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NO ALLA VIOLENZA DI GENERE E ALLA VIOLENZA DEI TRIBUNALI

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Ieri si è tenuto un presidio organizzato da Non Una di Meno e da tantissime compagne, attiviste e solidali della città per sostenere con determinazione una donna che ha avuto il coraggio di denunciare uno stupro. Ieri, dentro il tribunale di Torino era in corso la sentenza nei confronti dello stupratore, udienza avvenuta a porte chiuse per aver privilegiato il rito abbreviato. Fuori dal tribunale vi era una grandissima forza data dalle moltissime persone per denunciare la doppia violenza nei confronti delle donne: quella dello stupro e quella di una giustizia profondamente patriarcale.

Qui il testo di lancio del presidio

NO ALLA VIOLENZA DI GENERE E ALLA VIOLENZA DEI TRIBUNALI

Oggi dentro questo tribunale si sta tenendo un processo per stupro. 

Le indagini sono state condotte totalmente sulla donna che ha denunciato : sulla sua vita, il suo passato, le sue amicizie, le sue relazioni. E NON sullo stupratore.

Questo approccio viene giustificato con la necessità di assicurarsi che la donna che ha subito uno stupro non si sia inventata tutto, innescando un meccanismo umilante e mortificante, e alimentando la cultura per cui le donne che denunciano NON VENGONO CREDUTE. 

E’ stato accettato il rito abbreviato, che prevede che parli solo lo stupratore, zittendo la donna offesa. 

Di fronte alla prima violenza: lo stupro, e alla seconda violenza istituzionale reiterata dal tribunale noi non ci stiamo. 

SIAMO QUI PER SOSTENERE LA SORELLA DI FRONTE A QUESTE VIOLENZE: SORELLA IO TI CREDO.

Di seguito la diretta con una compagna presente al presidio che racconta i contenuti e i temi che hanno attraversato la piazza

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Riportiamo il testo della testimonianza di un’esperienza di autodifesa praticata dalle donne e compagne dello Spazio Popolare Neruda:

Queste parole sono la testimonianza di una pratica di autodifesa femminista, forte e straordinaria che abbiamo messo in pratica qualche mese fa, scritte insieme alla coraggiosa donna, che dopo aver subito mesi di violenza domestica, ha deciso di reagire, prendere coraggio e con forza decidere cosa fare, percorrendo la strada che per lei sentiva più giusta per reagire. Le erano state proposte strutture anti-violenza, ma lei voleva restare a casa sua, la casa il cui contratto d’affitto era intestato a lei, nella quale aveva organizzato la sua vita, e non dover essere costretta a scappare.

Questa donna, che ora è una nostra sorella e amica, un giorno di inverno è venuta allo spazio neruda, e  ha lucidamente e coraggiosamente deciso di raccontare quello che stava vivendo a delle persone che fino a poco prima erano delle sconosciute. Ci ha raccontato che erano mesi che subiva violenza domestica, psicologica e sessuale da parte di quello che era il suo compagno con cui conviveva, ci ha detto che chiedeva all’uomo di andare via da casa sua da mesi, che non sopportava più la situazione violenta in cui era, ma lui restava li con prepotenza, anzi addirittura con il gusto di esercitare potere.

Come donne del Neruda spesso ci siamo trovate ad aiutare altre donne in situazioni di difficoltà (legata alla violenza maschile e non), ma di fronte a una situazione di violenza domestica, in una convivenza in una casa fori dal nostro spazio non sapevamo bene come agire.

Le strade che poteva attraversare legalmente e tramite e centri antiviolenza, per quanto questi ultimi preziosissimi erano insufficienti. La donna non voleva andarsene da casa per andare in una struttura e inoltre rivolgersi alla polizia era inutile. Lei aveva chiamato la polizia più volte ma non era mai servito a nulla perché quando arrivavano minimizzavano la situazione e si ponevano come paceri. Per questo motivo l’idea di fare denuncia le faceva più spavento che altro: se fosse venuto fuori, ci sarebbero state ritorsioni?

Nel corso delle nostre riunioni, abbiamo quindi deciso di agire insieme: avremmo aiutato la nostra sorella a  mandare via il violento di casa. Tante volte avevamo dovuto resistere agli sfratti, presidiando la casa  di persone che rischiavano di finire in strada, difendendo l’abitazione da chi voleva farne un lucro. Abbiamo deciso di fare la cosa, difendere la casa della nostra nuova compagna, liberandola dalla situazione violenta.

Con un piano preparato, la possibilità concreta di mandare via il violento, la consapevolezza della solidarietà e sostegno di tante altre donne, abbiamo ovviato il rischio di ritorsioni e la donna ha fatto denuncia, che è servita anche come uno strumento di appoggio per quello che avremmo fatto.

Con fermezza e tranquillità, ci siamo trovate  un pomeriggio , in tante, da lei. L’abbiamo aiutata a preparare i bagagli dell’uomo violento, abbiamo cambiato la serratura, abbiamo posato le cose di lui in strada e abbiamo aspettato che tornasse dal lavoro, per dirgli di prendere le sue cose e andarsene.

Lui non ci poteva credere, di venir cacciato da quella che riteneva casa sua, nella quale credeva di poter fare violenza sulla sua compagna indisturbato,  da una ventina di donne.

 Si è avvicinato solo un secondo, ma dopo che ha capito il nostro intento e la nostra determinazione si è allontanato e non si è mai avvicinato a meno di 5 metri. E’ stato lui a chiamare la polizia, che ovviamente non è intervenuta in nessun modo e se n’è andata.

 Dopo quel giorno non è più tornato, e la nostra sorella era finalmente di nuovo libera. Anche lei dovrà affrontare il tribunale, che in molti altri casi ha cercato di mettere in dubbio i vissuti di tante donne e ha condotto le indagini con una tacita accusa di mentire, ma adesso, anche per questa situazione, non sarà da sola!

Riportiamo qui la lettura della lettera scritta dalla donna che ha denunciato lo stupro, una lettera rivolta a tutte le donne, alle compagne, alle sorelle che in questo momento sono state al suo fianco e a tutte quelle donne alle quali la “Giustizia” non ha fatto giustizia.

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Da Radio Blackout

 

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pubblicato il in Intersezionalitàdi redazioneTag correlati:

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