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Catalogna: Torra é il nuovo President filo-Puigdemont, ma la governabilità rimane appesa a un filo

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L’ultima settimana è stata piena di risvolti importanti, figli di una lunga gestazione politica e forieri di nuovi passibili scenari in terra catalana.

Su indicazione dell’ex-President Carles Puigdemont, che attende il giudizio in Germania riguardo alla sua estradizione, il Parlament, tenuto sotto scacco dall’ applicazione forzosa dell’articolo 155 della Costituzione spagnola e dall’attività di ostruzione e repressiva degli apparati giudiziari dello stato iberico, si è giunti alla proclamazione di Quim Torra, per sbloccare una empasse che la maggioranza delle forze politiche in campo e buona parte della popolazione catalana hanno mal digerito.

Quim Torra, avvocato e scrittore, fido di Puigdemont ma non affiliato al PdeCat, è stato investito ieri come 131esimo President della Generalitar catalana. La classica cerimonia è stata sobria e contenuta più del previsto, a rimarcare il carattere di eccezionalità – negli ultimi mesi permanente – in cui essa si è tenuta. Come il predecessore in esilio, che promette di continuare a influenzare le decisioni prese nel Parlament, l’investitura e la promessa di fedeltà al popolo catalano ha visto l’assenza del quadro con il re borbonico alle spalle, così come assente era la bandiera spagnola.

L’avvento di Torra è avvenuto con i voti del partito dello stesso Puigdemont e di ERC, e con l’astensione della CUP che, dopo un acceso dibattito interno, ha optato per una soluzione che consentisse comunque l’eleggibilità di Torra, ma al contempo rimarcando una presa di distanza dalle opzioni scelte dalle altre due formazioni catalaniste, ritenute da una parte del piccolo partito anticapitalista tendenti all’autonomismo anziché alla realizzazione concreta di repubblica sottoforma di stato indipendente. CUP che si ritrova con numerosi suoi esponenti coinvolti in alterchi giudiziari e mandati di arresto per le forme di mobilitazione e protesta popolare messe in campo a partire dallo sciopero politico dell’ 8 Novembre scorso.

Mentre imperversano le polemiche sulla figura del neo-president (a partire da tweet decisamente provocatori sulla Spagna e la sua popolazione di quattro anni fa), dipinto dai media generalisti come un efferato nazionalista, (stessi media che giustificano i rigurgiti della destra ultra-xenofoba spagnola), in un cortocircuito comunicativo che continua dal settembre dell’anno scorso, si evidenzia la remissività di un Rajoy decisamente in guardinga rispetto alla belligeranza verbale e non solo degli ultimi mesi, e che si ritrova in casa lo scandalo che ha travolto la dimissionaria rappresentante del suo partito a Madrid. Cristina Cifuentes, come gatta da pelare.

Torra apre la sua investitura con un programma decisamente altezzoso su più punti e che tenta di ammiccare alle fasce lavoratrici e in difficoltà che nella dialettica di scontro tra stato centrale e independentismo hanno preferito seguire – soprattutto nel grande agglomerato urbano di Barcellona – le acclamazioni populiste di Ciudadanos nell’ultima tornata elettorale.

In realtà, rispetto ai dati delle urne imposte da Rajoy il 21 Dicembre scorso per normalizzare la crisi catalana, e con il blocco spagnolo a qualsiasi tentativo di formazione di un governo indipendentista, quest’ultima opzione avrebbe continuato a guadagnare terreno. Complice la reiterazione nell’applicare il 155 (che ha sancito la destituzione dello status di autonomia effettiva) e la repressione imperante su più livelli, (sia contro figure istituzionali che le forme di organizzazione e mobilitazione dal basso), che hanno reso maggiormente inviso il blocco filo-monarchico e il partito socialista a molti più catalani rispetto all’ inizio dell’inverno trascorso.

L’investitura di Torra scongiura per ora la possibilità di ritorno a elezioni entro due mesi, ma la partita per la governabilità della Catalogna resta tutta aperta. Da una parte, l’Esecutivo di Madrid rivendica il controllo diretto delle finanze della Comunità pirenaica per il fatto di averlo decretato antecedemente all’applicazione dell’articolo 155, che è giunta (formalmente) al capolinea con la presa in atto della formazione del nuovo Govern.

D’altra parte però resta la spada di Damocle su eventuali scelte che il Parlament catalano potrebbe fare: se si intravvedono nuovi passaggi atti a reiterare posizioni filo-indipendentiste, e strutturare la formazione di una nuova Repubblica, l’articolo 155 potrebbe tornare in campo.

A farne richiesta esplicita di utilizzo e di estensione ulteriore è Albert Rivera, leader di Ciudadanos, che incalza peraltro Rajoy nel tentativo di erodergli ancora terreno e travasare voti e consensi verso la sua formazione.

Quello che è sicuro è che ad ora permangono molti, moltissimi fattori destabilizzanti per una effettiva e piena governabilità della Catalogna. Un grosso capitolo riguarderà ciò che sentenzierà la magistratura tedesca nei riguardi della figura di Puigdemont; se, come si presume, il mandato di cattura europeo emesso dalla Spagna cadrà di effettività se coniugato, oltre a difetti formali, col sancire l’inconsistenza del reato di ribellione, la minaccia ritorsiva di una applicabilità del 155 potrebbe attenuarsi e non di poco.. Si potrebbe dare in tal modo un altro colpo al castello giudiziario e repressivo montato in primis dal giudice Pablo Llarena, membro del Tribunale Supremo spagnolo e profondo conoscitore nonchè esso stesso attore schierato della storia catalana recente.

Nell’esacerbazione di un conflitto che investe tutti i campi della riproduzione sociale, non si fermano gli arresti, quasi a livello giornaliero, ai danni di attivisti che hanno avuto protagonismo nei blocchi dell’ autunno e della primavera in corso.

La campagna elettorale per le elezioni cittadine di Barcellona segnerà indubbiamente un altro passaggio molto delicato, oltre che per i due blocchi contrapposti, anche per Catalunya en Comù che ultimamente ha riguadagnato consensi sia per l’attuazione di alcune politiche sociali dettate dalla Giunta Colau nella sua città, sia per la vicinanza espressa alle sinistre indipendentiste nel voler fare fronte comune contro la repressione e per la liberazione dei prigionieri politici che da mesi si trovano nelle carceri madrilene.

 

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