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E’ tempo di frenare la crociata di Cota!

La testimonianza che oggi appare sulle colonne del quotidiano” La Repubblica” è di quelle che fanno star male e sembrano farci tornare a epoche buie fatte di caccia alle streghe e roghi, dove queste erano –e sono- soprattutto donne che non accettano di farsi normare e gerarchizzare da nuovi controllori e vecchie inquisizioni…

Il fatto è avvenuto nel mese di agosto ma la testimonianza è di oggi.

Una donna si reca all’ospedale Sant’Anna di Torino per un controllo dopo aver abortito con la ru486 e viene aggredita da fanatici antiabortisti del Movimento per la vita. Le loro parole sono pesanti come macigni. Le urlano dandole dell’assassina, dell’omicida e della malata di mente.  Inutile provare a spiegare il trauma subito gratuitamente da questa donna. Comprensibilissimo il fatto che lei voglia raccontare e denunciare quanto accaduto affinché nessun’ altra possa mai ritrovarsi a vivere la stessa situazione.

Certo, non si può dire che Roberto Cota non ci avesse avvisato. 

Il neopresidente alla Regione Piemonte, appena eletto, esordì subito dicendo che per quanto gli riguardava avrebbe fatto in modo che le scatole di ru486 ordinate durante la giunta Bresso sarebbero rimaste in magazzino. Non aveva probabilmente considerato che in Italia esiste una legge –per quanto discutibile- che regola l’interruzione di gravidanza e ciò comportava il fatto di doversi rimangiare immediatamente quanto appena detto.

Ma la crociata di Cota contro l’autodeterminazione ha come punto fermo il 24 febbraio 2010,  giorno in cui firmò con esponenti del mondo antiabortista e clericale il famoso “Patto per la vita e la famiglia”. Sei punti le cui parole chiave sono VITA e FAMIGLIA, ovviamente presentate da un punto di vista meramente cattolico. La vita da difendere è quella dell’embrione non ancora formato e la famiglia passibile di tale riconoscimento è esclusivamente quella monogamica ed eterosessuale, fondata sul matrimonio di un uomo e di una donna. Inoltre c’è da sottolineare che il primo punto del patto esplicitava formalmente (ma non troppo esplicitamente) la volontà di aumentare i finanziamenti ai movimenti cattolici antiabortisti.

Vale davvero la pena rileggere questa dichiarazione d’intenti:

1. Considerando che un aborto non è mai una vittoria per nessuno ma è sempre una sconfitta, m’impegno per quanto riguarda le competenze regionali di applicazione della legge 194 a proporre e sostenere percorsi di aiuto concreto e fattivo alle donne che, anziché banalizzare l’aborto come soluzione, cerchino sempre possibili alternative, aprendo le istituzioni regionali anche alla collaborazione con il volontariato pro-vita. In applicazione della stessa legge, se in Piemonte dovrà essere somministrata la pillola RU486, questo potrà avvenire solo con un protocollo che preveda il ricovero della donna dalla somministrazione della pillola fino al completamento del percorso abortivo, escludendo ogni ipotesi di aborto fai da te a casa propria.

Inutile dire che si tratta di un vero e proprio attacco al diritto all’autodeterminazione delle donne che passa  attraverso tutti i canali possibili e in questo caso tramite una campagna persecutoria contro la RU486, colpevole di permettere di abortire in maniera fisicamente meno invasiva e dolorosa e di far sentire gli obiettori di coscienza “delegittimati” nel loro “lavoro”.

Pare evidente che Cota e la sua cricca probabilmente non abbiano capito bene e non abbiano saputo cogliere l’intensità del messaggio che il 24 febbraio scorso la piazza di Torino gli ha voluto lanciare, bruciando la mega-riproduzione cartacea del Patto per a Vita coi suoi punti  programmatici mortiferi ed inaccettabili.

