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Stralci di Inchiesta (17): il lavoro ai tempi del business dell’accoglienza e dell’emergenza povertà

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Le contraddizioni che abitano la questione complessiva “dell’assistenza sociale e del contrasto alla marginalità sociale” si possono leggere in filigrana nelle condizioni di chi vi lavora all’interno, finanche per brevi periodi.

In un contesto di continui tagli al welfare, che ormai sono costanti in questo ambito, la retorica degli interventi mirati sulle “situazioni limite” è diventata elemento strutturale. Restringendo l’erogazione di servizi a momenti specifici, questa permette la definizione in senso emergenziale della “marginalità sociale” (negandone così il rilievo che dovrebbe avere la questione) e permettendo una definizione in senso temporaneo e precario dell’occupazione nel settore.
L’attitudine al lavoro che discende da questo macro-discorso sembra allora delinearsi come missione, che nasconde attraverso la carità e la spinta a livello etico di chi lo compie i deficit strutturali nel finanziamento, nonché il business condotto da cooperative spesso legate a doppio filo con le amministrazioni locali e che non esitano ad approcciare il campo con spirito puramente aziendalistico e votato al profitto.
Lo straordinario diventa normalità, non essendo quantificabile il tempo di lavoro e l’attitudine ad esso quando la prestazione include soprattutto una dimensione relazionale; i piani reali di decisionalità sono appannaggio di superiori distanti dalla realtà dell’operatore, e condotti con criteri quantitativi e impersonali che non rendono l’idea della complessità di ogni singola biografia.
In questa puntata di Stralci di Inchiesta ci occupiamo dell’emergenza freddo, che in particolare a Bologna ma anche in altre città prevede finanziamenti extra per l’accoglienza di senzatetto che altrimenti rischierebbero di avere gravi danni alla propria salute stando al freddo in strada. Più che una misura all’interno di un piano generale di lotta alla “marginalità sociale”, questo sembra un intervento una tantum finalizzato a proseguire le politiche di “decoro urbano”, le quali hanno il fine di impedire di veder la “povertà” e la “marginalità” nelle strade, senza però provare a insistere sul risolvere le condizioni che la producono.
Inoltre, a quanto emerge dal dialogo con un operatore precario, le stesse condizioni di lavoro sono difficili, pericolose, spesso non vengono riconosciute indennità e straordinari. Inoltre, chi si è formato per diventare operatore non trova lavoro nel campo, poiché questo è affidato a persone meno preparate ma meno costose in termini retributivi.

Le politiche di “accoglienza” basate su un principio etico condivisibile diventano in questo modo elemento di business per un certo associazionismo che vede nei finanziamenti al terzo settore principalmente una fonte di guadagno.

Lungi dall’affiancare a questa azione, peraltro gestita in modalità decisamente contraddittorie – come si evince dall’intervista – una critica alle istituzioni e alle loro politiche, fine di certo cooperativismo sembra lucrare sul riprodursi ciclico di emergenze e non combattere attivamente per la loro risoluzione, che ne eliminerebbe il ruolo e i profitti. 

 

Spiegaci in cosa consiste il tuo lavoro.

Ho lavorato in una cooperativa sociale in tutto il periodo del cosiddetto piano freddo, ovvero del periodo di emergenza per tutti coloro che vivono in strada, che dura approssimativamente da dicembre a marzo. Di fatto le persone che vivono in strada in quel periodo sarebbero esposti a rischi fino alla morte, così si amplia la possibilità di accoglienza rispetto a quanto già viene fatto normalmente, con l’obiettivo diciamo di “parcheggiare” in strutture i senzatetto eliminando dalla visibilità in strada questa forma di “disagio sociale”. Nel periodo dell’emergenza freddo c’è l’esigenza di inserire più persone, e io dovevo occuparmi di fare accoglienza, ovvero di registrare le persone che arrivavano in dormitorio, e di sorvegliare, ovvero di assicurarmi che ci fossero soltanto quelle persone e non altre “non bisognose”. Durante la notte dovevo controllare che non ci fossero problemi.

Quali sono i criteri per entrare nel dormitorio?
Allora, l’organo se cosi lo vogliamo chiamare, che si occupa di  stabilire chi può o non può andare in dormitorio è l’Help Center, che sta in stazione centrale. Questo è stato istituito apposta  per smistare nelle varie sedi tutti quelli che chiedono un posto letto nelle situazioni di emergenza. Tra l’altro ci sono stati parecchi disordini quest’anno, rispetto a cose tipo saltare la fila e superare gli altri per poter ottenere il prezioso tagliandino che assegna un posto.

