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‘Dov’erano i sindacati mentre all’Ilva si moriva di diossina?’

Signor Cataldo, i sindacati hanno difeso il diritto alla salute dei lavoratori Ilva in questi 50 anni?
Assolutamente no. Non c’era bisogno venisse la magistratura a dirci che l’Ilva ha provocato i morti, lo sapevamo già. I sindacati a parole sono stati sempre a favore dell’ambiente e della salute. Ma sono mancati i fatti. Il loro unico obiettivo è sempre stato quello di tutelare i posti di lavoro e non far calare il numero delle tessere. Basta pensare al circolo Vaccarella, che era il circolo del dopolavoro dell’Italsider poi dato dall’Ilva ai sindacati, che ora lo gestiscono tramite una onlus. Si tratta di un ex masseria bellissima, con tanto di palestra, ristorante e circolo del tennis. I sindacati si sono occupati solo di questo e l’Ilva li ha tenuti a bada anche finanziando il loro circolo con fior fior di miliardi delle vecchie lire. Il sindacato ormai all’Ilva non ha più peso.

Sì, ma avranno pur organizzato uno sciopero in questi anni.
Io lavoro all’Ilva dal febbraio del 1998. E non ho mai visto uno sciopero organizzato dai sindacati a tutela della nostra salute e di quella dei cittadini di Taranto. A meno che non si sia trattato di scioperi dei metalmeccanici fatti a livello nazionale.

Mi risulta che anche lei è statao dirigente della Fiom.
Sì, sono stato dirigente del sindacato dei metalmeccanici in azienda. E ho a casa un fascicolo pieno di tutte le denunce che ho presentato per far emergere la condizione di pericolo per la salute e l’ambiente creata dai fumi di questi stabilimenti. Ma poi ho dato le dimissioni, perché mi vergognavo di essere come loro. Le nostre richieste si fermavano tutte alla segreteria provinciale. Le nostre proteste trovavano un muro. Tant’è che nel 2007 mandammo una lettera a Landini in cui chiedevamo le dimissioni del segretario provinciale, ma dopo qualche giorno molti lavoratori scelsero di ritirare la firma da quella petizione.

Cosa significa per lei il suo posto di lavoro?
Sono operaio di terzo livello, lavoro al porto, dove arrivano tutti i materiali per produrre l’acciaio e riparte poi il prodotto finito. Guadagno 1.300 euro al mese, con cui do da mangiare ai miei figli e alla mia famiglia. Ma ho rinunciato a tutto per avere questo posto di lavoro: alla dignità, alla sicurezza, ai diritti, alla salute. Ora so che i miei figli si stanno avvelenando per colpa del mio lavoro. Non voglio più difendere un posto di lavoro che crea morte. E sono pronto a rinunciarci per salvarli. Ogni mattina all’ingresso in fabbrica sto con l’ansia che il mio badge sia stato disattivato. Lo so che c’è la crisi e che c’è poco lavoro, ma devo difendermi contro chi ha distrutto la salute della mia città.

Per questo è nato il Comitato cittadini e lavoratori liberi e pensanti.
Il comitato è nato il 30 luglio scorso come espressione della rabbia. All’improvviso tutti si sono accorti che i cittadini di Taranto sono importanti per l’economia nazionale, che se chiude l’impianto il Pil è a rischio, addirittura a Taranto si vedono i ministri. Non si parla però dei bambini che stanno morendo, delle pecore piene di diossina che vengono abbattute, del nostro mare inquinato e del mercato delle cozze a rischio. Non si parla del perché a Taranto non ci sia un registro dei tumori, non si parla della corruzione che regna in questa città, come è venuto fuori dalle indagini.

È per questo che il comitato unisce cittadini e lavoratori.
Certo. Non si possono contrapporre il lavoro e la salute. Io sono un lavoratore dell’Ilva, ma sono anche un cittadino di Taranto. Se manteniamo il contrasto salute-ambiente, io sarei colpevole a prescindere dalla scelta che prendo. Non posso difendere il mio posto di lavoro e basta, perché sarei colpevole di non difendere la salute. E non posso difendere solo la salute, perché vengo accusato di non difendere i posti di lavoro. Sarei colpevole in ogni caso. Ma i veri colpevoli non siamo noi. Sono quelli che in cinquant’anni si sono fatti i soldi sulla nostra pelle. Non possono costringere noi a scegliere tra i morti e l’acciaio. Il diritto al lavoro deve essere un diritto che dà vita, non un diritto che dà morte.

Crede che sia possibile una riconversione in chiave ecocompatibile degli impianti?
Innanzitutto ci vogliono molti, troppi soldi. Si è parlato di 4-5 miliardi di euro. Ma la riconversione è necessaria. Io direi ai Riva: ora togli 5 miliardi e sistema tutto. Perché io devo fare il controllo alla caldaia di casa mia ogni anno se no mi fanno la multa e mi staccano il gas e loro invece devono continuare a produrre inquinando così? E poi non ci dimentichiamo che hanno inquinato tutto il nostro territorio. Non è che se ne possono andare lasciandoci così. Taranto ha bisogno di bonifiche.

Avete ricevuto solidarietà tra i lavoratori?
Tantissima. Non abbiamo avuto il tempo di contarci, ma su Facebook ci seguono già in tantissimi. Bisogna capire che non ci si deve più fidare di questi sindacati. Non c’è più bisogno di dare a loro la delega per difenderci. Dobbiamo unirci, lavoratori e cittadini, al di fuori delle rappresentanze sindacali che per anni non si sono curate di noi. Siamo tutti nella stessa condizione. I nostri occhi disperati sono gli stessi dei loro. C’è un nuovo pensiero e una nuova speranza a Taranto, che non passa più dai sindacati. Cittadini e lavoratori sono insieme per la prima volta. Sindacato e azienda sono insieme, come sempre.

E come hanno reagito le rappresentanze sindacali davanti alla vostra protesta?
Sappiamo che proprio qualche giorno fa la Fiom ha fatto un incontro. Abbiamo avuto l’onore di essere l’argomento all’ordine del giorno. Sappiamo che hanno detto ai lavoratori aderenti al sindacato che per chi di loro clicca “mi piace” sulla nostra pagina Facebook c’è il rischio di espulsione. Stanno solo cercando un cavillo per andarci a denunciare. Ma noi siamo la faccia pulita di Taranto.

da http://www.linkiesta.it

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