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Chiomonte, 3 luglio: ‘La mia piccola giornata’

Se qualcuno vuole discutere del 3 luglio mi permetto di invitarvi a casa d’altri: se non siete fascisti o idioti, fatelo su: http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=4614

Scrivo queste righe perché voglio ricordare il più possibile. Non ci troverete un’analisi profonda, né un resoconto completo di quello che è successo, né le ragioni della lotta. Se cercate quello potete fermarvi qua. E’ soltanto la mia piccola giornata. Se eravate in Valdisusa, mi permetto di darvi un consiglio: fate altrettanto. Buttate giù due righe. Ancora non sappiamo se e quanto è stata davvero una giornata storica. Anzi, anche questo dipenderà da noi. In ogni caso c’è la possibilità che già lo sia, ed è meglio iniziare a ricordarla quando la si può ricordare tutta, senza aspettare che passino dieci anni.

Mi sono svegliato alle cinque di mattina. Infine nessuno di quelli che avevo invitato ad accompagnarmi poteva o voleva venire su in valle. Così ho fatto la doccia, lo zaino, preso la macchina e mi sono diretto alla stazione del mio capoluogo, da solo. Nello zainetto c’erano sei panini ben farciti, due limoni (per gli occhi), due sciarpe, un guanto da motociclista (per prendere in mano eventuali fumogeni e ributtarli lontano – cosa che poi non ho mai fatto), un beautycase (colmo di medicinali vari, bende, garze e cerotti), uno smartphone, un cellulare, un navigatore gps (non l’ho usato), una sacca camelback colma d’acqua (molto utile), un coltellino multiuso (non l’ho usato).

Arrivato alla stazione in tempo per il secondo treno utile, mi accorgo che il primo ha 80 minuti di ritardo. Bene, penso, i compagni di qui (con i quali ho molti contatti pur non frequentandoli spesso) saranno ancora tutti sul binario. Il binario invece è semideserto. In fondo intravedo uomini che paiono in divisa. Il mio abbigliamento lascia pochi dubbi, e da paranoico fifone quale sono, comincio a preoccuparmi (in piem. “a caghemi dòs”) ancora prima di partire. Poi scorgo un ragazzo accovacciato in terra che legge un libro, mi avvicino. Dorso giallo Einaudi Stilelibero. Anche lo spessore è quello. Sembra proprio Q. Mi avvicino ancora. Gli chiedo se va in Valsusa, mi risponde di sì. Chiude il libro: è proprio Q.

-Ei quello è Q!- gli faccio.

-Eh sì! Lo sto rileggendo per la terza volta!- sorride.

Cavoli, la terza volta. Io l’ho letto solo due. Gli chiedo subito se ha letto anche 54 e mi risponde di no, però ha letto Altai. Ci mettiamo subito a parlare di Q, di Altai, del loro significato, di radici e di guerrieri senza nome, di Genova, del 14 dicembre a Roma (lui c’era, io no), insomma un po’ di tutto quanto. Viene fuori che è originario del mio paesino, ma è molto più giovane di me, lui poco più che ventenne e io quasi trentenne. Sto molto meglio. Il treno non è ancora partito e non sono già più solo, e la compagnia sembra ottima.

Ero partito per conoscere, non tanto per lottare. E’ stata anche la mia prima manifestazione #notav in assoluto. Mi era capitato di imbattermi in qualche corteo notav a Torino durante l’università, ere geologiche fa, ma mi ci ero sempre “trovato”. E’ stata anche la prima volta che ho visto con i miei occhi, e non in qualche video su internet, come agiscono le forze dell’ordine nel nostro paese. Insomma, sono un pivello. E pur avendone visti a centinaia, di quei video, non portavo un grammo d’odio con me (ora ne ho qualche tonnellata da digerire) . Volevo conoscere, vedere con i miei occhi, pensare con la mia testa. Ancora prima di partecipare.

