naturalmente una tortura che viene applicata in questo paese a oltre 700 persone ormai, che è operativo dal ‘92, quindi stiamo parlando di 20 – 25 – 26 anni.

Ci sono detenuti che sono in 41 bis da 26 anni. Abbiamo visto, abbiamo sentito tutti il caso di Riina, di Provenzano, persone che erano ormai ridotte a vegetali e comunque che non hanno mai avuto la revoca del 41 bis.

Intanto la prigionia politica serve a svelare il fatto che il 41 bis non è una misura contro la mafia, la cosiddetta mafia stragista, che è una mafia perdente. Quelli che sono in 41 bis attualmente sono persone a cui hanno tolto tutto. Gli hanno sequestrato anche i beni, non hanno neanche più la casa molti di questi detenuti, perché ci sono anche le misure di prevenzione e non solo quelle personali, come appunto il 41 bis, ma anche quelle patrimoniali. Quindi sono stati spogliati di tutto nel vero senso della parola.

Io credo che il 41 bis, applicato ai politici può svelare qual è il senso profondo del 41 e perché bisogna lottare contro il 41.

Noi abbiamo una particolarità nella prigionia politica, abbiamo il fatto che l’organizzazione di appartenenza non esiste più. Il 41 bis può essere applicato, secondo la norma, soltanto quando c’è un’organizzazione operativa all’esterno. Questo significa che se non c’è l’organizzazione non può essere applicato.

Io mi occupo di 41bis dal ’93. Eravamo riusciti ad organizzare anche un pool di avvocati che si occupavano del 41 bis a Parma, dove c’era una tortura veramente generalizzata, con vessazioni continue, come possono essere quelle che vengono illustrate da Nadia alla sezione 41 bis del femminile, e poi alla fine l’unica cosa che abbiamo ottenuto è che sono stati tutti trasferiti in altre carceri, perché ovviamente attraverso gli avvocati in qualche modo si erano messe in moto delle lotte che erano generali, da parte di tutta la sezione di 41, dove c’erano 60 detenuti.

Tornando alle ragioni del 41 bis, come emergono chiaramente dal decreto applicativo del 41 bis nei confronti di Nadia e degli altri due prigionieri politici.

In questo caso, per quanto riguarda l’organizzazione Brigate Rosse, è sotto gli occhi di tutti che non esiste. Quel gruppo di militanti delle BR PCC è stato smantellato completamente nel 2003. Quindi nel momento in cui gli veniva applicato il 41 bis, già non esisteva più l’organizzazione di appartenenza e nonostante questo gli è stato applicato. E gli è stato applicato quindi con una finalità che andava oltre quella che è prevista dalla legge. Su questo io mi permetto di dire appunto che tutto è politico, è una scelta politica ben precisa mantenere le carceri in determinate condizioni, perché evidentemente non ci sono altre possibilità. Lo sappiamo tutti che se ci fosse il lavoro, se dessero delle possibilità lavorative, in carcere ci sarebbero molte meno persone.

Ma evidentemente non c’è più questa possibilità, di fronte ad una crisi generalizzata e quindi è chiaro che il carcere diventa sempre di più una discarica sociale. Il 41 bis, all’interno di questo, ha una funzione e ha una funzione deterrente che è diretta verso l’esterno, più che verso l’interno. L’interno lo subisce, naturalmente, perché chi sta in 41 bis lo subisce giorno per giorno, però i decreti ministeriali ci dicono per quale ragione viene applicato il 41 bis.

Nei decreti impositivi del 41 bis a Nadia e agli altri 2 prigionieri politici, si riconosce il fatto che non c’è più un’organizzazione di appartenenza, ma si dice anche che il fenomeno delle organizzazioni combattenti, delle Brigate Rosse, è un fenomeno ciclico, con tendenza carsica e possibilità di ripresa nel medio-lungo periodo e quindi ineliminabile, naturalmente, in un tipo di società che è fondata sullo sfruttamento e sulla divisione in classi.

Questo ha portato Nadia a dire che il reclamo è impossibile, nel momento in cui l’unica possibilità, per un prigioniero politico, di uscire dal 41 bis è di uscirne, diciamo, dentro una bara.

Perché quando si dice che, siccome nel lungo periodo la lotta di classe potrebbe anche ricominciare e non si può togliere il 41 bis (nonostante sia dimostrato che l’organizzazione non esiste), significa che viene meno quell’elemento fondamentale che ha portato ad esempio alla revoca del 41 bis per tutti quelli che erano stati condannati per Stidda (un’organizzazione in Sicilia, che è stata dichiarata non esistere più).

