InfoAut
Immagine di copertina per il post

Un migrante siriano: “Avevamo iniziato noi la rivoluzione”

Abbiamo intervistato uno di loro, uno che, come molti, ha lasciato la Siria a causa della guerra, e si trova in uno dei paesi “di transito”: nel suo caso è il Kurdistan iracheno, come altri sono inizialmente in Turchia, o in Libano. Come tanti migranti che sono ancora in medio oriente ha un titolo di studio, problemi di lavoro e di permesso di soggiorno. Rivendica la sua partecipazione ai processi politici che hanno innescato l’attuale crisi regionale, ed è consapevole dei rischi che corre chi decide di partire per l’altra sponda del mediterraneo, ma è pronto a correrli. Una vicenda come migliaia di altre, diversa da ciascuna delle altre, ma che può contribuire a restituire uno spicchio di concretezza all’umanità che si mette in viaggio da oriente a occidente, all’altezza del 2016.

Tu sei siriano, ma vivi a Erbil, nel Kurdistan iracheno. Puoi raccontarci la tua storia?

Sono nato e cresciuto a Damasco in una famiglia di origine palestinese, anche se della vicenda palestinese non so molto, è un legame che la mia famiglia ha perso con il tempo. Sono arrivato a Erbil due anni fa per giocare in una squadra di calcio locale. Il calcio è la mia passione e la mia professione, anche in Siria ero calciatore. Francesco Totti è uno dei miei idoli. Ho cercato di farmi comprare da una squadra irachena per evitare il servizio militare in Siria, a causa della guerra. Se sei studente universitario, in Siria puoi chiedere il rinvio. Io ero studente in ingegneria alimentare e atleta universitario, quindi ho potuto chiedere il rinvio, ma quando ho finito l’Università non era più possibile.

Come ti sei trovato in Iraq?

Insomma… La squadra di calcio per cui giocavo mi pagava pochissimo, ben sapendo che avevo bisogno del contratto per rinnovare il permesso di soggiorno, e che per me l’obbligo di ritornare in patria avrebbe significato combattere. Dopo un anno e mezzo, il mio contratto non è stato rinnovato e mi sono ritrovato disoccupato. Per me è stato un duro colpo, in primo luogo perché per me lo sport è tutto, mi basta stare una settimana senza giocare e vado fuori di testa; in secondo luogo perché entro pochi giorni mi vedevo già a combattere in una guerra in cui non credo.

Perché non ci credi?

Non ha più niente a che fare con il modo in cui era iniziato. Un evento così grande, in cui ora sono coinvolte molte fazioni siriane e stati mondiali, era iniziato da un evento molto piccolo. Cinque anni fa, in Siria, era tutto tranquillo. Unica cosa: accadevano tumulti in Tunisia e in Egitto, e da noi si sapeva. Era il 2011. Un giorno, tre ragazzini di una scuola di Dera, una scuola media superiore, hanno scritto sulla lavagna a mo’ di sfregio, durante un cambio d’ora: “Non ci piace il presidente”. I professori sono andati su tutte le furie per questo episodio, che come vedete era davvero ridicolo, una cazzata.

Hanno chiamato la polizia, che ha portato i tre ragazzi in prigione e li ha torturati: hanno strappato loro le unghie dalle mani! I genitori di questi ragazzi erano sconvolti e si sono recati sia a scuola, sia alla polizia per chiedere scusa, per dire che non sarebbe successo mai più, ma che li lasciassero liberi. Sapete qual è stata la risposta? Andate a fare altri figli, perché questi non li rivedrete più.

Queste persone, le famiglie dei ragazzi, erano persone molto chiuse, molto tradizionali. Hanno fatto un gesto che per loro era estremamente difficile: si sono tolti le kefiah dal capo e le hanno posate sulla scrivania dell’ufficiale di polizia. Per loro, nella loro mentalità, era il segno massimo di prostrazione verso l’autorità, un’umiliazione completa, la sottomissione senza compromessi alla polizia. Hanno ripetuto, dopo questo gesto: “Vi preghiamo, rilasciate i nostri figli. Vi chiediamo perdono per ciò che hanno fatto, e vi giuriamo che non succederà più”. La risposta è stata nuovamente: fate nuovi figli, perché questi non li rivedrete.