Lo testimonia anche il fatto che un paio di giorni fa il governatore abbia annunciato che “la Regione Piemonte provvederà a formare il personale qualificato delle associazioni pro-vita che opereranno nelle strutture ospedaliere”. L’annuncio è avvenuto ad un convegno organizzato presso il Cottolengo di Torino e sponsorizzato anche dalla Regione Piemonte il cui obiettivo dichiarato è quello di  «rafforzare la rete delle associazioni di volontari in difesa della vita». Insomma, come ha scritto un giornalista, si è trattato di una sorta di  “stati generali dei volontari che si battono contro l’aborto”. Ma non è tutto. 
Riportiamo di seguito:

responsabile e alla vita nascente, ridurre ulteriormente i tassi di interruzione volontaria di gravidanza in Piemonte mediante il miglioramento del percorso assistenziale offerto dai servizi consultoriali, attuare azioni e interventi coordinati per il sostegno alla maternita’ difficile per ragioni economiche e sociali”. Tra le azioni e gli interventi coordinati, viene ”valorizzato il ruolo delle organizzazioni di volontariato operanti nell’ambito del sostegno alle donne e alla famiglia, quali portatrici di valori etici e di solidarieta’ sociale”.

Dietro a un discorso il cui incipit promette che l’elemento in questione sarà l’assistenza alla donna che decide di abortire, si nota chiaramente come invece in realtà la donna “sparisca”dal discorso. Non si tratta del suo corpo, delle sue decisioni, bensì di un corpo che appartiene a tutti e su cui tutti possono agire e pontificare, oltretutto valorizzando il loro operato.

C’è da aggiungere che in questi mesi  le voci che arrivavano dagli ospedali torinesi erano a dir poco allarmanti. Taglio ai fondi per i progetti preesistenti e magica “apertura dei rubinetti” per creare nuovi spazi e nuove figure che possano garantire una costante presenza dei movimenti antiabortisti all’interno delle strutture sanitarie regionali in Piemonte.

Questo per dire che malgrado il fatto che l’ospedale Sant’Anna sia oggi ostaggio delle associazioni antiabortiste non stupisca particolarmente, non toglie che sia comunque inaccettabile.
Ancora una volta e sempre di più  si usano i corpi delle donne come terreno di battaglia politica o come merce di scambio per possibili alleanze. Un controllo che vorrebbe farsi sempre più stringente e di cui si fa a gara per detenerne le fila.

Ma sicuramente troppa gente ha fatto male i suoi conti.

Innanzi tutto c’è ragionare intorno a quali effetti potrebbe avere una massiccia presenza dei movimenti antiabortisti all’interno degli ospedali, a maggior ragione se si presenta in modo prepotente e violento come sempre più spesso gli si confà.

Se si considera che già normalmente lo stato emotivo di una donna che si appresta ad abortire è solitamente segnato da un pesante senso di colpa, paura, sofferenza e dolore, non è difficile immaginare come la presenza di persone che fanno di tutto per farti sentire un’assassina e una menomata mentale rischi di produrre, oltre che effetti psicologici devastanti, anche un allontanamento dalle strutture sanitarie, con conseguenze spesso pericolose.

Un forte allarme riguarda sicuramente le donne migranti che rappresentano un’alta percentuale nell’utilizzo del servizio di interruzione di gravidanza. Molte vivono in contesti in cui purtroppo il rischio di ricorrere all’aborto clandestino è spesso dietro l’angolo. Una campagna di terrore e colpevolizzazione nei confronti di quella che dovrebbe essere una libera scelta  non farebbe altro che sospingerle nuovamente nella clandestinità da cui a poco a poco molte stavano finalmente uscendo.

Ed ora parliamoci chiaro: tutto questo non verrà permesso! 

Non verrà permesso a nessuno di mettersi nella posizione di poter decidere sulla testa delle donne e sui loro corpi.

Non verrà permesso che venga legittimata l’istituzione di un potere volto a perpetuare una violenza sulla donna che arriva e agisce su molteplici fronti e che la riduce a mero utero.

Se c’è chi ancora non è in grado di accettare che una donna possa decidere liberamente se e quando diventare madre, che voglia gestire la propria sessualità autonomamente, che sia in grado di sapere se sia il caso di interrompere una gravidanza o meno, allora forse è il caso di ribadire tutti questi concetti in maniera ancora più incisiva.

E’ tempo di tornare a presidiare consultori e ospedali, di riappropriarsene e di non permettere che il movimento per la vita e i suoi simili si sentano in diritto di potervi agire liberamente e di dire a una donna chi è e cosa deve fare del suo corpo.

Questo è un messaggio chiaro e siamo sicuri/e che ci saranno sempre tantissimi uomini e donne disposti a ribadirlo con sempre più forza ogni volta che ce ne sarà bisogno.

Ancora una volta è il caso di dirlo: REAGIAMO A COTA E AL SUO PATTO PER LA VITA CHE SA DI MORTE!

 

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pubblicato il in Intersezionalitàdi redazioneTag correlati:

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