Ma non basta, nel decreto si dice anche che c’è la crisi, c’è una situazione grave a livello sociale con la disoccupazione che aumenta e le condizioni di vita che peggiorano sempre di più e quindi aumenta la possibilità del conflitto sociale e questa è un’altra ragione per cui viene applicato il 41 bis.

E poi si arriva direttamente a tirare in ballo quelle che sono le manifestazioni di solidarietà. Senza girarci tanto intorno e definendo come “sodalizi”, che nel gergo dei Tribunali e dei ministeri significa sodalizi illegali naturalmente, si arriva a dire che la natura intransigente dei brigatisti sottoposti al 41 bis ha favorito la creazione di una vasta area di solidarietà tra gli ambiti più oltranzisti del panorama rivoluzionario, che ci sono anche attestati di solidarietà all’esterno, persone che mediante iniziative pubbliche lottano contro il 41 bis e denunciano le condizioni di vita e di tortura dei detenuti sottoposti a questo regime.

Naturalmente parliamo di manifestazioni che sono nate molto prima che Nadia Lioce finisse in carcere, perché anch’io, per esempio, ho una denuncia pendente in cui sono persona offesa: sono usciti degli articoli sui giornali che facevano riferimento a questo “protocollo farfalla”, in cui si riteneva che io nel 2002, quindi non c’era nessun prigioniero politico in 41 bis, tenessi rapporti tra i mafiosi e le Brigate Rosse, che non erano assolutamente interessate al 41 bis appunto, e questi ancora dovevano essere arrestati addirittura.

Questo per dire che il modo per colpire chi lotta contro il 41 bis, lo trovano sempre, per cui tutti gli avvocati che dal ‘93 in poi si erano organizzati, facendo fare interrogazioni parlamentari contro il 41, erano visti come elemento di disturbo e quindi attenzionati poi dai servizi segreti e inseriti in questo famigerato “protocollo farfalla”.

Secondo il decreto quindi, un’eventuale mancata proroga del 41 bis nei confronti dei prigionieri politici sarebbe un segnale rispetto all’esterno, dimostrando in qualche modo che la lotta paga, e verso l’interno, perché sarebbe interpretata dai brigatisti come un segnale di ripresa della capacità rivoluzionaria della classe, un segnale che sarebbe corroborato dall’insofferenza esternata dagli stessi brigatisti per il regime detentivo speciale

In pratica ci dovrebbe essere una totale pace sociale, nessuna manifestazione di solidarietà e soprattutto, chiaramente, nessuno conflitto, neanche di basso profilo, perché poi invece negli anni a venire potrebbe succedere che…

E in più chi sta in 41 bis non deve neanche dire nulla e non si deve lamentare, perché la mera insofferenza significa che se ti lamenti contro il 41 bis vuol dire che quegli altri!….

Penso che è abbastanza chiaro quello che dice il decreto applicativo, che svela effettivamente qual è la finalità del 41 bis!

Quindi il 41 bis, che è una norma che è stata creata sulla base dell’emergenza, legata ai fatti di Falcone e Borsellino, in realtà è stato un pretesto bello e buono, nel senso che era stato ritirato l’articolo 90 sull’onda delle lotte contro l’articolo 90, ma un certo punto c’era la necessità di riportare una misura di massimo rigore ed è stata utilizzata l’emergenza mafia.

Ma naturalmente il 41 bis è una norma contenitore dove ci si può infilare di tutto. Nel 2002 hanno messo i reati di natura politica. Quindi è vero che al momento, dal 2005 a oggi, è stato applicato esclusivamente a 3 prigionieri politici, ma in realtà è una norma aperta: se dovesse aumentare il conflitto sociale, se effettivamente si fanno le manifestazioni grosse e in quei presidi davanti alle carceri non ci andiamo in 50, ma ci andiamo in 3000, naturalmente prenderanno i promotori delle iniziative e li metteranno in 41 bis perché ti danno una bell’aggravante di finalità di terrorismo.

