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“Si parte tutti insieme, si torna tutti insieme!”

“Non saranno necessari le maschere anti-gas né i caschi – assicurava Francesco Richetto del comitato di lotta popolare di Bussoleno dal camioncino d’apertura della marcia. “ Siamo noi ad aver deciso così, il senso della giornata di oggi è un altro. Domani finisce il campeggio e comincerà un presidio permanente della valle che proseguirà fino a settembre-ottobre, quando apriranno il cantiere vero e proprio di Clarea, e noi saremo là”.

Ieri i no tav c’erano ed erano tanti. Le prime stime parlano di 10/15.000 persone, con una presenza fitta e generosa della componente allargata del movimento: pensionati, bambini, intere famiglie, l’immancabile banda musicale notav e la samba band, i viticoltori che faticano a coltivare le loro vigne nel terreno recintato e le valligiane che non mancano un appuntamento, per nulla stanche di contribuire all’organizzazione di un campeggio che per il ministro Maroni altro non sarebbe che un pericoloso ricettacolo di terroristi. Le sue minacce non hanno tardato a tradursi in realtà e già nei giorni scorsi sono giunte le prime denunce e i fogli di via, forieri di future manovre repressive. 

Ma al movimento no tav le minacce non fanno paura, né accettano di essere rinchiusi in una classificazione troppo semplificata. Soprattutto non perdono mai il senso dell’umorismo. Scherza una signora dalle prime file della marcia, dietro lo striscione d’apertura (“Fuori le truppe”) : “siamo qui perché, a quanto pare, da queste parti l’idea è quella che quando dici No è Sì, perché siamo bastian contrari”. Poco più in là, qualcuno venuto da molto lontano comprende perfettamente la posta in gioca di questa battaglia, così profondamente territoriale… ma così poco nimby. E’ un’aquilana, venuta “qui per i valsusini, per portare solidarietà ma anche per noi. Perché la val di Susa, in questo momento è la frontiera della democrazia in Italia”. Del resto “anche l’informazione ha vissuto qui il suo definitivo massacro”. Qualche metro più indietro ed è un alpino di mezz’età a non farsi pregare: “Non tutti gli alpini sono aldilà di quelle rete, anzi ce ne son pochissimi di là, sono quelli che vengono pagati. Noi l’abbiamo fatto come servizio di leva mentre oggi lo fanno per soldi”.

La battaglia, ancora una volta, si è giocata sui due piani paralleli e comunicanti del territorio reale e dell’infosfera virtuale, con migliaia di messaggini tweets, dirette radio e uploads video in tempo reale che hanno battuto le alte prestazioni dell’informazione mainstream. I siti di movimento (notav.info, notav.eu. infoaut.org) e Radio Blackout hanno seguito, passo dopo passo, ogni metro del corteo, raccontando e restituendo la parola ai suoi protagonisti reali, così lontani dai riduzionismi della comunicazione ufficiale, capace solo di raccontare di violentissimi black bloc o pacifici montanari.

I numeri e la gioia che oggi hanno ripercorso i sentieri che da Giaglione portano a Chiomonte, di fianco a quel recinto teatro di ripetuti scontri, la dicono lungo sulla tenuta di un movimento letteralmente inclassificabile, capace di comporre insieme alpini e centri sociali, cattolici, ex-leghisti riconvertiti e gli orfani di una sinistra che non c’è più.

Un movimento molto cresciuto negli ultimi quindici anni, pronto per un nuovo autunno di lotta che potrebbe presto rivederlo attraversare le strade della vicina-lontana Torino per parlare ai metropolitani di crisi e debito. Le premesse ci sono già tutte ma oggi, più importante, era tener fede alla parola d’ordine sorta tra La Libera Repubblica e il campeggio resistente: “Si parte tutti insieme , si torna tutti insieme”. I notav l’avevano promesso e così è stato!

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