I discorsi continuano per tutto il viaggio fino a Torino, ma ve li risparmio: c’è già molto altro da raccontare. A Torino la stazione è strapiena di manifestanti, non si vede neanche un uomo in divisa. Penso sorridendo che se non ci fanno partire potremmo facilmente prendere la città.

Sul treno per Chiomonte si sta davvero come sardine. Gente di tutte le età e tipi. In piedi ci sono un sacco di ragazzini e ragazzine, quell* che vedi entrare da H&M o ai concerti di Mtv, sulla cui volontà di partecipazione politica non scommetteresti un centesimo. E invece. Nessuno di loro sembra “equipaggiato” (addirittura tanti e tante in infradito! ps. non fatelo!) e non si respira un grammo d’odio neanche qua. Sembra un’enorme scampagnata. Sono sempre più sollevato. Inizio a twittare con lo smartphone. Scorgo dei posti di blocco sulle statali parallele alla ferrovia. Retwitto un messaggio di Infoaut che avverte che l’autostrada è chiusa. Un giovane sul treno ha dei quotidiani e ce li legge tra l’ilarità generale. La Stampa e La Repubblica sono a un discreto livello di delirio. Chiamparino parla di decrescita come se fosse la Morte Nera (quella del medioevo). Il Corriere è più su Guerre Stellari: minaccia satelliti militari pronti a essere usati contro di noi. Immagino il sollievo dei buoni borghesi milanesi a leggere quelle righe. I barbari verranno sconfitti dalla nostra tecnologia avanzatissima, e poi porteremo il progresso ad alta velocità anche a loro, keep calm and carry on!

Arriviamo a Chiomonte e il fiume di gente scende dal treno. Mi fermo a guardare le montagne sopra di noi e il cielo terso. Un attimo, vengo travolto dalla folla, e ho già perso il mio compagno di viaggio. Sono di nuovo solo. Mi fermo un attimo davanti alla stazione ma non lo scorgo più. Poco male, penso. Qua sembra una festa. Sto per andarmene quando dalla stazione esce un volto conosciuto. Un amico che non vedevo da secoli. Ci abbracciamo increduli e commossi e felicissimi di incontrarci proprio qui. E’ insieme alla sua fidanzata che è costretta a sorbirsi l’esaltazione delle nostre gesta passate. Andiamo a prenderci un caffé al bar di Chiomonte, che fa affari d’oro. Uscendo troviamo una cantina aperta, compriamo una bottiglia di vino notav, per soli 5 euro, con i quali finanziano anche il movimento. Anche lui e la sua ragazza sono qui animati dalle stesse mie intenzioni: conoscere.

Fuori dal bar vedo anche un compagno che ho incontrato qualche volta alla casa del popolo. Intende dirigersi al cantiere per iniziare subito l’assedio, senza aspettare la marcia pacifica. Se non avessi incontrato il mio vecchio amico sarei certamente andato con lui, anche se sempre più per conoscere che per lottare. Oggi forse racconterei una storia molto diversa. Ci abbracciamo e ci salutiamo. Non l’ho ancora sentito, non ho il suo numero, non siamo su facebook né lui né io. Ora mi sembra davvero assurdo non avere il suo numero, non sapere come sta.

Ci mettiamo in marcia, noi tre, insieme ad altre migliaia e migliaia. Ora *è* proprio una festa. Ci sono persone, famiglie e gruppi da ogni parte d’italia. Bandiere di partiti e striscioni di movimenti. Tante le lotte, anche lontane, che si sono riunite e che si parlano. Ogni tanto qualcuno si affaccia sul guardrail della strada che sale verso Exilles per ammirare la valle di sotto, e subito altri si avvicinano pensando che stia succedendo qualcosa, invece è soltanto il panorama. Tutti ammirano estasiati la valle, le cascate, i boschi, le cime. Fa male allo stomaco pensare a tutto questo ricoperto di polveri bianche di amianto e uranio (sì, uranio: queste montagne custodiscono e ci proteggono anche dall’uranio, che si annida in profondità nella roccia che si vuole scavare). Fa male pensare a tutto questo in pericolo di vita.

