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Verso il 16… e oltre

La manifestazione del sedici ottobre è stata indetta dalla Fiom contro la disdetta del contratto nazionale da parte di Federmeccanica, complici Cisl e Uil, e segue la vicenda Pomigliano e i licenziamenti a Melfi. La questione cruciale che pone è se sarà l’inizio di un percorso comune di risposta agli effetti della crisi globale. E’ bene non solo augurarselo ma provare a lavorarci perché nello scontro che si è aperto ne va non solo della sopravvivenza della stessa Fiom, ed è già molto, ma dell’intero quadro politico-sociale che la crisi sta riconfigurando. E da soli nè i metalmeccanici nè qualunque altro soggetto sociale o movimento possono farcela.

Le ricette per la “fuoriuscita” dalla crisi approntate dappertutto da governi e poteri forti, infatti, hanno iniziato a scaricare pesantemente gli effetti sui soliti noti con un attacco a salari, occupazione e diritti. Intanto viene spostato sugli stati il rischio insolvenza di quel colossale circuito di debiti-crediti che è divenuta l’economia mondiale. Si salva il sistema finanziario a spese della società e si inasprisce la spinta alla privatizzazione e mercificazione dei beni comuni mentre non uno solo dei nodi di fondo di una crisi che è strutturale viene affrontato. La speranza che le élites rinsavissero e gli effetti fossero passeggeri, è la prima vittima della crisi stessa.

Qui da noi, il segno della nuova lotta di classe lo dà l’arroganza di personaggi alla Marchionne-Sacconi. Da un lato l’individualizzazione estrema dei contratti in funzione della compressione all’estremo del lavoro e della sua militarizzazione nella competizione tra imprese; dall’altro la ricetta della Big Society che punta a supplire al prosciugamento del welfare con ulteriori privatizzazioni e la “responsabilità” sociale di individui rigidamente vincolati alla disciplina di chiesa e famiglia.
Di peculiare all’Italia: la interminabile agonia del berlusconismo, il servilismo di Bonanni&c., lo sfrangiamento del tessuto nazionale e la sua leghizzazione di fatto (col Vaticano preoccupatissimo che festeggia Porta Pia), la confusione mentale di Tremonti e l’ansia arraffona della Lega al Nord, i circuiti politico-affaristici-mafiosi che ci lucrano su – tutto ciò intorbida le acque e rende più difficile una risposta. Intanto la cig va a esaurimento e si approssimano i licenziamenti, la scuola pubblica va a pezzi, la disoccupazione giovanile non è mai stata così alta e solo i progetti delle grandi opere inutili sembrano non fermarsi. La gelatina sociale e politica berlusconiana frastornata dalle illusorie rassicurazioni dell’uomo solo al comando va in pezzi, leghizzandosi al Nord come al Sud, ma l’opposizione nella sua irrecuperabile nullità punta a recuperare Fini (!) e pezzi del berlusconismo (Sicilia) incapace di proporre qualunque alternativa alla delusione che si fa strada anche in quegli strati sociali. “L’Italia è come un vaso che sta cadendo per terra. Lo stiamo guardando mentre precipita. C’è come un senso di attesa, di sospensione” (Camilleri in un’intervista a Carta).

L’attacco alla Fiom è la cifra di questo quadro, non l’unica certo ma oggi quella che catalizza di più lo scontro in atto. Alla Fiom non si vuole permettere più di contrattare in fabbrica, di avere agibilità, tra un po’ anche di basarsi sui canali istituzionali per il tesseramento. E mentre è attaccata da tutto l’arco di destra e fin dentro il Pd cislizzato, la Cgil ne fa a malapena una difesa d’ufficio e si prepara ad accettare “contratti leggeri” per rientrare nel gioco con Confindustria. Come uscire allora dall’angolo? Ha detto bene Luciano Gallino che la strategia padronale oggi consiste nel mandare avanti una pattuglia in avanscoperta per saggiare se c’è o meno una forte resistenza: molto dipenderà dunque dal coefficiente di questa resistenza. Il senso della manifestazione del sedici va nella giusta direzione: costruire uno spazio comune di confronto e costruzione, da esperienze diverse, di un percorso che faccia del lavoro un bene comune in relazione virtuosa con le istanze e le lotte di altri soggetti, dall’acqua pubblica alla scuola, nella prospettiva di un altro modello di sviluppo.
Si prova così a ripartire dal punto più alto del no global, dalla “contaminazione” reciproca, che non è semplice alleanza, tra soggetti sociali, movimenti, istanze. Dopo Genova 2001, dove ciò si è potuto dare – in particolare con l’esperienza NoTav, ma non è l’unica – le lotte hanno messo in campo una vera resistenza e richiamato un consenso ampio e trasversale ai fronti partitici nonostante le mille difficoltà.

