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13 febbraio: tutto da buttare?

Care amiche e compagne,

in questi giorni ho a lungo riflettuto sulle discussioni che si sono generate attorno alla giornata del 13 febbraio. Ho appena vissuto un’esperienza politica molto propositiva e intensa: la tre giorni europea “For a New Europe: University Struggles Against Austerity”: nelle università parigine, più di trecento persone da tutta Europa (e oltre) si sono confrontate sulle proprie esperienze di lotta e hanno proposto date e scadenze comuni su cui costruire un campo di battaglia contro il sistema capitalista. Durante il meeting sono emerse miliardi di idee diverse, di posizioni talvolta incompatibili, percorsi incongiungibili e linguaggi differenti. Ma, in tutto ciò, è anche emersa la volontà propositiva di identificare un cardine comune su cui basare le proprie variegate esperienze: l’attacco diretto ai simboli e ai luoghi del capitale, responsabili delle condizioni diffuse di precarietà e indebitamento, e la lotta unica per la costruzione di un comune condiviso.

Dopo il meeting mi sono trovata immersa nelle discussioni attorno alla giornata del 13 e, ancora non del tutto scollegata dall’esperienza della 3 giorni, mi sono persa in considerazioni varie attorno a questa dibattuta giornata italiana.

Il dato è che una marea di donne sono scese in piazza. Come giustamente avete rimarcato, non era una manifestazione femminista. Ma era questo un motivo per non esserci? La giornata è stata indetta su tematiche abominevoli: la distinzione tra donne per bene e per-male (scusate se riprendo questa espressione secondo me oscena), non ne sono usciti fuori, in maniera eclatante, contenuti alternativi (o si sono persi nel calderone).

Ma potevano uscirne con facilità quando, di fatto, ogni singola donna in quel corteo non aveva le stesse motivazioni per scendere in piazza della sua vicina?

Le accuse che vengono sollevate sull’assenza di queste donne nel grande “prima” che ha preceduto il “se non ora” mi sembrano un po’ pretenziose: Dov’erano quando Joy veniva violentata? Forse molte di quelle donne non sanno nemmeno chi è Joy! E forse sarebbe stato utile andare lì per dirglielo! Dov’erano quando veniva approvata la delibera Ferrero? Probabilmente a casa a guardare il TG1 mentre la notizia passava in sordina su qualche emittente locale! E forse sarebbe stato utile andare lì per raccontarglielo!

Mai come in questo momento è importante essere inclusive, cercare di accettare una variegata identità di genere senza giudicarla, trarre esperienza dai percorsi individuali di tante donne che sono in piazza per chissà quale motivo per capire da quali di queste esperienze di possa tirare fuori una base di lotta nuova.

La complessità della società è troppo alta per poter comprendere tutti i percorsi di tutte le donne in un’unica idea assoluta di autodeterminazione.

Perchè molte donne fanno fatica a dirsi femministe? Parto da me perchè anche io a volte ho questo problema, specie quando vengono fuori discorsi di questo tipo.

Se penso al mio vissuto e al mio percorso penso che se c’è un soggetto con cui non ho nulla da spartire sono, per esempio, le simpatiche signore che hanno organizzato la giornata del 13. Non tanto per via delle differenti pratiche politiche, ma soprattutto per motivi esistenziali. Persone che hanno una storia di tutto rispetto, ma che non è la mia e non basta il genere ad accumunarle a me. Ho una rabbia dentro che mi si eleva ogni giorno di più, ripensando a tutto quello che è stato tolto alla mia generazione e alle successive. Cose che certe signore non si immaginano nemmeno. Allora credo che un percorso femminista nuovo dovrebbe guardare oltre la sua storia e ricongiungersi con il mondo attuale. Smettere di difendere le lotte (di tutto rispetto) di 30 anni fa e farne delle nuove: ripensiamo ai consultori come luogo comune e ricostruiamoli da capo! Andiamo a riprenderceli e a farli nostri senza più chiederli! Credo che le donne a cui ci rivolgiamo non possano essere dei miti astratti, solo quelle conformi ai canoni della sovversiva filosofia femminista, ma sono quelle che scendono nelle piazze, con o senza gli uomini, perchè avvertono un bisogno di cambiare anche se talvolta non sanno declinarlo nelle giuste direzioni. Allora stare tra loro e captare le istanze di cambiamento è  la base per costruire una politica femminista incisiva e pienamente condivisibile da tutte.

Dimostrare che c’è un gruppo di donne sempre presente nelle lotte e capace di declinare al femminile le necessità delle nuove generazioni è la sola via per far rinascere un movimento di donne da un lato e di far vivere attivamente le donne nei movimenti dall’altro: come ci insegnano le donne no tav e le donne egiziane in questi giorni, l’identità di genere nasce dalle lotte e non da astrazioni e dispute sugli asterischi!

Scusate non volevo essere polemica perchè so benissimo che gran parte della produzione politica di MeDeA nasce da questo preciso punto di vista. Ma come si invitano le persone a non aver paura di un discorso femminista, non dovremmo avere paura di ammettere che un discorso femminista non può non attraversare, con le sue proposte e tipologie, tutti gli ambiti misti in cui le donne si trovano e lottano ogni giorno! La piazza del 13 era una piazza politica e bisognava forse attraversarla per ritrovare e riproporre un percorso altro a tutte quelle singole che esprimevano magari dei messaggi molto diversi da quelli del dibattito mainstream. Credo che finchè non si sarà capaci di fare questo passaggio la filosofia femminista sarà si rivoluzionaria, ma non farà paura a nessuno!

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pubblicato il in Intersezionalitàdi redazioneTag correlati:

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