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Al calar degli sgravi

Il mantra ripetuto dal Governo riguardo all’aumento delle nuove assunzioni dall’introduzione del Jobs Act, si può dire concluso. Era evidente a tutti che l’aumento dei contratti a tempo “indeterminato” non era nient’altro che una bolla generata dagli sgravi sulla contribuzione che hanno affiancato il contratto a tutele crescenti. I dati dell’Inps dimostrano che il fattore determinante non sia stato tanto il Jobs Act ( che pure ha influito in parte) quanto il risparmio di 8 mila euro all’anno per tre anni a beneficio delle imprese, che avessero assunto entro dicembre del 2015 oppure trasformato il contratto a tempo determinato con “l’indeterminato”.

Infatti se confrontiamo il mese di gennaio del 2016 con lo stesso mese dell’anno scorso, notiamo come dai 176.239 contratti attivati del 2015 si passi ai 106.697 del 2016. Al calar degli sgravi le assunzioni hanno subito una frenata non di poco conto, evidentemente sono determinanti le nuove disposizioni entrate in vigore nel nuovo anno. Se prima la decontribuzione era triennale e al 100% (costo fino ad oggi per lo stato 12 miliardi di euro) oggi si è scesi a due anni, con una decontribuzione pari al 40%.

Dati alla mano il calo delle assunzioni è lampante, così come lo sono anche le trasformazioni da tempo determinato a tempo “indeterminato”, passate da 43.445 del genn. 2015 ai 41.221 del genn. 2016, anch’esse sbandierate come nuove assunzioni da Renzi. Altro dato sventolato da un Premier perennemente in campagna elettorale sono i 764 mila contratti stabili del 2015 grazie al Jobs Act, dove in realtà il dato riguarda la somma fra il numero delle trasformazioni (578mila) e il saldo fra assunzioni e cessazioni (186mila). Resterebbe il saldo di 186mila contratti stabili in più, miseri numeri dettati dalla decontribuzione più che dal contratto a tutele crescenti, alla faccia dell’euforia renziana e del Ministro Poletti, compresi quei giornali che hanno sostenuto l’attacco all’art. 18.

Anche il tasso dell’occupazione precaria ha raggiunto il massimo storico lo scorso anno,+14%. Questo aumento registrato dall’Istat si spiega con l’esplosione delle assunzioni a tempo determinato, che a sua volta potrebbe essere stato favorito dal decreto Poletti del marzo 2014. Decreto che liberalizzava le assunzioni a termine, permettendo molteplici rinnovi, una misura opposta a quella del Jobs Act, perché incentiva le assunzioni a tempo determinato. Alla formazione di posti di lavoro a tempo “indeterminati” si è affiancata una formazione di posti di lavoro precari, di cui si ha meno voglia di parlare, che nel 2015 ha avuto un saldo di 420 mila contratti. Pare che il test decisivo, o meglio la pietra tombale”, saranno i dati sul primo trimestre 2016 che usciranno a maggio, allora si vedrà quanto sia stata grande la bolla occupazionale generata dalla decontribuzione.

Un dato che invece segna sempre un aumento progressivo è quello sull’utilizzo dei voucher, a gennaio ne sono stati venduti oltre 9 milioni, contro i 6,7 del 2015 (+36,4%) e i 4 milioni del 2014. Nuova forma di sfruttamento legalizzata. Altro che “Italia che svolta”, qui il paese sta sempre rimanendo al palo. La questione lavoro, precarietà e disoccupazione rimane centrale all’interno dei percorsi di lotta, anche in vista del primo maggio. 
 

 

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