Perché c’è un numero chiuso?
Si, nel dormitorio dove stavo io erano una quarantina, in un altro un centinaio, comunque non siamo oltre questi numeri, dei sei dormitori che esistono a quanto so io. L’Help Center smista nelle sei strutture a seconda delle esigenze. Il punto è che poi i problemi, aldilà dei numeri chiusi e della competizione per dormire al caldo, iniziano quando l’emergenza freddo finisce.

Ovvero?
Quando finisce, a fine marzo, c’è chi può entrare in un percorso prolungato di accoglienza e chi no. I criteri sono la presenza di un assistente sociale, che quindi può supportare il percorso di questa persona, ma anche tutta una serie di questioni burocratiche. L’emergenza freddo non chiede documenti o altro per accedere, molti erano migranti che si dichiaravano Mohammed Ali o Che Guevara al momento di dare le generalità. Quando finisce questo periodo però non siamo noi, gli operatori direttamente a contatto, che conoscono quindi le esigenze e le vite dei singoli a decidere, ma i nostri superiori, spesso ex operatori ora arrivati al ruolo di gestori di queste permanenze per conto della cooperativa che gestisce il tutto. È la cooperativa che gestisce, dopo aver vinto un bando del comune, questa situazione nel complessivo e quindi assume un ruolo direttamente politico, sociale.

Che turni avevi?
C’era il turno notturno, che si divideva in due, attivo e dormiente. Il turno attivo consiste nello star svegli tutta la notte a verificare che sia tutto ok mentre il tuo collega sta a dormire nella stanzetta per il dormiente e si attiva in caso di bisogno, con te che lo svegli se serve. I turni notturni andavano dalle sette di sera fino alle nove del mattino, a sua volta il turno era diviso in turno serale ( dalle sette alle undici) dove spesso si sta tutti e due svegli, e il turno notturno propriamente detto dove rimaneva sveglio solo uno come ti dicevo prima. C’è poi il turno diurno, che era fatto però in una struttura specifica e basta, quindi non ti capita spesso, che offriva una merenda, la possibilità di stare al caldo in particolari situazioni di freddo intenso.

Come ti pagavano?
Il pagamento era a ore, basato su contratto nazionale. Io personalmente ho avuto dei problemi, perché non mi pagavano le attività notturne quando ero dormiente, che comunque è lavoro nel senso che è presenza fisica in quel luogo. Per due mesi segnalavo la mia presenza, ma non mi pagavano, poi a una certa finalmente hanno ceduto e all’ultimo stipendio mi hanno pagato ciò che dovevano. Il compenso era 6-7 euro lordo, ma il punto è che tutto il sistema è basato sugli straordinari, che si facevano a manetta. Quando hanno proposto il contratto, era un contratto a 15 ore, proposto soprattutto a studenti fuori sede che cercavano un lavoretto per arrotondare. Peccato che poi di ore se ne facevano anche 40, se non 50 a settimana. A loro conveniva, perché dopo un tot gli straordinari vengono stra tassati e al lavoratore arrivano magari solo 2-3 euro per ora, quando uno pensa di star facendo un bel po’ in cambio del culo che si fa.

Come funziona l’organizzazione del lavoro?
Teoricamente avevamo dei turni fissi, poi però di giorno in giorno potevi essere chiamato, anche per il giorno stesso, a fare un turno inaspettato. La mattina ti chiamavano per andare alla sera. Un mio collega ha avuto dei problemi una volta quando ha deciso di non accettare una chiamata all’ultimo, con la responsabile che capito il suo rifiuto gli ha detto “Ok, allora ti piazzo nei turni attivi di notte per le prossime quattro notti”..tutto legale, teoricamente corretto, ma ovviamente quello è il lavoro più tosto ergo di fatto è una forma di ritorsione solo perché uno non è stato subito immediatamente disponibile.

Conoscevi i tuoi colleghi? Quanti eravate?
Sì, li ho conosciuti tutti. Eravamo solo 5 assunti specificamente per il piano freddo, poi c’erano quelli fissi che hanno contratto con l’azienda per tutto l’anno. C’era un buon rapporto tra colleghi, anche perché in realtà l’ostilità verso la cooperativa era diffusa più tra di loro che tra di noi forse! Non è che noi eravamo più sfruttati dei fissi, anzi. La situazione era comune a tutti, noi non avevamo alcuna certezza di rinnovo (quando ce l’han proposto erano solo sostituzioni saltuarie, quindi niente che ti consentisse di avere un reddito sufficiente a livello mensile) ma loro non se la passavano certo bene.