La storia è girata su facebook e duecento persone vicine alle famiglie si sono radunate sotto la stazione di polizia, per chiedere la liberazioni dei ragazzi. Un manifestante è stato ucciso dalla polizia. Per questo fatto, il giorno dopo erano mille e la protesta si era estesa a Homs, dove ne hanno uccisi due. La situazione era ancora recuperabile per il governo. Sarebbe bastato destituire il capo della polizia di Dera, come chiedeva la gente, ma non lo fecero perché aveva un grado di parentela molto stretto con il presidente Assad. Così si giunse a 500.000 persone in piazza. A quel punto Assad, che è un uomo davvero furbo, ha creato Daesh, in modo da poter dire: ecco, vedete, l’opposizione in Siria è Daesh. Ma non era vero, le cose erano andate come vi ho detto.

Tu hai partecipato alle manifestazioni?

Sono sceso in piazza anch’io quando la polizia ha ucciso un mio amico. Non esiste che un giorno c’è un tuo amico e il giorno dopo non c’è più, senza alcun motivo. C’erano manifestazioni enormi, cose di massa. Poi ho visto che cominciavano a spuntare gruppi armati… Me ne sono subito allontanato, non era una cosa che faceva per me.

Pensi che ci siano state anche cause più profonde dell’episodio dei tre ragazzi?

Forse c’era qualcosa più grande di noi, e noi non lo sappiamo; ma per come lo abbiamo vissuto noi, è stato molto semplice, il governo aveva esagerato. La Siria, per me, era veramente un paese felice. Stavamo bene, avevamo gratis le migliori università del medio oriente, assistenza sanitaria efficiente e gratuita, prezzi molto bassi, qualità ottima del cibo. Non era come qui in Iraq, dove ogni momento salta la corrente e dai rubinetti non arriva acqua potabile. Dai nostri rubinetti arrivava acqua fresca di qualità ancora superiore a quella imbottigliata.

Avevamo una buona produzione industriale, in tutto il medio oriente si compravano i vestiti prodotti ad Aleppo. L’unica cosa, e lo sapevano tutti, era che nessuno doveva toccare il presidente. Era come un patto prestabilito tra Assad e il popolo: i siriani stavano bene e non erano toccati né dai problemi del Libano o della Palestina, né dalle guerre che hanno devastato l’Iraq; in compenso, però, dovevano sapere che la poltrona di presidente era sua e basta. I fatti di Dera hanno rotto questo equilibrio, perché le famiglie dei ragazzi avevano chiesto scusa, si erano umiliate di fronte alla polizia, eppure erano state trattate con disprezzo.

Tutte queste fazioni che sono sorte? Il coinvolgimento internazionale?

Questo è venuto dopo. Come dicevo, noi non possiamo sapere, né possiamo escludere, che gli americani abbiano iniziato a dare armi, che si siano introdotti interessi stranieri nella nostra rivolta. Ma è stato un passaggio successivo alla nostra mobilitazione, almeno per come lo vedo io. Oggi ciò che è rimasto è una guerra che spero finisca il prima possibile, perché sta soltanto distruggendo la Siria. Appena finirà, tornerò nel mio paese, perché è un paese bellissimo.

Ora, però, sei qui in Iraq, e sei mesi fa hai perso il lavoro.

Sì, e questo ha provocato in me una dura crisi esistenziale. Avevo deciso che, piuttosto che combattere in Siria, sarei andato in Europa clandestinamente, attraverso la Turchia e la Grecia. Mi sono trovato senza punti di riferimento, in una situazione oscura, ho cominciato a farmi molte domande sul senso della vita. Ho comprato dei libri di filosofia pensando questo mi potesse aiutare, ma è stato ancora peggio.

