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Al centro dell’Italia, ai margini del Paese. Ribelliamoci insieme. Lettera da L’Aquila agli Appennini a Ischia.

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Riprendiamo questa bella lettera del Comitato 3e32.

Tre giorni dal terremoto di Ischia, un anno dal primo della lunga serie di scosse che devastò i nostri Appennini, più di otto anni dal terremoto aquilano. Esprimiamo la nostra solidarietà con le persone che in queste ore stanno vivendo un primo doloroso anniversario.

Ormai da anni chiediamo, con modi e toni diversi, la messa in sicurezza dei nostri territori. Tanto è stato il tempo durante il quale abbiamo continuato a lottare con la fragilità e la precarietà delle nostre vite, per costruire un presente e un futuro migliore. Per chi vuole rimanere qui, ai margini di province che si vuole consapevolmente spopolare. Al centro di un Paese e di un continente, l’Europa, che ignora le fasce più deboli della popolazione e uccide i suoi abitanti.

Lo fa con l’assenza di strategie pubbliche a medio e lungo termine per la sicurezza degli edifici pubblici e privati, lo fa con l’abbandono delle province e delle aree interne appenniniche, svuotate delle comunità e impotenti nel rispondere alle esigenze di quelli come noi: i senza reddito, i senza casa, i senza presente né futuro.

Nei centri colpiti dai terremoti del 2016 e dello scorso 18 gennaio lo Stato non esiste: è stato rimosso meno del 10% delle macerie, i paesi sono ancora del tutto svuotati delle comunità, costrette a sopravvivere altrove. Di quasi 4mila alloggi (provvisori!) promessi, ad oggi ne sono stati consegnati neanche 400. Lo Stato, sull’Appennino centrale, non esiste.

A L’Aquila, invece, di anni ne sono passati più di otto: la mancanza totale di una visione ha prodotto una non-città costituita interamente da periferie estese e poco abitate, da una comunità sfilacciata e dall’assenza cronica di certezze, reddito e futuro per chi non abbia mantenuto rendite di posizione o abbracciato la ricca causa del profitto selvaggio e della speculazione.

Nel frattempo, ovunque, vicino e lontano, chiudono i presidi ospedalieri di prossimità, franano le montagne, vengono transennate le scuole e avvelenate le acque. Mentre si progettano grandi opere dannose, inutili e costose, alle quali ci opponiamo e ci opporremo sempre.

Perché sono anni che chiediamo con forza che le risorse destinate alle grandi opere vengano impiegate per far ripartire i nostri territori. Si può fare, con un piano pluriennale di impiego delle risorse stesse.

Sarà possibile solo se ci ribelleremo tutti insieme al presente, per costruire insieme un futuro. Rivendichiamo il diritto alla città e al paese, rivendichiamo insieme il diritto a vivere dove abbiamo scelto e dove vogliamo. La ricostruzione è un diritto, perché non esistono territori di serie A e territori di serie B.

Continueremo a farlo a testa alta, sempre!

 

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pubblicato il in Crisi Climaticadi redazioneTag correlati:

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