Un elicottero comincia a svolazzare sopra le nostre teste, salutato da una selva di dita medie. Un signore di mezz’età e sua moglie ci raccontano di quando a Terzigno buttarono giù dall’elicottero i lacrimogeni carichi di CS, un gas tossico vietato in tutte le guerre internazionali, uno di quelli del cui possesso si accusava Saddam Hussein come pretesto per farci la guerra. L’elicottero non riesce per ora a guastare l’atmosfera gioiosa.

Intanto la batteria del mio smartphone decide di passare col nemico e boicottarmi sul più bello. Chiamo a casa e per fortuna trovo qualcuno disposto a twittare gli sms che mando con l’altro cellulare più “basic” che si può, che non mi ha mai tradito, nemmeno quando tutti gli altri cellulari intorno a me sembravano come oscurati. Chi ha seguito la mia diretta su twitter sappia quindi che non sono il solo da ringraziare. Chi mi ha aiutato ha fatto un ottimo lavoro e ha passato la giornata attaccato al computer a scrivere tutto quello che mandavo, a scrivermi quello che mi veniva chiesto, e anche, a un certo punto, a censurarmi! Me ne sono accorto quando giunto a casa ho dato un’occhiata alla mia timeline, e in quello stesso momento mi sono reso conto che era una censura sacrosanta, che non avrei accettato da nessun altro, ma sacrosanta. Quando ho visto le forze dell’ordine sparare i lacrimogeni come fossero proiettili, da pochi metri, dritti nella schiena a chi si ritirava con tutta calma e compostezza, mi ero lasciato andare a una serie di domande in cui mi chiedevo a quale phylum del regno animale potessero appartenere gli esseri in divisa, di certo non alla famiglia dei mammiferi a cui li avevo affibbiati poco prima dandogli dei topi (a pelo lucido, perché luccicavano da lontano) né credo a quello dei vertebrati in generale, e di conseguenza con cosa avessero copulato le loro madri per partorirli, e che genere di esseri avessero loro stessi figliato. In quel contesto non credo sarebbero state utili queste domande, tanto più che ho scoperto poi che c’era addirittura chi usava i miei tweets per orizzontarsi in quella bolgia. Restano, in ogni caso, questioni aperte. Ma è bello che chi mi ha aiutato avesse nervi più saldi dei miei.

Ma torniamo a dove ho lasciato. Abbiamo continuato a salire fino a ricongiungerci con il corteo che scendeva da Exilles, ancora più numeroso del nostro, e ci siamo salutati con un lungo applauso e grida. L’elicottero si è dovuto alzare altissimo per vedere fin dove arrivavamo. Noi, da giù, non eravamo in grado di vedere né il capo, né la coda. Sembravamo occupare tutta la valle. Intanto giunge la notizia che a Giaglione altri compagni hanno ripreso la baita e il presidio che erano stati loro strappati, notizia salutata da tutti con applausi e grida. Il mio amico incontra un suo amico, che è con un gruppo di giovani. Ci presentiamo e continuiamo a scendere.

Riscendiamo tutti insieme lungo la statale, sull’altro versante della valle rispetto al paese di Chiomonte, lo stesso versante della centrale e del cantiere della Maddalena. Passiamo a fianco di vigne bellissime, curate a mano con pazienza e sforzi incredibili vista la ripidezza dei fianchi della montagna. Pensiamo a quel vino che costa solo 5 euro, in cambio di sforzi così. Pensiamo all’amore duro che ha questa gente.

Dopo pochi chilometri la strada si divide: la statale continua a scendere mentre a sinistra sale una strada più piccola, e al bivio ci spiegano che scendendo si arriverà alla centrale e all’assedio pacifico, mentre chi sale proverà ad avvicinarsi per boschi e sentieri al cantiere della Maddalena. Molti salgono, moltissimi prendono la strada a sinistra. Anche gli amici del mio compare ritrovato. Noi rimaniamo lì piuttosto perplessi e indecisi. Non c’è molta differenza “sociologica” tra chi sale a sinistra e chi scende a destra. Non mi sembra aver visto bambini salire, ma per il resto è salita gente normalissima, nessuno di loro era attrezzato con caschi o maschere, nessuno di loro aveva l’aria di chi “va a far botte”. Di nuovo, mi fermo a riflettere sul fatto che se fossi stato da solo sarei probabilmente salito, ne parlo col mio amico che mi confida lo stesso pensiero. Più tardi ci saremmo chiesti entrambi che cosa sarebbe successo se tutti noi che siamo scesi a destra avessimo provato a salire su, verso il cantiere.