In che senso?

E’ stata un’esperienza così brutta che ho difficoltà persino a parlarne, ne ho ancora paura adesso. Per tre mesi ho letto Aristotele e altri filosofi e ho cominciato a prendere in considerazione l’idea che Dio non esistesse: per me la vita stava perdendo completamente di senso. Se Dio non esiste, non c’è una spiegazione al mondo. Ho letto di varie teorie filosofiche ma non offrono mai delle prove, ad esempio si limitano a dire “il mondo è iniziato con il big bang”, ma non spiegano che cosa ha causato il big bang. Al tempo stesso provocano dei dubbi circa la religione che mi hanno fatto stare veramente male. Immagina che significa crescere dando per scontato che il senso del mondo è nella parola di Dio, che esistono il bene e il male, che c’è un’altra vita dopo questa e che la morte non è la fine di tutto – e improvvisamente dubitare di tutto questo.

Come è andata a finire?

Sono caduto in un enorme sconforto. Il peggiore dei filosofi che ho incontrato, quello che mi ha fatto stare più male, è stato Karl Marx. Quel tizio dice delle cose… Non voglio neanche pensarci. Per fortuna ho avuto il conforto di mio fratello minore, che è una persona veramente forte. Mi ha aiutato a uscire da quei tre mesi in cui avevo anche cominciato a bere e a passare le notti con delle ragazze. Mio fratello si era appena laureato in fisioterapia in Siria e mi aveva raggiunto, mi ha riportato sulla via della fede. Da allora sto bene, ma mi sento ancora un po’ frastornato.

Grazie all’aiuto e alla compagnia di mio fratello ho anche trovato un lavoro in un centro commerciale. Ho un incarico direttivo in un supermercato, dove posso sfruttare le mie competenze universitarie, anche se, essendo sempre stato un atleta, mi manca l’esperienza. Mi hanno anche offerto un posto pagato meglio a Bassora, nel sud dell’Iraq, ma rifiuterò: non voglio trovarmi nella stessa situazione da cui sono fuggito.

A Bassora non c’è la guerra.

In teoria. Io sono sunnita, e laggiù i sunniti non sono ben visti; magari mi ucciderebbero dopo neanche un mese, come faccio a saperlo? Nel supermercato di Bassora della mia catena qualche mese fa un lavoratore ha un ucciso un collega.

Era sunnita?

No, entrambi sciiti.

Per questione religiose?

No, politiche. Gli sciiti hanno le loro fazioni e i loro partiti, e c’è sempre violenza. La nostra azienda ha spiegato che saremmo inseriti in un compound residenziale proprio di fronte al supermercato dove lavoreremmo, ma questo non annullerebbe i rischi. L’omicidio di cui parlavo prima è avvenuto sul luogo di lavoro. Inoltre non capisco che vita sarebbe stare sempre chiuso in casa per paura della gente: io voglio guadagnare, ma voglio anche vivere, altrimenti non ha senso. Qui ho anche ricominciato a giocare regolarmente a calcio, organizzo pure partite di basket con i curdi più simpatici che ho trovato qui. Insomma, sto meglio, e spero che la guerra in Siria finisca presto, per poter tornare.

Che cosa pensi dell’Iraq?

È un paese incredibile. Per l’aria che si respira, per questa atmosfera strong. Questa gente non ha mai avuto pace.

Prima del 2003, forse.

Neanche: prima del 2003 c’era l’embargo, e qui in Kurdistan c’era la guerra tra i curdi [Guerra civile del 1992-1998 tra Pdk e Upk, Ndr]. Prima ancora la guerra del 1991, le rivolte curde e sciite, e prima la guerra con l’Iran. Questo paese non ha mai avuto pace ai tempi di Saddam Hussein, né dopo. Per questo qui c’è questa tensione, la gente ha sempre avuto problemi, c’è sempre stata violenza. Guarda come tutti qui si comprano macchine grandi, Ford, Toyota o Nissan, perché hanno bisogno di qualcosa di strong per sentirsi forti e proteggersi dall’ambiente che li circonda.