Oggi, ovviamente, il quadro complessivo è molto diverso. Nel mondo la crisi sconvolge tutti gli assetti e riconfigura rapidamente le linee di resistenza (basta guardare alla crisi del change obamiano a soli due anni dalla grande speranza e alle lotte salariali in Cina). All’interno, il dato più pericoloso e confusivo è la frammentazione politica e territoriale in atto che non manca di farsi sentire anche sul piano dei legami e delle resistenze sociali. Tanto più che la crisi profonda della rappresentanza e l’omologazione della “sinistra” hanno ridotto al lumicino la possibilità di sponde politiche istituzionali (per non parlare di “governi amici”).
Ne esce drammaticamente rafforzata l’esigenza di impostare la nuova lotta di classe all’incrocio fra difesa del lavoro e “difesa della società” contro la mercificazione globale, fra produzione e riproduzione della vita, fra lotta immediata e visione alternativa a tutto campo. E’ in fondo quanto è emerso anche da noi nelle lotte e nel sentire a difesa dei beni comuni sul territorio, nel movimento dell’onda, nella mobilitazione per l’acqua pubblica, nella “sorpresa” della presa di parola operaia a Pomigliano. Mentre nuovi e vecchi padroni riescono sempre meno a coagulare consenso intorno ai loro programmi nella stessa base sociale fin qui berlusconiana, anche le diffuse reazioni di soddisfazione alla contestazione torinese a Bonanni segnalano in piccolo il disagio e la rabbia profonde di una parte “maggioritaria” del paese, l’istanza anche etica di rialzare la testa. Si fa strada infatti la consapevolezza che la crisi del berlusconismo la si vuole fare pagare duramente “a noi” e non ai veri responsabili e a quanti si sono ingrassati (la stessa Lega è andata molto avanti in questa collusione-copertura mentre con la destrutturazione del tessuto produttivo anche del nord quanto e a chi avrà da ridistribuire al di là dell’odio razzista?).
Su tutto, la precarizzazione è entrata dentro la vita di ognuno, nessun settore ne resta escluso, neanche il lavoro dipendente a tempo indeterminato o, vedi Fiat, quello operaio della grande-media fabbrica. È diventata una cifra generale del futuro, diffusa, pubblica, e può per questo intrecciarsi alle tematiche sistemiche sollevate dal tracollo economico. Nelle fratture della realtà sociale si inizia a porre il nodo della (ri)costruzione delle reti di produzione e riproduzione della vita sociale e ambientale, dissanguate o distrutte dalla voracità della finanziarizzazione.

É bene allora ripartire dal sedici ottobre consapevoli che per costruire un percorso comune dobbiamo fare tutti un passo al di là dei reciproci steccati. La Fiom, per reggere nello scontro in corso ma anche per rafforzarsi dentro la stessa Cgil, obiettivo più che legittimo, non può fare a meno di rafforzarsi fuori dagli ambiti di fabbrica e strettamente sindacali. E quindi affrontare una discussione aperta, finora rinviata, su come il lavoro (non ) può diventare un bene pubblico se si resta subordinati al quadro della competitività a ogni costo che distrugge il legame sociale; su come (non) rispondere alla precarietà continuando solo a puntare irrealisticamente sull’estensione del contratto a tempo indeterminato a tutti; insomma su come conquistare una difesa complessiva del reddito e del welfare per tutta la “generazione” precaria – non si tratta in tutta evidenza solo dei più giovani o dei dipendenti in senso stretto – guardando oltre l’oramai insufficiente ambito nazionale. Si resiste solo guardando oltre. Non esistono escamotages tecnico-organizzativi alle difficoltà reali, ma certo sarebbe un messaggio dal forte significato simbolico se, in quest’ottica e di fronte agli spazi tradizionali che si chiudono, si iniziasse a pensare a un “tesseramento sociale” oltre la categoria dei metalmeccanici, verso giovani, precari e chi anche in altre categorie non ne può più. Noi tutti da questa parte ci sentiremmo più forti, più d’uno dall’altra inizierebbe a preoccuparsi sul serio. Sarà in grado la Fiom di rimettere in discussione vecchi schemi e contribuire così alla ripresa di un nuovo ciclo di conflittualità?

la redazione di Infoaut.org
fine settembre ‘10

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