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EStirpare il proletariato dalla partita politica

di Nicola Casale

 

Dietro Renzi c’è essenzialmente una manovra Usa. Concordo. Applicata, tuttavia, per ora, con le modalità democristiane del “doppio forno” Usa-Germania. Finchè, almeno, ciò sarà possibile.

L’obiettivo vero di chi manovra Renzi è la definitiva riforma della costituzione nel senso ben chiarito dal rapporto della Mc Kinsley: estirpare ogni formale possibilità che il proletariato possa far parte della partita politica sia pure solo per porre minimi condizionamenti al dispiegarsi delle politiche del capitale. Ovviamente la riforma formale va di pari passo con quella sostanziale. Nonostante i decenni trascorsi nel progressivo smantellamento del patto capitale-lavoro, questo non è ancora del tutto scomparso, ed esercita la sua residua influenza nel rallentare alcune scelte fondamentali per cercare di dare una scossa alla “ripresa”. In questo senso Renzi è una ripresa (con rilancio in avanti) del berlusconismo, quello serio non quello scenico-rappresentativo combattuto dalla sinistra. E per lo stesso motivo l’azione può essere condotta solo in stretto accordo (e apparente conflitto) col Cavaliere. Almeno in questo momento, in seguito i personaggi possono anche cambiare, ma per ora sulla scena ci sono loro. Tarpare violentemente le spese dello stato per pubblico impiego, sanità e scuola, produrre una forza-lavoro not-choosy, disposta a polonizzarsi o a cinesizzarsi (mentre i cinesi si … europeizzano in salari, diritti, welfare, consumi, ecc.) senza, qui il punto, produrre resistenza sociale significativa, in grado cioè di rallentare il processo. Negli anni dal 2007 questo percorso ha subito una notevole accelerazione, e, tuttavia, non si è ancora dispiegato in risultati davvero significativi di “ripresa”. Perchè, nonostante tutto, la resistenza c’è stata, per quanto sorda e poco piazzaiola.

Anche oggi, e nonostante tutto il lungo e meticoloso lavorìo, quella politica non ha consenso di massa. Il fronte berlusconiano in alcuni momenti era stato maggioritario, ma lo stesso Berlusconi non è potuto andare fino in fondo, perché anche al suo interno non tutti erano pienamente convinti di smantellare l’intero ambaradan. Oggi Berlusconi ha perso molto di quel consenso che aveva. Dall’altro lato il Pd si è progressivamente convertito a questo berlusconismo serio, ma non senza resistenze interne. A conclusione di questo ciclo, e dovendone aprire un altro con gli stessi indirizzi, ma resi molto più profondi, si deve prendere atto che anche l’attuale Pd, con tutte le mutazioni genetiche impostegli, è ancora un ostacolo, o, comunque, non è in grado di trasformarsi in un partito che fornisca il necessario consenso di massa per quelle “riforme” per trasformarsi nel loro agente principale.

Renzi ha come compito, fin dall’inizio della sua parabola, la scommessa finale: o il Pd si trasforma in una Forza Italia depurata dall’immagine schifosa del suo boss e più efficiente sul piano delle riforme, oppure che vada in malora. Il Pd e il suo ceto militante (o militonto) che ancora conserva sta ormai deragliando definitivamente (ma deve ancora completare miseramente la sua parabola). A Renzi, però, questo quadro non fornisce la forza politica necessaria a imporre le riforme. Egli non può precisare, di conseguenza, i suoi veri obiettivi, e se lo facesse difficilmente raggiungerebbe consenso utile a vincere le elezioni. Avrebbe potuto provarci continuando la sceneggiata del nuovismo e del giovanilismo, ma, come i sondaggi rivelano, si stava già erodendo la forza propulsiva di questi argomenti. Niente elezioni, dunque, via con le manovre di palazzo. Ma, senza partito, anche Renzi non durerà molto, questo è facile da prevedere. Nel medio periodo un tentativo di partito probabilmente proverà a farlo, unendo i resti del Pd a quelli di Forza Italia, Berlusconi compiacendo. Il risultato, tuttavia, non è affatto certo. La deriva di tutte le classi è, ormai, l’unico vero adagio in scena. Condiziona pesantemente tutti gli altri fattori e non consente di realizzare fino in fondo né le spinte capitalistiche, che appunto si trovano innanzi la resistenza più o meno sorda del proletariato, nè quelle del proletariato, che resiste come background inespresso, inutile a produrre qualcosa, ma utile a rallentare l’incedere delle spinte opposte. Se non esploderà una seria resistenza proletaria, mai si costituirà nemmeno un serio partito borghese. Il fascismo nacque dalla seria minaccia della rivoluzione.

Per il resto Renzi cercherà di sfruttare la “tregua”, ma dovrà, lui o chi per lui, fare i conti con i due contradditori impulsi che gli derivano dagli sponsor esteri. L’uno vuole un’Italia essenzialmente capace di contribuire ad alimentare la rendita finanziaria internazionale (Usa), l’altro cerca di tenere in vita un’Europa saldamente ancorata a una solida produzione industriale, e, dunque, vuole un Italia che riduca le rendite da pagare e conservi le sue indutrie manifatturiere (Germania).

Da un punto di vista nazional-borghese questa seconda esigenza è decisiva. La strada, dunque, di produrre forza-lavoro attraente per i capitali è obbligatoria ma finora non molto efficace. Ergo, bisognerà porsi il problema di far intervenire qualche soggetto un po’ meno schizzinoso (pubblico?). Il problema però è: dove prendere i soldi per finanziare nuovi investimenti? Privatizzare e smantellare welfare al massimo può servire a pagare le rendite finanziarie. Per raggiungere altri scopi c’è bisogno di altri mezzi. La Bundesbank ha detto cosa ne pensa. Ma una patrimoniale, anche la più leggera, è per le classi possidenti un esproprio. Solo una decisa forza sociale di classe la potrebbe imporre. Cioè, proprio la forza di quella classe destinataria delle politiche di impoverimento. Che busillis!

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