Quindi io credo che sia necessario comprendere qual è la portata del 41 bis e il collegamento con tutta la legislazione che continuano a tirare fuori, e forse la riflessione che bisogna aprire è questa. Ad esempio il Daspo Urbano, rispetto alle gestioni interne delle città, non è altro che un ribaltamento sul piano sociale di quello che è il significato, il portato del 41 bis, all’interno delle Carceri. Quindi il 41 bis è naturalmente un deterrente per chi è detenuto in carcere, perché può essere applicato sotto i due profili, per i reati di appartenenza – quindi non per quello che tu hai fatto, ma per quello che tu sei o che lo Stato ritiene che tu sia, una “persona pericolosa”. E’ quindi il concetto di “pericolosità” che entra nel 41 bis, e che naturalmente non ha un aggancio, perché chiunque può essere pericoloso.

Ci sono una serie di reati per cui si è pericolosi a prescindere, che porta al fatto che sono esclusi da tutti i benefici, che porta all’ergastolo ostativo, a cui sono sottoposti 1500 detenuti in questo paese, che non hanno possibilità alcuna di uscire dal carcere se non quella della delazione. Delazione che poi, se uno l’avesse voluta fare, l’avrebbe fatta 30 anni prima! Dopo 30 anni ti chiedono una delazione che è finalizzata solo alla spersonalizzazione totale, cioè all’annientamento totale delle persone, perché poi questa è la finalità del 41. Per cui “pacificazione interna”, all’interno delle carceri, “pacificazione esterna” insomma. Questa è la finalità della norma.

E’ un percorso abbastanza chiaro, che parte dalla legislazione d’emergenza degli anni ‘70, che non è stata mai smantellata, nonostante sia finita quella stagione di lotte, però è tutto un armamentario che ci ritroviamo ancora oggi e che viene utilizzato anche molto più facilmente di quanto non venisse utilizzato negli anni ‘70 perché ormai abbiamo visto, anche per le lotte no tav, per un sabotaggio, hanno dato una finalità di terrorismo (che poi è andata bene perché magari si sono trovati due magistrati in Cassazione che erano “democratici” e hanno detto “ma di che stiamo parlando” e hanno escluso la finalità di terrorismo).

Ma sempre più noi andiamo verso anche una magistratura che è totalmente prona rispetto al potere esecutivo, quindi questa suddivisione di poteri c’è fino a un certo punto.

In questa chiave possiamo leggere anche la costruzione di un tribunale speciale, perché, rispetto al 41 bis, per la prima volta viene sottratta al giudice naturale la decisionalità sui detenuti ristretti nel suo territorio. Mentre prima sul detenuto in 41 bis, ad esempio di Secondigliano, decideva il tribunale di Napoli, su quello di Milano decideva Milano ecc., oggi noi abbiamo un tribunale speciale che è Roma, che hanno normalizzato e tutti i magistrati più aperti, democratici, in qualche modo sono stati trasferiti. Quindi hanno creato questa sezione apposita e da quel momento hanno revocato uno o due 41 bis.

Quindi non ci sono più revoche e io credo che la lettura di tutte queste norme emergenziali ci faccia capire qual è la strada dove stiamo andando!

Chiaramente ho fatto un quadro catastrofico, ma questo non significa che bisogna fermarsi, ma che bisogna essere consapevoli di cosa ci troveremo davanti negli anni a venire e quindi bisogna unire le forze e capire qual è il filo conduttore tra chi combatte! Perché combattere contro il carcere, combattere contro il 41 bis, combattere contro il Daspo, combattere per la casa, per il lavoro ecc. non siano lotte settoriali, ma un percorso unitario e dobbiamo avere la capacità di capire che il 41 bis è, appunto, l’elemento di deterrenza più alto che esista oggi nel nostro ordinamento.

Esso è appunto quella norma in bianco, che consente di inserire, a seconda di quelle che di volta in volta dallo Stato vengono considerate emergenze, varie tipologie di persone e quella che era una norma a termine, che veniva prorogata da sei mesi in sei mesi (tutte le pronunce, anche di Strasburgo, l’hanno dichiarata costituzionale perché era una norma a termine), in realtà poi è stata stabilizzata ed è diventata norma definitiva del nostro ordinamento (anche se sin dal suo concepimento sapevano bene che fosse incostituzionale)

Tornando a Nadia, la sua denuncia, la sua battaglia è importante e spero che il suo esempio venga seguito dagli altri detenuti in 41 bis, perché lottare, anche in condizioni così estreme, a difesa della propria dignità di persona prima ancora che di prigioniera politica, è importantissimo all’interno delle carceri.

Credo che se il suo esempio fosse seguito da tanti altri, sarebbe molto più difficile applicare condizioni di vita così segregative. Nello scritto che lei ha mandato ci spiega proprio il fatto della parola segregata, svela proprio come il 41 bis sia una norma che legittima continuamente il sopruso, a seconda del vezzo del GOM di turno che decide come e cosa combinare quel giorno.

