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Burkini e bikini, io e mia mamma insieme in spiaggia

Discorsi noiosi per il semplice fatto che noiosa è diventata la tendenza di certi illuminati di autonominarsi paladini della difesa dei diritti delle donne arabe e musulmane. Per nessuno è una novità il forte sentimento islamofobo che caratterizza, da quasi due decenni, i paesi occidentali come la Francia e che ha portato e porta ad una serie di proposte di legge, alcune poi realizzate, che attaccano la libertà dei musulmani o delle musulmane che vivono in Europa o in America.

Quello su cui vorrei focalizzarmi è quando invece queste leggi, imposte da forze governative e applicate mediante sanzioni o arresti, vengono sponsorizzate come mezzi per difendere i diritti delle povere donne musulmane oppresse obbligate ad andare in spiaggia cosi conciate. E l’apoteosi dell’assurdità giunge quando queste persone si definiscono femministe e di sinistra.

Inutile girarci attorno, mi riferisco alla raccapricciante intervista di Lorella Zanardo rilasciata all’Espresso in cui afferma che è giusto imporre il divieto del Burkini in spiaggia poiché non è possibile che una donna lo indossi di sua spontanea volontà. Ovviamente una dichiarazione cosi azzardata è conseguente al fatto che la Zanardo ha indossato una volta questo indumento e l’ha trovato molto scomodo. Insomma è proprio una questione scientifica: ho fatto un esperimento e sono giunta alla conclusione che nessun essere vivente possa autoinfliggersi tale tortura.

Io, ad esempio, trovo estremamente scomode le camicie perché ogni volta che provo ad alzare le braccia mi sento bloccata, ma non ho mai pensato di intraprendere una campagna per liberare milioni di uomini e donne da un indumento cosi scomodo. Forse sono una ragazza superficiale.

Ironia a parte, vorrei spiegare a chi si definisce femminista solo perché “si occupa di questioni riguardanti le donne” che questo approccio di pensiero è un approccio neocolonialista e borghese che ci trita ovaie e palle da più di un secolo. Insomma siamo stufe di tutti questi intellettuali, uomini e donne che siano, che devono sempre ripeterci che siamo donne oppresse se copriamo la testa, che loro possono insegnarci a liberarci e a conquistare i nostri diritti proprio come hanno fatto loro.

Io sono nata in Italia da genitori marocchini e musulmani, mia mamma porta il velo mentre io e mia sorella non lo portiamo e nessuno ci ha mai chiesto di farlo. Io sono stata cresciuta dai miei genitori senza che mi ricordassero tutti i giorni che posseggo una vagina fra le gambe: mia mamma non mi ha mai chiesto di imparare a fare un Tajin e mio padre non pensava fosse una cosa da uomini quando mi insegnava a cambiare un rubinetto o a guidare la macchina.

Se guardo l’album di famiglia posso vedere donne con il velo, cugine in minigonna, zii con il vestito tradizionale, il fratello in smoking in una stessa foto.

Mia mamma porta il Burkini in spiaggia e le sue figlie portano il bikini e nessuno ha mai imposto né a lei né a noi di cambiare modo di vestire. Non credo che nessuno o nessuna possa arrogarsi il diritto di dire che mia mamma non ha il cervello per pensare e che in realtà ciò che fa non è una sua libera scelta.

Queste persone dovrebbero più fare attenzione a cosa succede nella società in cui viviamo. Perché a c’è ancora, ad esempio, chi fischia quando passo con il vestito corto, chi si stupisce quando dico che lavoro nel campo dell’ingegneria dei processi chimici, chi mi dice che dovrei dire meno parolacce e che non dovrei ruttare perché non si addice ad una ragazza carina.

Fatima Mernissi, femminista e scrittrice marocchina, ha passato anni ad analizzare il dilemma dell'”harem occidentale”, ossia dell’ossessione occidentale riguardante il tema delle donne nel mondo arabo. La Mernissi si chiedeva perché in occidente ci si sentiva immuni al sessismo e al maschilismo e che ci fosse il pensiero comune che questi fossero mali che appartenevano solo al mondo arabo.

Fatima dice di aver trovato la risposta al suo dilemma quando capì che “mentre l’uomo musulmano usa lo spazio per stabilire il dominio maschile escludendo le donne dalla pubblica arena, l’uomo occidentale manipola il tempo e la luce. Egli dichiara che la bellezza, per una donna, è dimostrare 14 anni. Se osi dimostrarne cinquanta, o peggio sessanta, sei inaccettabile”.

Insomma in entrambe le società l’uomo esercita una sorta di dominio sulla donna, che differisce solo nella forma di controllo.

Leggendo i libri di Fatima Mernissi si capisce che se è vero che in Occidente si può portare, più o meno, liberamente la minigonna nei paesi arabi le donne non devono battersi per sostenere che hanno un cervello, che come tutti possono essere dotate di grande intelligenza, astuzia e capacità strategica. Nel mondo arabo già da centinaia e centinaia di anni si narra di storie di donne dalle capacità straordinaria che esordiscono nei racconti di “mille e una notte”, passando per la Moghul Nur Giahan , alla sultana Hurrem che ha influenzato più del marito le sorti dell’impero ottomano nel XVI secolo, fino ad arrivare alla cantante Umm Kultum considerata una delle migliori voci di tutti i tempi nel mondo arabo.

Fare inchiesta di parte nel mondo musulmano significa andare a valorizzare gli aspetti in cui le donne occupano i territori di intesa e di conflitto, mi riferisco alle donne Kurde e a tutte quelle lotte che hanno avuto come protagoniste le donne che hanno incendiato i paesi musulmani dall’Iran fino al Marocco, passando per la Palestina e per la Tunisia.

Chi dice di sostenere le donne musulmane nella lotta per la loro liberazione dovrebbe togliersi gli occhiali da yankee occidentale illuminato, e dovrebbe capire che non può considerarsi liberata una donna che vive in una società in cui le donne vengono ancora bruciate e assassinate dai loro ex compagni.

Le donne devono lottare ancora molto, in tutti gli angoli del globo però.

Detto questo, io e mia mamma andiamo a fare un tuffo: lei in Burkini e io in Bikini.

Leila

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pubblicato il in Intersezionalitàdi redazioneTag correlati:

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