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La geografia dei nuovi focolai è quella dello sfruttamento

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Tra oggi e ieri sono apparse sui giornali le notizie di due nuovi focolai di Coronavirus. Uno nelle palazzine Cirio a Mondragone dove vivono molti braccianti di origine bulgara e l’altro alla Bartolini (l’azienda logistica) di Bologna.

Una foto plastica dello sfruttamento nel nostro paese si direbbe, da un lato la Pianura Padana con i suoi poli logistici che non hanno smesso un attimo di brulicare durante il lockdown, dall’altro le campagne del Sud (ma anche di alcune aree del nord, vedi Saluzzo) dove i braccianti sottopagati e schiavizzati dai caporali non hanno mai interrotto il loro lavoro e adesso si trovano ancora di più sotto stress con la riapertura per fornire frutta e verdura sulle nostre tavole.

Una allegoria del ricatto tra salute e lavoro si potrebbe pensare, se questa non fosse la brutale realtà e le vite di centinaia di lavoratori non fossero a rischio quotidianamente. Ebbene questa è la sostanza di cui è fatta la produzione al tempo della pandemia. Le regole anticontagio imposte alle aziende sono state più che altro nominali, come gli operai di moltissimi settori ripetono da tempo, e quando realmente vengono rispettate è il modo stesso in cui è organizzato il lavoro a impedire che siano sufficienti. Per non parlare di chi lavora nei campi, quasi sempre a nero, e quasi sempre senza uno straccio di diritti, in quel caso le norme anticontagio non esistono proprio. La preoccupazione per la salute viene completamente scaricata sui lavoratori, e anche se la narrazione dominante racconta la storiella del “tutto va bene”, “tutto è come prima”, la verità inoppugnabile è che quotidianamente emergono storie di abusi, di sfruttamento e di insicurezza nel mondo del lavoro.

Perché se la fase tre per gli imprenditori significa accelerare, recuperare i profitti del lockdown, per i lavoratori significa un maggiore carico di lavoro, una minore sicurezza, delle minori garanzie.

Le risposte del governo? Non esistono, a parte criminalizzare giovani e anziani, imporre norme insensate e spesso evidentemente solo di facciata, la politica è completamente subalterna a Confindustria. L’associazione degli imprenditori fa la voce grossa su tutto, sulle Grandi Opere Inutili, sulla tassazione, sugli investimenti, mentre è seduta a sbaffarsi le grosse mance che il governo ha lautamente distribuito. Intanto i lavoratori si devono accontentare di qualche mese di reddito d’emergenza quando va bene e del bonus bicicletta (già esaurito prima ancora di cominciare).

Nessuna discussione seria su come rivedere il mondo del lavoro, sulle fragilità che ha evidenziato la pandemia, sul ruolo criminale che hanno avuto le lobby degli imprenditori nel fare pressioni per evitare le zone rosse quando sarebbe stato necessario. E intanto Lamorgese e il ministero degli Interni mandano l’esercito a Mondragone, perché il ghetto si può sbarrare, e in Val Susa perché le Grandi Opere, quelle no, non si possono fermare.

Questa forma di organizzazione della produzione, della società, della vita ha fallito e va cambiata dalle fondamenta, perché è vero, è il virus che uccide, ma il capitalismo è l’untore.

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