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8 marzo: è sciopero globale delle donne

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Oggi, come esattamente un anno fa, è sciopero globale femminista. Quest’anno sono circa settanta i paesi nel mondo in cui le donne hanno aderito alla giornata, o meglio, l’hanno costruita.

Qui in Italia le scuole, la sanità e i servizi, i trasporti urbani e ferroviari, gli aeroporti saranno i settori maggiormente coinvolti nello sciopero. Blocchi e cortei si riverseranno nelle città per rendere ancora più visibile e congestionante l’assenza dal lavoro produttivo e riproduttivo.

L’8 marzo non aveva in sé niente di scontato: solo attraverso un processo di riappropriazione ha riacquisito un senso, nell’ottica di rifiuto di un ruolo sociale ed economico imposto e subordinato.

Da una giornata di festa in cui la donna è ancora una volta oggetto, per un giorno, della disponibilità maschile e istituzionale a concedere uno spazio e qualche gentilezza, questa viene rovesciata per diventare una giornata di lotta. Una rinuncia sincera a tutti i convenevoli per sovvertire un equilibrio che si mantiene calpestando i nostri lutti e le nostre identità.

Fra lo scorso otto marzo a oggi non c’è qualcosa che si è fermato o sospeso. Se uno sciopero delle donne, femminista, è possibile, è grazie alla connessione costante fra questo spirito e i contesti in cui come donne viviamo, lavoriamo e lottiamo. Nessuno ha organizzato questo sciopero per le donne e anzi le risposte dei sindacati non sono state per la maggior parte all’altezza della sfida che queste hanno lanciato.

Ma cosa avranno da protestare? Ribaltiamo la domanda. C’è qualcosa per cui dovremmo sentirci valorizzate o riscattate?

Scioperiamo dal lavoro produttivo perché donne sono il terreno su cui si sperimentano continuamente nuove forme di estrazione di capacità e risorse, su cui si rafforza e riproduce un sistema di subordinazione di genere e lo si estende. Le violenze e le molestie sul lavoro, la precarietà e la ricattabilità sono un mezzo infallibile per far sì che questo sistema continui a esistere e allo stesso tempo le sue immediate manifestazioni. Aggredire questo terreno comune ci permette di andare a fondo e oltre le esperienze di vertenzialità per una mobilitazione traversale ma di classe.

Scioperiamo dal lavoro riproduttivo. Il tempo delle donne e la loro esistenza sono costretti e impiegati a rendere possibile la vita degli altri, la produttività degli altri, lo sfruttamento degli altri. Tutto il lavoro in casa, la cura dei figli e della famiglia, la sfera affettiva impegnata nell’andare avanti, sono date per scontate: anche questo è lavoro.

Scioperiamo dai ruoli imposti dai generi. Il nostro ruolo imposto è soprattutto quello sociale, produttivo e riproduttivo. Ci sarà sempre qualche uomo che penserà di sapere meglio come essere una donna, perché infondo non siamo noi ad ora a determinarlo. Quel grosso dito che indica tutto quello che potrebbe mettere in pericolo l’identità e il predominio indiscusso dell’uomo-bianco-eterosessuale oggi verrà puntato da noi.

Partendo da noi, queste cose ci appartengono. Lavori senza contratto, con part-time a tempo pieno ma metà dello stipendio, condizioni a lavoro inaccettabili, molestie, scorrettezze per metterci in competizione con la collega con cui dividiamo il lavoro. Subiamo gli sfratti, sole con dei figli, andiamo alla rincorsa di soluzioni ma gli assistenti sociali ci colpevolizzano.

Per questo l’otto marzo è sciopero!

Nel corso della giornata seguiremo lo sviluppo della protesta in tutto il paese

 Sono stati alla fine più di 150 i paesi investiti dallo sciopero internazionale.
Come annunciato, per tutta la giornata in Italia i trasporti non sono stati garantiti a causa dell’alta adesione allo sciopero di questo settore: arei e treni soppressi, mezzi urbani ridotti.
Circa 40 le città in Italia in cui, oltre allo sciopero, ci sono stati cortei e iniziative con un’ alta partecipazione e una forte determinazione. Mobilitazioni anche nelle università, nelle scuole e nelle piazze hanno occupato l’intera giornata. Le manifestazioni più imponenti si sono viste a Roma, Milano, Napoli. Ovunque i cortei hanno superato le aspettative testimoniando come la spinta della mobilitazione femminista sia sempre intensa.

A Torino un giovane, Loris, è in stato di arresto dopo un presidio di protesta contro le politiche colpevolizzanti degli assistenti sociali: mentre le donne e i partecipanti al presidio cercavano di raggiungere il resto della manifestazione sono state bloccate, spintonate e inseguite dalla polizia senza che ci fosse un reale motivo se non l’intenzione di segnare un’ostilita verso questa giornata di lotta dalle parole così chiare.

A Bologna oltre diecimila persone hanno sfilato per la città dopo aver risposto le provocazione della consigliera leghista Borgonzoni che voleva unirsi alla piazza. Non c’è spazio per le ambigue e per la strumentalità. Questo movimento lo ha dimostrato più di una volta, come in occasione della mobilitazione di Verona in cui il corteo di donne ha dovuto rispondere alle provocazioni poliziesche e delle istituzioni che volevano, all’ultimo,  un pezzo di percorso per il corteo. Decisioni arbitrarie che rispondono alle reazioni scomposte di un apparato istituzionale conscio di non controllare un movimento che ha superato molteplici apparati di cattura nelle sue istanze e nella sua capacità mobilitativa contro l’ordine dominante.

A Pisa un corteo di oltre mille donne ha sfilato fino alla torre, consolidando l’eredità delle due occupazioni femministe cittadine nate dopo l’8 marzo dell’anno scorso. A Firenze le iniziative studentesche del mattino hanno accompagnato il corteo pomeridiano.

 

 

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pubblicato il in Intersezionalitàdi redazioneTag correlati:

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