Intanto si è fatta ora di pranzo e ci fermiamo pochi metri a monte della statale, in mezzo a una macchia tra le vigne, per dividerci i miei panini (fortuna che avevo abbondato, loro erano partiti un po’ sguarniti) e soprattutto il vino, un rosso amabile e sincero senza essere dolciastro nemmeno un po’, perfetto e diretto come i valsusini. Ritornano i discorsi sul nostro passato insieme e si mischiano a quelli sul presente e sul tempo in cui non siamo stati vicini e si progettano ritorni in valdisusa, per la lotta e anche per escursioni e braciolate.

Pochi metri più sotto la marcia prosegue, densa e veloce in discesa verso la centrale. Bambini, anziani e giovani passano sotto i ponti altissimi dell’autostrada A32, la più costosa d’Italia, di certo tra le più inutili, visto che per portarti fino a Bardonecchia, in cima alla valle, ti fa risparmiare solo pochi minuti di tempo. Per ora è l’unica grande ferita nel paesaggio altrimenti idilliaco, il TAV sarebbe una ferita enormemente più grave, e anche molto più inutile. Chissà quante delle cascate come quella che c’è alle nostre spalle verrebbero deviate e rotte dai tunnel, e non è “solo” una questione di paesaggio. Ma è inutile che mi dilunghi su questo. Bastano due secondi su google, o la lettura di “Sentiero degli dei” di Wu Ming 2.

Riprendiamo il cammino quando la marcia comincia appena a sfoltirsi. Sapevo da video visti il giorno prima che davanti a noi c’era la centrale idroelettrica, e che la strada era sbarrata da blocchi di cemento e filo spinato. A tutti, anche a quelli della zona, da giorni è stato impedito il passaggio, non dico in macchina, ma nemmeno a piedi, tranne forse a pochi fortunati che comparivano in un fantomatico “elenco”. Molti contadini non potevano e credo ancora non possano raggiungere le loro vigne. Non so se vi rendete conto. In questo periodo dell’anno le vigne hanno bisogno di ore e ore di lavoro, tutti i giorni.

Quando arriviamo la situazione è già molto tesa. L’odore dei lacrimogeni e degli urticanti è già nell’aria, quando arriviamo ne è già stato lanciato qualcuno. Eppure l’assedio pacifico previsto è lì, lì sono tutti i bambini, gli anziani, i giornalisti, credo anche i sindaci, lì parlerà poco dopo di “eroi” quel triste clown in cui si è trasformato Grillo da quando ha smesso di fare la pubblicità degli yogurt ed è diventato la pedina di quei loschi fascisti della Casaleggio & Co.

Decidiamo di toglierci da davanti alla barricata di cemento e filo spinato che verrà abbattuta poco dopo e di dirigerci sull’adiacente ponte che attraversa la Dora, l’unico ponte per chilometri, occupato dal grosso dell’ “assedio pacifico”, che sarà gasato per ore con le armi chimiche, e sarà testimone degli scontri che avverranno davanti alla barricata.