Cosa pensi del Kurdistan iracheno?

Questa è gente che veniva sterminata sulle montagne e conosceva soltanto povertà e guerra, e la cui leadership nel 2003, improvvisamente, si è trovata ad essere ricca. Si sono trovati ad usare l’immensa quantità di petrolio del Kurdistan, ad essere multimiliardari. Il paese che hanno costruito adesso ha molti problemi economici, la gente sta male. L’economia è legata esclusivamente al petrolio, e appena si abbassa il prezzo del petrolio, le finanze del paese crollano.

Questo è anche dovuto alla scarsa lungimiranza dei leader curdi. Non hanno costruito un’economia, una produzione, delle fabbriche; hanno basato tutto solo sul petrolio, hanno costruito grandi hotel e centri commerciali. Questo sarebbe dovuto venire dopo, dopo lo sviluppo di un’economia vera; invece il Kurdistan importa i prodotti dalla Turchia, dalla Giordania, dal Libano, dal Qatar, e quintali di serie televisive idiote dall’India. Non esporta nulla se non petrolio. A chi governa il Kurdistan fa comodo avere un popolo di soli consumatori, ingannati dalle pubblicità dei centri commerciali, ma non è un buon investimento per il futuro.

Questo paese, come il tuo, è lacerato da conflitti che mettono al centro l’identità religiosa. Cosa ne pensi?

È molto negativo. Ci dovrebbe essere rispetto reciproco. I cristiani sono diversi da noi perché credono che Gesù sia risorto, e perché aggiungono a Dio anche il Figlio e lo Spirito Santo; tutto qui. Se ci pensi, è nulla. In Siria abbiamo sempre vissuto mescolati, io stesso sono stato sul punto di sposare una cristiana, mio zio lo ha fatto a sua volta. Qui in Iraq è diverso, purtroppo. Tutti i cristiani sono confinati ad Ainkawa, e ci sono conflitti tra sciiti e sunniti. Io sono sunnita, so come il conflitto con gli sciiti duri da quattordici secoli, e per me molti aspetti del credo sciita (in particolare la tendenza all’autoflagellazione) sono assurdi; ma gli scontri tra musulmani dovrebbero finire, come sono finiti quelli tra cristiani.

In materia religiosa ci dovrebbe essere totale libertà, almeno fino a che non si danneggiano gli altri. Se esco per strada nudo, creo un problema; ma se esco con i pantaloni più o meno attillati, non faccio male a nessuno. Personalmente non apprezzo le donne che vanno al lavoro vestite come se andassero a una festa, ma è una loro scelta, così come quella di portare il velo; semmai credo che chi porta il velo debba coprirsi davvero, non usarlo come un articolo alla moda; ma se non lo vuole usare, non lo deve usare. Per questo credo anche che la Francia sbagli a vietare il velo nelle scuole, così come sbaglia la Siria a impedire ai cristiani di portare collane con il crocifisso durante il servizio militare. Sono tutte limitazioni sbagliate della libertà.

Hai toccato un argomento molto delicato: le donne e la loro libertà. Quando ti sposerai, permetterai a tua moglie di lavorare?

Sì, lo permetterò. Solo, non in posti come il mio supermercato: là gli uomini sono pazzi, non hanno rispetto; sono pronti a rivolgere la parola a una collega, senza curarsi se è sposata o no. In Siria non ci sarebbe questo problema, ma purtroppo qui in Iraq c’è troppa gente che non sa come comportarsi. Però ci sono «respect companies», aziende che si dotano di una propria etica aziendale e fanno più attenzione al rispetto che alle donne è dovuto sul luogo di lavoro. Dal momento che io rispetterò mia moglie, vorrò che lavori in una di queste aziende; ma è una sua scelta se lavorare o no.

Un’ultima domanda: cosa pensi di ciò che viene chiamato “Occidente”?

