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Ma quanti governi contiene il governo Renzi?

È noto che Max Weber sostenesse come la sete di lucro, di guadagno immediato e spropositato, non avesse molto a che fare con il capitalismo. Ci sarebbe quindi da domandarsi se, secondo la visione weberiana, Warren Buffett o il messicano Carlos Slim siano dei capitalisti. O pensare che, in fondo, Steve Jobs era davvero quello che credeva di far credere di essere: il fidanzato segreto di Joan Baez che creava prodotti magici. Il punto è che, secondo questi schemi weberiani, Matteo Renzi è davvero un politico capitalista: non riesce infatti a creare le condizioni per i guadagni spropositati di nessuno. Nonostante qualcuno, da Londra a New York (dove i prospetti di Goldman Sachs consigliano di comprare Bot, Btp e Cct), lo abbia evidentemente sostenuto per questo. Certo l’ambizione di Renzi, e del ceto politico provinciale e rapace di cui è espressione, sarebbe altra. Ma il capitalismo e la politica hanno leggi spietate che non si superano con le conferenze stampa messe in piedi, con tanto di slides, per coprire il fatto che i decreti annunciati non sono stati emanati dal governo. Ma andiamo per gradi.

Come si sa, a meno di non essere in preda ad una delle tante forme esistenti di complottismo, non esistono governi organici. Ogni governo è, dal punto di vista politico, un incrocio di complessità e di instabilità, di imprevisti che ritroviamo, in sottofondo, anche nelle dittature. Il governo Renzi sembra proprio, nonostante il marketing, essere fin troppo attraversato da complessità e instabilità, per non parlare degli imprevisti. Non solo: non è neanche chiaro, probabilmente nemmeno allo stesso Presidente del Consiglio, quanti governi Renzi effettivamente esistano. Intanto ce ne sono già due dal punto di vista delle politiche economiche e comunitarie.

Esiste un governo Renzi, con Padoan Ministro dell’Economia, ortodosso dal punto di vista dell’austerità e dei tagli, attento alle indicazioni di Bruxelles e di Francoforte. E anche con una prospettiva macroeconomica basata tutta su produttività ed export, modello che comincia a vacillare anche in chi lo propone (la Germania, l’unico paese che avrebbe gli strumenti per un’inversione di modello verso l’allargamento del mercato interno).

Ma c’è anche un governo Renzi che, poche settimane fa, prima della formalizzazione dell’incarico, ha fatto sobbalzare le prime pagine di qualche giornale tedesco a causa delle dichiarazioni, rimaste inosservate in Italia, sullo sforamento del 3% del deficit. È lo stesso governo Renzi che è stato lanciato dal Financial Times, con tanto di articoli di columnist prestigiosi, nella speranza che il rigore tedesco, grazie all’Italia, si rompa non solo in Germania in sinergia con la ripresa, quella drogata dalle politiche della Federal Reserve, degli Stati Uniti. Quindi ci sono almeno due governi Renzi, per non parlare del terzo, quello che deve mediare tra i due. E per non parlare di quello che non contenta certo Confindustria con le conferenze stampa “mille euro in mano”, piuttosto che un decreto di riduzione dell’Irap, che magari avranno effetto elettorale ma nessuno macroeconomico, salvo deprimere l’economia con i tagli alla spesa ai quali preludono.

Oppure c’è il governo Renzi a cui applaude Confindustria, che ha intrapreso una nuova politica (questa sì per decreto), di allargamento del periodo di apprendistato. Preludendo ad una nuova stagione di precarizzazione del lavoro e di compressione del salario che anche a livello mainstream è conosciuta come causa dell’abbassamento della produttività. Già, si guardi a questo lavoro (a livello Ocse non su Battaglia Comunista) dove si dimostra come sia proprio la precarizzazione del lavoro, con misure alla Jobs Act, alla base del tanto deprecato decremento di produttività in Italia.

