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Oltre la dittatura degli affari correnti

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Lo stallo in corso sulla formazione del nuovo governo è vissuto con agitazione sui social networks e sui giornali, riflettendo i timori e le speranze di chi ancora vede – differentemente da noi – in quell’ambito la possibile risoluzione dei problemi profondi della nostra società. Non sembra però preoccupare i mercati e la finanza internazionale, quantomeno in termini di indicatori come spread e rating internazionale. L’UE tace, Bruxelles ha perso la lingua. Come mai?

Probabilmente la stessa forma dell’incertezza istituzionale è assolutamente adeguata alla gestione ottimale della società e dell’economia nel nostro paese. Il mantra della gestione degli affari correnti, imperniato sulla saggezza e la placidità della figura istituzionale di Gentiloni, incarnano al meglio la necessaria stabilizzazione del quadro politico in attesa che si formi, con tecniche di palazzo o grazie ad un nuovo voto, una nuova maggioranza, che nel frattempo verrà allisciata e normalizzata per poter sedersi al tavolo. Sempre che un governo del Presidente non emerga nel frattempo.

Regna una calma sorprendente rispetto agli scenari apocalittici della campagna elettorale. Tutti aprono a tutti, o quasi, ma soprattutto si staccano dalla realtà dei fatti e dalle promesse millantate fino a solo un mese fa. L’enfasi sulla raggiunta uscita della crisi è quotidianamente messa in discussione dai dati economici, che vedono in aumento nuovamente ad esempio la disoccupazione giovanile e non sembrano profilare miglioramenti di breve periodo. Ma nessuno ovviamente ne parla, dato che è impegnato a tramare un accordo per sedersi nella stanza dei bottoni.

Che sia proprio sul frame retorico della “crisi” che dobbiamo interrogarci? Quanto questo è adatto ancora a segnalare un possibile campo di attivazione e quanto invece ormai ha assuefatto le energie dei e delle militanti? Un nuovo orizzonte sul futuro è quello che va delineato, che va conquistato a partire da uno scatto in avanti. La crisi è permanente, è condizione di base su cui si gioca una eccezione perpetua, basata sugli affari correnti. La crisi è la vera gestione degli affari correnti, ma nominarla non basta.

La possibilità di inflazionare, mettendo a critica e forzandoli, i punti futuri di nuovi governi “politici” è il nodo da sciogliere.

La questione del reddito, accelerata in maniera verticale dal dibattito elettorale, è una delle direzioni possibili da imboccare. Che sia il prossimo un governo all’insegna della flat tax o del reddito di inclusione grillino, quello che sembra presentarsi davanti ai nostri occhi è sempre un maggior ritiro dello Stato dai territori: l’altro lato della medaglia di questi possibili provvedimenti in campo economico è infatti un attacco indiretto agli ultimi residui di welfare state.

Istruzione, sanità, diritto all’abitare: campi di battaglia di una società a due velocità a venire, dove un’enfasi sempre maggiore sulla possibilità di autorealizzazione, sull’auto-imprenditorialità sostenuta da una bassa tassazione o da un reddito in piccola parte garantito verrà controbilanciata dalla parallela necessità di cavarsela da soli a curarsi degnamente, a permettersi l’istruzione migliore, financo ad avere una connessione alla rete più veloce.

Il tema del salario e quello del reddito vengono dunque a convergere se non altro per gli effetti combinati tra l’uno e l’altro. Dove si redistribuisce da un lato, con un reddito garantito, un salario minimo, un taglio alle imposte, si toglie dall’altro. Ed esiste sempre la diabolica macchina dell’inflazione a togliere potere al denaro tangibile, manifestando in maniera ancora più esplicita la sottrazione generalizzata di servizi che si delinea per il prossimo futuro.

E dove il tema della formazione, non a caso oggetto di molteplici attenzioni dei would-be governments, sembra tornare fondamentale su due punti. Da un lato, serve alle esigenze del capitalista collettivo la preparazione a espliciti scenari innovativi del mondo del lavoro, come quelli dettati dall’automazione, o dalla turistificazione sempre più pervasiva da Nord a Sud. Dall’altro, serve instillare abitudine allo sfruttamento, come ci rende noto ogni giorno il bollettino di incidenti e repressione che caratterizza l’alternanza scuola-lavoro. La conoscenza necessaria per sfruttare i nuovi margini di profitto deve essere accompagnata ad un’intensificazione del controllo, pena l’instabilità del processo complessivo.

L’impasse dei movimenti si segnala allora sia nella difficoltà di poter trovare un nuovo obiettivo politico, un nuovo governo su cui indirizzare un carico di nemicità, sia nella difficoltà di trovare parole d’ordine adeguate per rappresentare le nuove contraddizioni. Ci vorrà ancora del tempo, consci del fatto che a volte le accelerazioni arrivano inaspettate, furtive, e vanno prese al volo.

E’ su queste prospettive, consci della possibilità di un rapido cambiamento di scenario, che dobbiamo indirizzarci. Qui si, che saremo oltre la gestione degli affari correnti. Qui si che dovremo necessariamente farci trovare pronti.

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