Penso che gli Stati Uniti, e soprattutto il Canada, l’Australia e la Nuova Zelanda, siano i posti dove sarebbe meglio emigrare, dove l’economia è migliore e c’è più reddito, più lavoro. L’Europa non è agli stessi livelli, sebbene magari sia più bella da vedere e abbia più storia. L’Italia e la Grecia, ad esempio, sono paesi dove non si vive bene, dove c’è crisi economica; questo è risaputo. Per questo tutti, se vanno in Europa, vogliono raggiungere la Danimarca, l’Olanda, la Svezia, l’Inghilterra.

Il problema è che c’è tanta ignoranza; così come da voi molti pensano che noi siamo tutti come Daesh (anche se ammetto che abbiamo delle responsabilità per questo), così qui la gente pensa che l’Europa sia il paradiso, ma non è vero. Bisognerebbe viaggiare, vedere di persona, non fidarsi delle televisioni. Questo è difficile. So che un giorno, forse, dovrò decidere di emigrare in Europa. Allora avrò grandi difficoltà.

Non hai paura di finire annegato in mare, come tanti migranti in questi mesi?

No, non ho paura. Se avrò scelta, eviterò di correre questo rischio; ma come sappiamo, a volte la scelta non c’è.

Dall’inviato di Radio Onda d’Urto e Infoaut a Erbil, Iraq

Ti è piaciuto questo articolo? Infoaut è un network indipendente che si basa sul lavoro volontario e militante di molte persone. Puoi darci una mano diffondendo i nostri articoli, approfondimenti e reportage ad un pubblico il più vasto possibile e supportarci iscrivendoti al nostro canale telegram, o seguendo le nostre pagine social di facebook, instagram e youtube.

pubblicato il in Conflitti Globalidi redazioneTag correlati:

kurdistanmigrantisiriaunione europea

Articoli correlati

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Appello alla mobilitazione in sostegno alla popolazione di Gaza ed alla resistenza palestinese

Ci appelliamo a tutt3 coloro che vogliono sostenere la resistenza del popolo palestinese per difendere una prospettiva universale di autodeterminazione, uguaglianza, equità e diritti.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Attacco iraniano a Israele: quali conseguenze per il Libano?

Lo Stato ebraico potrebbe intensificare la lotta contro Hezbollah, ma secondo gli esperti una guerra aperta sul territorio libanese è improbabile.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Paese Mapuche: il popolo mapuche convoca una marcia a Temuco contro un megaprogetto elettrico

Viene convocata anche per chiedere la fine della promulgazione e dell’applicazione di leggi che cercano di fronteggiare i genuini processi di rivendicazione territoriale che comunità e Pu lof portano avanti in attesa della ricostruzione e liberazione nazionale mapuche.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Federico II di Napoli: assemblea di massa in solidarietà con il popolo palestinese

Napoli venerdi 12 aprile, h 11.30. Dopo aver impedito al direttore di Repubblica Molinari di portare avanti la sua propaganda guerrafondaia, dopo aver occupato il rettorato, gli studenti della Federico II hanno costretto ad un tavolo il rettore Lorito.  L’aula Conforti della facoltà di Giurisprudenza è stracolma, parliamo almeno di 500 persone.  L’intervento d’apertura da […]

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Le elezioni USA: non solo uno scontro tra un “rimbambito” e un “delinquente”

Dopo il Super Tuesday del 5 marzo, la partita delle primarie presidenziali negli Stati Uniti si è chiusa con lo scontato risultato della vittoria di Biden da un lato e di Trump dall’altro, che quest’estate verranno incoronati quali candidati per la corsa del novembre 2024 nelle Conventions dei rispettivi partiti.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Messico: non ci sarà paesaggio dopo la trasformazione

In un recente comunicato, l’Assemblea Comunitaria di Puente Maderas, Municipio de San Blas Atempa, Oaxaca, intitolato significativamente “Non ci sarà paesaggio dopo la trasformazione”, ribadisce il suo rifiuto fondato e il suo impegno di resistenza alla megaopera del Corridoio Interoceanico dell’Istmo di Tehuantepec.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