http://www.oecd.org/regreform/reform/44537061.pdf

Insomma, una stroncatura, basata su dati 1995-2008, delle politiche Prodi I, sulla precarizzazione del lavoro, e Prodi II, riduzione del cuneo fiscale, che oggi vengono reiterate, dal tipo di governo Renzi che piace a Confindustria, in attesa del prossimo fallimento a livello macroeconomico. Quello di cui si occuperanno, come al solito, Repubblica, Unità, Tg 7 per il restyling successivo degli assetti di potere. Bisogna poi capire, dal punto di vista stretto degli schieramenti parlamentari, quale governo Renzi sia egemone. Quello del Pd che, finalmente, esprime il segretario al governo dell’esecutivo? Quello che dipende dal nuovo centrodestra di Alfano? Quello delle intese esplicite, ed esplicitate, con Berlusconi? C’è poi un governo Renzi, quello che deve rispondere, di quello che fa, ai sindacati secondo le fantasie di Camusso e Landini. Ma qui siamo su un piano di antimateria che non ha nulla a che fare con la politica.

I molti governi Renzi, complessi e instabili, devono quindi fare i conti con gli scogli reali: quello tedesco e quello rappresentato dalla Bce. Il primo parla via Napolitano e via Padoan, non solo affossatore dell’Argentina ma, a suo tempo, difensore dell’ortodossia dell’austerità tedesca persino contro l’FMI. Il secondo invece parla da sé, vedi il comunicato della Bce che boccia pubblicamente, come politica dai progressi “intangibili”, le renzinomics. Il timore della Bce è evidente: quello di trovarsi un governo, di minor peso politico ed economico rispetto alla Francia, che un giorno trovi la voglia di giocare, anche in solitario, a sforare i parametri di deficit e debito per favorire i propri interessi (e quelli degli investitori che glielo suggeriscono). Per quanto i governi Renzi contino meno di Hollande, il comportamento troppo libero dell’Italia, che imbarca debito pubblico come una catinella fa con l’acqua piovana, potrebbe portare un sovraccarico di problemi a una governance della Bce che è più delicata di quanto comunemente si pensi.

La risposta del governo Renzi, o di uno dei tanti governi Renzi, alla Bce è chiara: i sacrifici verranno fatti ”non perché ce lo chiede l’Europa ma per le future generazioni”. Questo significa che, almeno nel nucleo duro della maggioranza renziana del Pd, prima o poi si pensa di sciogliere gli equivoci specie con Padoan e, per il “bene delle generazioni future”, si aprirà qualche conflitto con “l’Europa”. Di quelli che servono a chi scommette, finanziariamente ed economicamente, su Italia vs. Germania, che nessuno si faccia illusioni di sinistra.

Del resto, capacità di maquillage di Renzi a parte, i numeri parlano chiaro. La spending review, per bocca del suo stesso commissario, più di 3 miliardi di “risparmi”, del resto depressivi per l’economia, per il 2014 non si riesce a fare. È altamente improbabile che la stessa spending review generi tagli sette volte tanto nel 2015 e dieci volte tanto nel 2016 (come da previsione del governo, per bocca dello stesso Renzi). Più semplice che si arrivi al conflitto tra le varie anime del governo, rinviandolo, sotto la forma di previsioni ottimistiche sui tagli, a tempi più adatti.

Per adesso ci sono quindi troppi governi Renzi perché possa davvero guadagnarci, e tanto, qualcuno in particolare. Saranno contenti i weberiani e renziani allo stesso tempo. Magari qualcuno, come il finanziere Serra grande sponsor di Renzi, ha collocato con profitto i Btp. Ma al momento non si intravede nessuno in grado di fare il grande affare con il governo. Come fece il gruppo Berlusconi che, con l’entrata in politica, ha letteralmente rovesciato, e in positivo, il rapporto tra debiti e crediti. Ma per adesso nessuno sembra fare il grosso, grasso affare con il governo Renzi. Ci rimetterà ovviamente una società composita, polimorfa, e ormai stabilmente arretrata di almeno un lustro rispetto ai processi reali, come quella italiana. E oggi, nella società dell’accelerazione, cinque anni di ritardo sono tanti. Ma ogni società vive sempre la propria storia, fino in fondo, e le inversioni di tendenza volano sempre, e comunque, sulle ali di un dramma collettivo che produce tante vittime e pochi innocenti.

 

Per Senza Soste, nique la police

13 marzo 2014

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