Ci trasferiamo ancora più a monte verso Chiomonte, ben decisi prima di tutto a portare a casa la pellaccia e di capirci qualcosa prima di lasciarci le penne. Pochi minuti dopo il nostro passaggio quel ponte non sarebbe più stato raggiungibile dall’altro lato e ci saremmo trovati davanti la polizia che caricava per impedire il passaggio attraverso la barricata spostata e divelta ma anche, soprattutto, per impedire a chi ancora giungeva dietro di noi di arrivare al ponte e salire su a Chiomonte, illogicamente, o con una logica da assassini. Il lancio dei fumogeni aumenta e risaliamo un paio di tornanti per sottrarci, così fanno anche alcuni altri, ma molti restano giù, anche molti anziani e purtroppo anche ragazzini e bambini. Quello, dopotutto, era il luogo indicato come più sicuro, il punto di ritrovo della manifestazione ufficiale e pacifica, quello a cui erano indirizzati tutti gli sperduti e i malmenati che giungevano da più parti. Altri scontri, credo ben più gravi, avvenivano infatti sulla strada che scendeva da Giaglione e, soprattutto, nei boschi e nelle borgate, per i sentieri che portavano al cantiere della Maddalena, molto distante ma ben visibile, a metà versante della montagna. Perché le forze dell’ordine ci gasavano sul ponte? Perché mettere una barricata a due metri dal ponte, quando sarebbe bastato metterla un centinaio di metri più in là, oltre la centrale elettrica, e lasciare il ponte libero per chi voleva semplicemente passare o ritrovarsi lì, visto che lì era il ritrovo “pacifico”?

La strada che porta a Chiomonte per cui risaliamo ha un guardrail a valle, e molti di quelli che risalgono dal ponte ci battono sopra con pietre e pezzi di legno, mentre più sotto gli scontri e i lanci si susseguono. Una bambina inizia a scandire VER-GO-GNA e dopo qualche vergogna urlato da lei tutti iniziano a urlare vergogna, io anche inizio a urlare vergogna e decido che le lacrime vere me le tengo per dopo, per quando arrivo a casa, che qui non si capisce, potrebbero essere i lacrimogeni, che io voglio capire bene per cosa sto piangendo, non voglio mischiare le cose.

Ogni tanto riscendiamo giù al ponte e poi risaliamo, non c’è molta paura tra noi tre, ma neppure sicurezza e decisione sul da farsi. Quando il fumo diventa troppo semplicemente risaliamo un po’ più su. Nei giorni passati avevo letto per caso alcune storie sulla battaglia di Stalingrado, che poco ha a che vedere con questa specie di guerriglia nei boschi, ma qualcosa mi venne in mente in quei momenti. Gli assediati che diventano gli assedianti, le truppe naziste prima assedianti ora circondate, la frase di Zajcev “non c’è posto per noi dietro il Volga” e questa Dora che sembra sempre più il Volga, e ti dispiace abbandonarla e risalire, ma sai che è lì, ti rimane dentro, sai che “non c’è posto dietro” anche quando risali. Questo per spiegare quel tweet sbagliato, che quasi nessuno forse ha capito, uno dei pochi non retwittati. Sbagliato, perché è scritto su una tomba. Subito dopo ho letto i tweets dei Wu Ming su Robin Hood e Little John e mi sono ripreso dal brutto fantasma semiotico, questa non è Stalingrado (anche se qualche giorno fa c’era una barricata della Libera Repubblica della Maddalena si chiamava così) non è una città, è una valle con foreste e boschi, e noi siamo gli allegri compagni della foresta, non l’Armata Rossa, e soprattutto: urca urca tirulero, oggi splende il sol!