L’obiettivo finale di Netanyahu e le ambizioni regionali dell’estrema destra israeliana

Gli eventi degli ultimi giorni suggeriscono che potremmo vedere prendere forma l’obiettivo finale di Israele. Gli obiettivi del governo di estrema destra di Netanyahu non si limitano a Gaza: vuole conquistare tutta la Palestina e iniziare una guerra anche con Hezbollah e l’Iran.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Napoli: cariche alla manifestazione contro il concerto “in onore” dei 75 anni della NATO. 10 gli attivisti feriti

Scontri e feriti alla manifestazione contro la Nato e le politiche di guerra, 10 i manifestanti feriti.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Sudamerica: crisi diplomatica dopo l’assalto della polizia ecuadoregna all’ambasciata del Messico a Quito.

Il presidente messicano Obrador ha annunciato la rottura delle relazioni diplomatiche con l’Ecuador, dopo che la polizia ha fatto irruzione nell’ambasciata messicana a Quito per arrestare l’ex vicepresidente Jorge Glas, legato all’ex presidente Correa, da tempo rifugiatosi in Europa.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Raid israeliano a Damasco: un quadro degli attori e delle strategie nel conflitto in Medio Oriente.

Proviamo a dare un quadro del clamoroso attacco dell’esercito israeliano contro la sede consolare iraniana nella città di Damasco (Siria), avvenuto lunedì 1 aprile, a cui ha fatto seguito l’attacco israeliano contro i convogli umanitari della WCK del 2 aprile.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Turchia: Erdogan tenta di delegittimare la vittoria di Dem nel sud-est del paese. Manifestazioni e scontri

Proseguono i tentativi del sultano Erdogan e del suo partito AKP di delegittimare i risultati espressi nel voto per le elezioni amministrative del fine settimana.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Uscita la legge europea sull’Intelligenza Artificiale: cosa va alle imprese e cosa ai lavoratori

Il 13 marzo 2024 è stato approvato l’Artificial Intelligence Act, la prima norma al mondo che fornisce una base giuridica complessiva sulle attività di produzione, sfruttamento e utilizzo dell’Intelligenza Artificiale.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

La crisi nel centro: la Germania nell’epoca dei torbidi. Intervista a Lorenzo Monfregola

La Germania, perno geopolitico d’Europa, epicentro industriale e capitalistico del continente, sta attraversando senza dubbio un passaggio di crisi.

Immagine di copertina per il post
Intersezionalità

Trieste: in Via Gioia uno spazio di accoglienza negato a due passi dal Silos

A Trieste, città di frontiera che non si riconosce tale, vogliamo mostrare che trovare uno spazio dove accogliere le persone migranti è possibile.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Il PKK è un’organizzazione terroristica?

Il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) e il suo cofondatore e leader di lunga data, Abdullah Öcalan, sono stati per molti anni nella lista dei terroristi degli Stati Uniti e dell’Unione Europea (UE).

Immagine di copertina per il post
Crisi Climatica

Lacrimogeni e cannoni ad acqua: la rabbia degli agricoltori si riversa sulle strade di Bruxelles

A Bruxelles, un migliaio di trattori ha bloccato il quartiere europeo a margine di una riunione dei ministri dell’Agricoltura dell’UE-27. Gli agricoltori hanno difeso un reddito equo, la fine del libero scambio e, in alcuni casi, le norme ambientali.

Immagine di copertina per il post
Divise & Potere

L’accusa si basa su testimoni compromessi – Il processo Iuventa si sgretola!

L’audizione ha contribuito a far emergere i secondi fini e la assoluta mancanza di credibilità dei testimoni su cui l’accusa ha costruito l’intero caso.

Immagine di copertina per il post
Culture

Contadini

La premessa: alla base di tutta la nostra vita c’è la produzione agricola.