La cosa secondo me più assurda è il fatto che in una sezione di 7 detenute, che non hanno nulla in comune, perché due sono calabresi, due napoletane, due magari di Palermo, una o due, finché ci sono state, le politiche, non c’era nessuna necessità di formare minigruppi o coppie. I gruppi sono da 5 nelle altre carceri, quindi avrebbero potuto fare la socialità tutte insieme, in una sezione che è praticamente quanto questo stanzone!

Tutto questo non è consentito, perché addirittura si arriva al fatto che non si possono neanche salutare.

Si parla di divieto di comunicazione tra gruppi, che è stato interpretato come divieto di parola, quindi sono arrivate sanzioni disciplinari semplicemente perché lei ha rivolto la parola alla porta vitto – se le deve dire “voglio un piatto di pasta” non lo può dire, deve parlare con la guardia e poi la guardia lo dice a quell’altra – E quindi avendo lei parlato con la detenuta che porta il vitto, pur non avendo neanche risposto, la detenuta però l’ha guardata e anche questo è un sintomo. Quindi questo ci dà l’idea di come il livello sia arrivato veramente alla barbarie.

Per cui divieto di comunicazione significa divieto assoluto di parola, tant’è che lei la mattina si sveglia e dice “buongiorno mondo” perché se dicesse “buongiorno Giovanna” sarebbe un rapporto disciplinare anche per Giovanna.

Per ogni rapporto disciplinare ci sono 15 giorni di isolamento, un giorno che non è isolata – perché altrimenti sarebbe incostituzionale – e così via. In realtà lei non fa la socialità con nessuna per sottrarsi a questa logica della punizione della sua compagna di socialità e quindi di fatto è in un isolamento continuo e costante che permane da anni e anni, in cui lei comunque, per esprimere il proprio dissenso rispetto a questa forma di annientamento, ha preso una bottiglietta di plastica e la sbatteva tutti i giorni, motivo non motivo, tanto il motivo c’era sempre: dal sequestro del lacceto che si era fatta per gli occhiali, che è un oggetto non consentito – per cui rapporto disciplinare – al phon che non funzionava, quindi era inutile andare a lavarsi in doccia (tra l’altro la doccia era consentita alle 8:00 di mattina, dopo tu vai all’aria in quell’ora a correre, quando torni praticamente è come se non ti fossi lavata) e quindi ha preso l’abitudine di lavarsi in cella perché tanto non aveva senso andare nella doccia – dove andava perché c’era il phon – perché il phon era rotto. Le hanno fatto una sanzione disciplinare perché non rispettava il “decoro e igiene personale” e chiaramente lei ha dovuto fare reclamo perché “io mi lavo tutti i giorni, semplicemente mi prendo una bottiglia e me la verso addosso in quella turca che c’è dentro la cella come se fosse una doccia, almeno me la faccio anche tre volte al giorno senza doverla fare alle 8:00 di mattina e poi andare all’aria, correre in quel cortile da sola e poi non potermi comunque più lavare”

Per cui è tutto finalizzato all’annientamento della persona e della sua autodeterminazione. Con questa bottiglietta batteva sulle sbarre e addirittura hanno chiesto una perizia per verificare le lesioni delle sbarre con la bottiglietta di plastica! Naturalmente non siamo alla follia, come si potrebbe pensare, siamo al fatto che loro la vogliono piegare: proprio per questa sua forma di resistenza è applicabile il 14 bis. Quindi per applicare il 14 bis hanno intrapreso questo percorso della denuncia penale, perché se poi ci sarà un giudice che riconosce che effettivamente il suo comportamento ha portato disturbo, le daranno anche il 14 bis – perché il reato è aver arrecato disturbo alle persone – come se fossimo qui a fare una grande festa che finisce alle 5:00 di mattina e i vicini di casa si lamentano – in quel caso la battitura era di mezz’ora con la bottiglietta di plastica dalle 8:30 alle 9:00 di mattina, quindi non ha arrecato disturbo a nessuno, se non che ha messo in discussione quello che era il potere rappresentato all’interno del carcere.

Quindi credo che appunto sia importante la mobilitazione in questo caso, ma perché è una mobilitazione che denuncia che cos’è il 41 bis e le condizioni in cui ormai sono costretti a vivere i detenuti sottoposti a questo regime.

Avv. Caterina Calia

Da osservatoriorepressione

 

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