Anche se i miei quasi trent’anni erano “poco più dei loro”, non mi sentivo abbastanza innocente da lottare così come si gioca, e perciò mi sono trattenuto dallo scendere e lanciare la pietra che stavo usando contro il guardrail. Non avrebbe fatto danni: stavano ben protetti, distanti dietro una ruspa, sotto i caschi e gli scudi, messi a testuggine, coperti dai lancialacrimogeni caricati ad armi chimiche e dall’elicottero ora basso sopra di noi. Se si sono feriti è soltanto nella dignità, se ancora ne avevano. Per tutto il tempo non hanno smesso di gasarci, avevano dei marchingegni in grado di lanciare i lacrimogeni a quattro a quattro. Un signore di mezz’età è colpito a una gamba (lanciavano anche più in basso della cosiddetta “altezza d’uomo”) e di fianco a lui, due metri più in là, c’era un bambino, che lo avrebbe preso in testa. Chi provava ad avvicinarsi al ponte dall’altro lato veniva investito dai lanci, a un certo punto hanno cominciato a usare anche un idrante, dello stesso tipo che vedevamo impiegato più in alto, alla Maddalena. In mezzo c’era anche chi provava a forzare il blocco, certo, ma allora perché avanzare? Perché invece non fare un blocco più indietro e lasciare chi volesse soltanto rifugiarsi su a Chiomonte passare sul ponte? Perché, cristo, perché perché perché sparare addosso a chi si avvicinava lentamente dando mostra di voler soltanto passare, e poi continuare a sparargli NELLE spalle mentre altrettanto lentamente tornava indietro e rinunciava? Che cos’è lanciare una pietra di fronte a questo? E mi venite a dire che lanciare una pietra di fronte a questo è violenza? Non è forse altrettanto innocente e inutile che lanciarla su un carrarmato? Che cosa sono 70000 persone che vogliono una cosa e ci rinunciano di fronte a qualche centinaio di mercenari, perché questo soltanto sono ormai, MERCENARI, ci rinunciano, non perché sia impossibile ottenerla, è anzi molto probabile che la si otterrebbe, ma ci rinunciano per evitare un massacro? Per evitare i morti che dall’altra parte han tutta l’aria di cercare? Che cosa sono 70000 persone di fronte a chi usa le armi chimiche, le armi chimiche vietate in guerra da decenni, che cosa sono 70000 persone e nessuno che perde la testa, che di fronte a chi usa le armi chimiche sparate dentro proiettili giganti ad altezza di bambino non rispondono, come ci si potrebbe aspettare, con le molotov e con i fucili? Chi è lo Stato e chi è il terrorista oggi in Italia? Che cosa sono i compagni dell’Askatasuna che, di fronte a tutto questo, salvano un poliziotto che stava per essere malmenato? Mercenari: sapete che chi vi ha mandato su domenica, era ben contento se le cose giravano? Se ammazzavate un bambino, sapete come finiva? Sapete che eravamo 70000? Sapete che quelli che vi comandano aspettavano solo quello, preparavano solo quello?

Chi ha inventato il tag nervi #saldi mi ha fatto un grosso favore ieri.

Ma torniamo a noi tre, o potrei continuare per centinaia di pagine. Siamo saliti un paio di tornanti, quello che accadeva più sotto era sempre meno chiaro e più preoccupante. Ora potevamo vedere meglio ciò che avveniva di fronte a noi, sull’altro versante. Molti avevano aggirato il blocco e si avviavano verso la Maddalena attraverso le vigne, in fila indiana e con passo accorto per il terreno scosceso. Dalla Maddalena scendono colonne nere e luccicanti di poliziotti e dal nostro versante ci mettiamo a urlare per avvertire chi è nelle vigne. C’è anche uno con un megafono che cerca di avvertirli. Qualcuno ha aggirato il blocco anche più a valle e corre giù a lato della Dora, i poliziotti li seguono con passo molto più lento, sembrano imprendibili. Ma a un certo punto arrivano giù due fuoristrada molto veloci, e non riusciamo a vedere come va a finire. Un signore del posto mi dice che spera che ci sia qualcuno di loro che sappia dove guadare la Dora.

A un tornante, da cui parte un sentiero che scende nella valle occupata dalle forze dell’ordine, incontriamo un signore dall’aria un po’ strana, con un accento milanese-napoletano, che invita a scendere con lui per fare “un’azione dimostrativa pacifica”. La cosa non ci convince molto, sotto ci sono centinaia poliziotti, è facile immaginare come la prenderebbero, un’azione dimostrativa che di fatto sarebbe un’invasione da dietro le loro linee. Un’altra signora che aveva l’aria di conoscerlo si mette a implorarci di non farlo e di fare qualcos’altro più su, a Chiomonte. Entrambe le idee si riveleranno sbagliate, ma non ho elementi seri per dubitare della buona fede di entrambi. In ogni caso sono stati poco ascoltati. Un gruppo di giovani chiese semplicemente: “di qui si scende?” indicando il sentiero, e alla risposta affermativa scesero giù in valle oltre le linee, senza aspettare l’organizzarsi di nessuna “azione dimostrativa”. Non so come sia finita per loro. Per conto nostro, diamo più credito alla signora, e iniziamo a parlare con la gente dell’idea di occupare la ferrovia su a Chiomonte, ma neppure noi siamo molto convinti. Risaliamo comunque su a Chiomonte, anche perché la nostra acqua sta finendo, e salire e scendere dal ponte ai tornanti ci ha prosciugato parecchio.

