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Keep Calm!

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Care compagne e cari compagni calma. 

Il governo Salvini, Di Maio sta per nascere già convulsamente pieno di contraddizioni. “E’ il governo più a destra della storia d’Italia dal dopoguerra” dice qualcuno, può darsi, è una bella gara però. Noi non crediamo che questo sia il punto. 

Certo non mancano le parti del “contratto di governo” che fanno accapponare la pelle. Il giro di vite su sicurezza e giustizia in senso manettaro, il destino di centinaia di migliaia di migranti e quello degli occupanti di case sono tutti elementi che fan paura. Sia per le conseguenze sociali che avrebbero sui settori popolari, sia per il restringimento degli spazi di agibilità politica che un’opzione “antagonista” potrebbe vivere in questa fase.  E certo, come non aspettarsi una vendetta dal Felpa per le contestazioni che in questi anni lo hanno seguito in tutta Italia? Ma compagni, per i nostri fini, non si è forse sempre costretti all’antagonismo? Può ciò essere sufficiente per porci già in una condizione di vittimismo, di resistenza, di impotenza volontaria senza intravedere il campo delle tendenze, delle contraddizioni che si formano o si sciolgono, il campo, in una parola, delle possibilità? Sono la denuncia aprioristica e la lamentazione pessimistica il peggior nemico. Quelle che ci farebbero cadere nella sola cosa peggiore della sconfitta: l’irrilevanza. Senza poi contare che dalle parole ai fatti ce ne passa…

Ritorniamo sulla terra, compagni. Non siamo all’alba di un regime fascista, né di una “orbanizzazione” della politica italiana. Siamo di fronte a due pallidi e reazionari riformisti che anelano vecchi status quo mentre si dibattono tra la paura dei mercati e dell’Europa e la consapevolezza di non avere un blocco sociale di riferimento organico e consolidato, ma piuttosto di doversi continuamente misurare con un consenso volatile. Indaffarati a dimostrare che sapranno governare meglio degli altri hanno scritto il programma elettorale su cui si misureranno in duello fino alle prossime elezioni. E’ un governo del cambiamento? Non nel senso in cui intendono loro, ma sicuramente è una cesura, potrebbe rappresentare un’accelerazione dagli esiti aperti che però farà da spartiacque: avverrà un recupero e una neutralizzazione in campo liberista delle esperienze populiste italiane – e dunque di parte delle pulsioni che si muovono dietro di loro – o procederemo verso un nuovo tornante della crisi dell’euro e, ancor più, dell’Europa politica?

Non lo sappiamo, non tutte le carte sono state ancora distribuite. Ma visto il “contratto” in cui, paradossalmente, a parte sulla questione dell’accoglienza – unico vero welfare europeo – quasi tutto il resto prevede costi di spesa senza risorse, la prima cosa chiedersi quanto deficit Merkel and co saranno disposti a tollerare. Questo non deve affatto spensierarci o farci tirare un sospiro di sollievo, ma ci deve aiutare a ridefinire ancora una volta il campo di uno scontro. Da un lato il rifiuto dei settori popolari di pagare per il mantenimento di un’Europa attraversata da faglie sempre più significative e senza un progetto complessivo per situarsi in un mondo che ribolle, oggi concretizzatosi nell’opzione populista, e dall’altro  le élite continentali concentrate su grattacapi interni e giochi di potenza per non rimanere schiacciate nella competizione tra Cina-Russia e Usa.

Certamente si inizia a respirare aria di re-nation building anche alle nostre latitudini, anche in parti della borghesia nostrana, con il solito circo che questo comporta. È in fondo questo, il “sovranismo”. La possibilità di un nuovo patto sociale post-crisi che una parte delle classi dirigenti europee sta offrendo al proprio proletariato nazionale, un patto che ha come cardini la gratificazione simbolica della differenziazione di razza e la segregazione come arma del divide et impera. Allo sgretolamento delle basi materiali e alla delegittimazione politica-culturale del “neoliberismo”  e dei suoi valori di riferimento dell’”individualismo-proprietario”, l’alternativa dello Stato razzista contrapposto alla Finanza Globale è l’ancora di salvataggio “suprematista” delle elite globali. Una nazione che si vuole riforgiare contro l’invasore armato di barconi e volontà di sopravvivere, sulla linea del colore. Ma per quanto è possibile agitare questo spauracchio di fronte a un paese spezzato in due tra nord periferia della mittel-europa e sud espropriato, impoverito, “grecizzato”? Basterà questo velo a coprire le distanze abissali tra centri e periferie, tra città e depresse zone rurali? 

Quanto spazio di manovra sul piano politico economico avrebbe una piccola potenza regionale, porto di un versante di mare di cui frega sempre meno a nessuno (si vedano le nuove via della seta cinesi)? In qualche modo la volontà di un ritorno allo stato nazione è la dimostrazione della crisi dello stesso e della incapacità del capitalismo di risolverla e ristrutturarla su altri piani. 

Qualcosa comunque se vogliono sopravvivere politicamente 5stelle e Lega la dovranno dare in termini economici per non essere linciati dai propri elettori. Dovranno farlo perché questo governo sarà l’ennesima campagna elettorale permanente, ma con i due avversari principali legati nelle spire del governo e al contempo intenti a sottrarre voti ai partiti sconfitti. Durerà? Che sia una versione solo nominale del reddito di cittadinanza, più simile ad un assegno di disoccupazione e a tempo limitato, o che sia la rivisitazione della legge Fornero e l’annullamento del Jobs Act assisteremo gare ad intestarsi questa o quella riforma. Ma basterà a far scongelare senza frane questo lungo inverno dello scontento tenendo conto anche del rovescio della medaglia e cioè del contenuto potenziale di guerra ai poveri e ai territori che si esplica in questo programma?

Non c’è bisogno di agitarsi, ma piuttosto di agitare.

 

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