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#quellavoltache è venuta fuori la vastità del problema

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Continuano a scorrere numerose sui social i racconti delle donne che hanno preso parola nella campagna di denuncia contro le molestie, gli abusi, le violenze e le prevaricazioni maschili. Gli hashtag che circolano sulle nostre home page sono #MeToo ( anche io) e #quellavoltache.

Questa campagna prende piede anche in Italia dopo un esperimento nato in Francia in un sito chiamato BalanceTonPorc.com (segnala il tuo porco) dove in tante hanno raccontato le loro esperienze. “Se tutte le donne che hanno subito molestie e/o abusi scrivessero “me too” (trad. “anch’io”) in uno status, potremmo dare alle persone un’idea della vastità del problema”. Questo l’incipit che chiariva l’intento: cercare, attraverso dei mezzi usati da tutti, di rompere il silenzio e di dimostrare come tutte abbiamo vissuto sulla nostra pelle cosa significa.E diciamo tutte senza paura di sbagliare, con la sicurezza di sapere che neanche nell’ambiente più protetto si scappa da qualche tipo di violenza, altrimenti quando sosteniamo che alla base della nostra società c’è un rapporto di subordinazione e sfruttamento di genere diremmo una mezza verità. Da questo non si scappa, non si può essere esclusi. Non ne sono escluse le donne e non ne sono esclusi gli uomini. Lo diciamo sempre, le violenze non sono episodi.

Ma cosa significa in ultimo questa affermazione per noi? Questa campagna è stata utile a dirlo, bisogna dare a quello che abbiamo vissuto il peso che merita, senza che questo significhi essere delle eccezioni sfortunate di questa società: questo peso sarebbe altrimenti, ancora una volta, solo nostro. Ci siamo fatte ascoltare. Non è vero che non è servito a niente. Abbiamo la nostra parola da liberare e lo abbiamo fatto. Tanti uomini si sono sentiti in discussione, hanno dovuto almeno rifletterci. La presa di parola di molti di loro ci dice questo, ma ci dice anche che c’è la difficoltà a lasciare spazio ad una narrazione specificamente femminile della violenza. L’ammissione delle proprie colpe non è il gesto maschile speculare alla presa di parola delle donne in una sorta di felice riappacificazione. Come si può essere sicuri che tutte le donne nella loro vita hanno subito qualche tipo di violenza, più o meno grave, si può essere abbastanza sicuri anche del fatto che tutti gli uomini nella loro vita qualche tipo di violenza, più o meno grave, l’hanno usata. Avere un’idea della vastità del problema significa anche rendersi conto di questo.

Davanti a una presa di parola così evidente e diffusa non ci sembra che lo sguardo giusto sia quello che si erge ancora una volta a giudice nei confronti di chi ha scelto questo strumento per esprimersi. Certo che non basta, certo che non è successo solo “quella volta” (#quellavoltache), certo che è parziale. Se ci limitassimo a questo, non guarderemmo all’importanza di cosa significa anche solo prendere parola quando questo non ci è concesso: lo abbiamo scritto noi stesse che tante volte è stato difficile semplicemente parlare. La voce delle donne è spesso taciuta, il nostro vissuto è quasi sempre raccontato da qualcun altro. Partiamo da qui, partiamo da tutte quelle volte che abbiamo sentito che ci stava succedendo qualcosa di ingiusto a lavoro, a casa, per strada. Gli episodi non sono episodi, questo non ci deve far paura, ci deve far pensare che non siamo eccezioni ma che siamo tante. Rendersi conto della vastità del problema per poi rendersi conto che questo problema siamo in tante a volerlo aggredire.

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pubblicato il in Intersezionalitàdi redazioneTag correlati:

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