Su a Chiomonte la situazione è molto tranquilla. Ci sono giovani che giocano a carte per strada, famiglie che hanno l’aria di essere in gita domenicale: un rifugio sicuro per tutti quelli che gli scontri non li volevano nemmeno vedere. Per questo ribadisco ancora una volta quello che ho già scritto su Giap dei Wu Ming: lo spazio per lottare c’è davvero per tutti. Anche per i deboli di cuore. Perché anche chi giocava a carte su a Chiomonte stava lottando; anche andare al bar o comprare il vino alla cantina del paese è lottare.

Non facciamo in tempo a riempirci d’acqua alla fontana che si sentono esplosioni più forti da sotto, e un gruppo di giovani ci dice che stanno caricando pesantemente giù al ponte. Ricordo un ragazzino con l’aria navigatissima che fa domande tecniche a quei giovani sul tipo di cariche, sul numero. Avrà avuto quindici anni, forse meno. Ricordo l’affanno nel rimettere il camelback nello zaino, nel tirare fuori la sciarpa, i limoni, e nel correre giù. Dopo un paio di tornanti però ci calmiamo e riscendiamo più composti, anche se velocemente. Giù al ponte c’è molto fumo che sale e si capisce poco, ma la situazione nel frattempo doveva già essersi leggermente calmata.

Proprio in quel momento incontro uno dei compagni della casa del popolo, sembra tutto a posto, racconta di essere stato lì davanti per tutto il tempo. Anche se probabilmente non ha sentito di “urca urca tirulero” il suo mood pare proprio quello. Più che dagli scontri e da ore di gas sembra uscito da un pogo. Mi chiede di scambiarci le magliette e di farci una foto e penso a quanto è ridicolo il fatto che la sua maglietta, di lui che è stato in prima fila, sia tutta colorata e “pacifista”, e per niente sudata, e la mia, di me che sono stato quasi sempre “tranquillo” dietro, sia una maglietta rossa di Lotta Continua, e tutta sudata (la mattina prima di partire ero molto indeciso su cosa mettermi, e poi mi son messo quella, per il suo valore affettivo, e perché quando mi ricapitava di usarla un’altra volta così appropriatamente?). Intanto il “grosso” dell’assedio pacifico stava decidendo che ore e ore di gas e di botte potevano bastare e stava risalendo su, mentre molti ancora restavano al ponte, e ancora troppi erano bloccati dall’altra parte senza sapere come rientrare. Sulle vigne era una guerra di posizione, con i poliziotti che aspettavano che i compagni si avvicinassero per lanciargli i lacrimogeni, ma non mi sembra di aver visto scontri violenti (anche se magari ci sono stati, era impossibile vedere tutto).

Tra quelli che risalivano ricordo una vecchietta con un bastone, ultranovantenne credo, che saliva solo ora. L’ho reincontrata più tardi vicino alla fontana, quando anche noi siamo risaliti del tutto, e mi ha concesso una foto con un gesto del capo. Credo avesse lasciato la dentiera a casa, forse per timore di perderla. Non disse una parola per tutto il tempo.

