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Ancora sulle elezioni in Emila-Romagna. Il Progetto Renziano e i nuovi spazi di lotta.

 

Ma se il risultato, nella sua profondità, colpisce perfino noi che quotidianamente lavoriamo per approfondire la rottura tra paese reale e sistema politico, probabilmente non stupisce il premier Renzi. Il collasso narrato dal “rottamatore fiorentino” come la “non grande affluenza”, viene visto, da quest’ultimo, come un “problema secondario”. Bisogna dire da subito che chi pensa ad un Renzi che sottovaluta il problema, sbaglia decisamente punto di vista. Seppur non non aspettandosi una percentuale di astensionismo così clamorosa, sa bene che questa rientra nella sua strategia politica.
Se i dati di questa tornata elettorale fanno tremare la vecchia dirigenza democratica, emiliana e nazionale, Matteo Renzi parla di “vittoria netta”, nonostante i quasi 700.000 voti persi in in Emilia-Romagna e gli oltre 750.000 complessivi se si guarda anche alla Calabria.

 

La chiusura della campagna elettorale di Bonaccini, quello che è stato un vero e proprio show televisivo in perfetto stile americano, probabilmente nella sua forma anticipa simbolicamente la nascita del partito liquido dai grandi elettori. Ma se questo è il terreno del simbolico, è nelle politiche del paese che Renzi ha pienamente assunto la crisi della rappresentanza come non qualcosa da ricucire, bensì da forzare. L’attacco al sindacato nel tentativo di spazzare via l’ultimo baluardo di rappresentanza, seppur residuale, ne è sicuramente una dimostrazione. Non sarà un caso che il passaggio più enfatizzato nell’intervento di chiusura della campagna elettorale al Paladozza sia stato proprio l’attacco al sindacato e allo Sciopero Generale del 12 dicembre.

 

Insomma, a Renzi sembra non interessare il numero di elettori. Renzi sa bene che si governa con le percentuali dei votanti e che sul terreno del sistema politico istituzionale non ha al momento avversari. Ed è assolutamente consapevole della profonda crisi del sistema della rappresentanza e della sua irriformabilità. Da qui, quello che Renzi porta avanti è un processo di “autonomia del politico” che arriva a far saltare, come dicevamo poco fa, anche strutture e soggetti intermedi che in questi anni hanno svolto il ruolo di freno e di mediatori sociali, rinunciando alla forma della rappresentanza così come l’abbiamo conosciuta e slegandosi dal consenso e dalla legitimazione sociale.
Si apre probabilmente una nuova fase. Se il presidente del consiglio sa bene che per governare contano le percentuali dei votanti e non quelle dell’astensione, sa anche che questo è vero fino a quando l’astensione resta passiva.

 

Il campo tra “noi” e “loro”, tra gli interessi di classe e gli interessi della governance, è tracciato in maniera sempre più netta. Ma questo non deve far dimenticare l’insufficiente radicamento sociale dei movimenti e le difficoltà di riuscire a rappresentare una reale alternativa di massa per impensierire e attaccare il progetto renziano. Spetta a noi la capacità di riuscire a trasformare la sfiducia verso questo sistema politico in conflitto sociale capace di farsi alterità. Un conflitto che spesso resta latente, che altre volte si presenta in forme ambigue e che alcune volte nemmeno riusciamo a vedere. E’ su questo terreno per nulla liscio che dobbiamo muoverci, provando a farlo fin dai prossimi appuntamenti di lotta. (Su questo rimandiamo all’editoriale).

 

Per quanto riguarda la nostra città, la Bologna meticcia, dal movimento di lotta per la casa, passando per i facchini della logistica (che in questi due anni hanno portato un attacco senza precedenti al cuore del sistema economico dell’Emilia rossa), fino ad arrivare al proletariato giovanile in formazione e non, ha dimostrato di poter rappresentare una seria minaccia per la governance territoriale. La resistenza al Piano Casa e all’articolo 5 ci parlano di un buon radicamento e di spazi importanti di lotta, ma anche possibilità di vittorie. Così come il 16 ottobre, con le 4 piazze metticcie (studenti medi e universitari, facchini e occupanti di case), ha mostrato la capacità di praticare la composizione delle lotte nel tessuto metropolitano. Ed è proprio su questa strada della composizione delle lotte che dobbiamo prepararci a sferrare nuovi attacchi, ancor di più ora che il governo Pcista del welfare e il suo ampio consenso sono soltanto un ricordo lontano.

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