Avete mai cercato di organizzare qualche protesta comune rispetto a queste condizioni di lavoro?
Sì, però poi alla fine in un modo o nell’altro la cooperativa piegava la testa, oppure cercava di invertire la rotta quando i suoi ricatti diventavano controproducenti anche per lei. A me è successa una cosa davvero particolare ad esempio. Quando mancavano due settimane alla scadenza del mio contratto, mi han detto che non sarebbe stato rinnovato e di cercarmi dunque un altro lavoro. Io me lo son cercato e l’ho trovato, e un giorno che mi han detto di fare un turno all’ultimo minuto gli ho detto di no, che avevo da lavorare nel nuovo lavoro. A quel punto loro han detto: ma come, alla fine il contratto c’era, te l’avremmo rinnovato. Di fatto ti tengono sulla corda fino all’ultimo e poi quando sei alla canna del gas magari ti offrono un contratto un po’ peggiore..però io di fatto li avevo fregati. Comunque le lamentele sono costanti in tanti ambiti.

Cioè?
Per esempio, questo servizio, che in realtà dovrebbe essere visto all’interno di un generico diritto all’abitare, nella pratica non lo è per nulla. Queste sono strutture che hanno un sacco di problematiche. Dove lavoravo io erano circa 40 posti, finita l’emergenza freddo hanno tagliato 20 posti subito, e dimezzato gli operatori. A volte capita che ci sia una sola persona a fare turno di notte, e magari uno si prende un infarto e questo manco la vede o non ha nessuno da chiamare dato che magari è impegnato con altri casi. Però poi ne risponde lui legalmente se succede qualcosa!

Ma perché questi tagli di colpo secondo te?
Perché i finanziamenti sono solo per l’emergenza freddo! Una volta finito quel periodo particolare, di parcheggio del disagio come lo chiamo io, poi finisce lì. D’estate si può dormire fuori senza morire, ergo si dorma fuori.

Come vedi questo lavoro?
Per me era anche una bella cosa. Abbiamo provato a organizzare feste, a coinvolgere le associazioni, però alcune questioni erano davvero deprimenti. Per dire, la cooperativa non si occupava di fornire la cena, o la portavano singolarmente gli operatori oppure finiva che non si mangiava neanche. E ovviamente immagina persone affamate, con forti problemi di alcolismo a volte, messe tutte insieme in una struttura dove non c’era neanche da mangiare che situazione esplosiva creavano. Non era predisposto un sistema di risoluzione dei problemi che potevano crearsi: l’unica cosa che devi fare è chiamare la polizia e chiuderti nello stanzino adibito all’operatore, se ci riesci. In parte è quindi pure un lavoro rischioso, però non ti pagano le notti se non glielo segnali! Tieni conto poi che non siamo formati ovviamente per fare questo lavoro, dovrebbero prendere operatori pronti, formati, capaci..ma ovviamente costano di più, noi offriamo un bel risparmio alla cooperativa.

Che giudizio ne dai in definitiva?
Tu hai gli spazi per fare un lavoro positivo, per aiutare delle persone. Però la verità è che al meccanismo non importa nulla delle persone che sarebbero il suo oggetto di lavoro. Ci sono persone meravigliose, che si comportavano benissimo, povere e sole, che sono tornate in strada una volta finito il piano freddo, senza che siano state inserite in alcun progetto di recupero. Sono semplicemente state escluse dai criteri di assegnazione; c’è una selezione che ha dei parametri impersonali molto complessi, e dove stavo io figurati che hanno poi ricollocato solo quattro persone su 40. Sei tu comunque che decidi come fare il tuo lavoro, se fare solo il te alla sera o se consigliare come trovare lavoro, se passare tempo insieme come giocare a carte. La cooperativa non ti dà linee guida su come comportarti, a lei interessa prendere la gestione del comune e guadagnarci il più possibile..

 

 

 

 

 

Non una parola pubblica spesa sulle politiche che riproducono la marginalità sociale, sui tagli al welfare e ai servizi sociali, sulla precarizzazione che genere miseria. Si crea il soggetto da accogliere per giustificare il business dell'”accoglienza”, invece di lavorare per la sua estinzione.

Per approfondire la questione, vi invitiamo alla lettura dell’intervista.

 

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