Il mio amico era atteso al lavoro a Torino e decidiamo di tornare tutti e tre insieme, col treno. Andando verso la stazione passiamo di fianco alla caserma dei carabinieri, presidiata da un folto gruppo di uomini in divisa, molto vicino alla stazione. Bloccare il treno, come avevamo ipotizzato qualche ora prima, sarebbe stata una pessima idea: si sarebbe aperto un altro fronte proprio nell’unico posto sempre totalmente sicuro (il centro del paese di Chiomonte) e se anche si fosse ottenuto, il blocco avrebbe finito per danneggiare soltanto i manifestanti stessi, quelli che volevano tornare a casa e quelli che ancora arrivavano su a lottare. L’unica conoscenza strategico-tattica che ho ricevuto dalla giornata è che non ho nessuna preparazione di questo tipo e che ci vuole il “buon senso” prima di tutto.

Mentre stiamo per fare il biglietto arriva il capostazione a dirci che non è necessario e di mettersi sul binario, è più importante che il treno non si debba fermare troppo.

Il treno è veramente strapieno. In pochi parlano. Siamo tutti insieme. Tutti ci guardiamo negli occhi. Non è come il treno dei pendolari o il tram della città. Gli sguardi che si incrociano non si distolgono più, rimangono incollati. Siamo tutti insieme e sarà molto difficile dividerci.

A Torino, appena scesi dal treno, un ragazzo ha un brutto taglio sulla mano destra, chiede acqua ossigenata, io chiedo alla ragazza del mio amico di lavargli la ferita con l’acqua di Chiomonte, poi ci metto del mercurocromo e gliela bendo stretta, e gli consiglio di correre al pronto soccorso a farsi dare due punti. Mi ha assicurato che non era dovuta agli scontri.

Arrivo a casa. Piango per quella bambina. E sono molto felice di essere vivo.

Grazie a tutti.

Che la lotta continui.

uomoinpolvere

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Uno dei più noti compagni e protagonisti delle lotte comprese tra gli anni Settanta e quelle odierne del popolo NoTav se n’è andato, improvvisamente.

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Crisi Climatica

No Tav: cosa sta succedendo a Salbertrand?

Ai margini del parco naturale del Gran Bosco di Salbertrand sono arrivati jersey di cemento, griglie metalliche e concertina necessari per il cantiere dello svincolo del cantiere Tav.

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Crisi Climatica

Pfas: acqua potabile contaminata in città metropolitana e in Val Susa.

E’ uscito da pochi giorni il nuovo rapporto di Greenpeace in merito ai dati sui cosiddetti “inquinanti eterni”: i pfas, i quali contaminano le acque di ben più di 70 comuni nel territorio della città metropolitana di Torino e della Val Susa.

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Crisi Climatica

Salvini: i ministri passano, i No Tav restano

Oggi, nel giorno previsto per la visita di Salvini al cantiere di Chiomonte, i No Tav si sono dati appuntamento per contestare la presenza del ministro all’inaugurazione del tunnel di base e il passaggio di testimone alle ditte appaltatrici.

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Crisi Climatica

Duro colpo alla lobby del Tav

Pare che in quest’ultimo mese siano state sanzionate alcune delle ditte responsabili della devastazione nella nostra Valle.

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Crisi Climatica

No Tav: siamo la montagna che si difende… da 18 anni!

Si è conclusa ieri la tre giorni No Tav in occasione dell’8 dicembre di quest’anno. Un anno che ha visto un’accelerazione da parte di chi devasta la montagna e di chi reprime chi la difende in particolare in questi ultimi mesi.

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Crisi Climatica

8 dicembre 2023 – In 10mila di nuovo in marcia contro il Tav!

Una grande marcia popolare ha attraversato ieri le strade della valle. 10mila No Tav, partiti da Susa, hanno riempito la statale per raggiungere Venaus dopo 18 anni dalla battaglia che ci ha permesso di riconquistare quelle terre che oggi ospitano il presidio.

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Divise & Potere

L’emergenza perenne dei baschi verdi in Val di Susa

Si va a chiudere così un altro anno difficile per i paladini difensori del grande spreco dal nome TAV nuova linea Torino Lione. Scopriamo, se ancora ce ne fosse bisogno, che i soldatini a difesa delle recinzioni in val di susa sono stanchi e stufi.