..Jusqu’ici tout va bien
Appunti e direzioni nel terzo anno della crisi globale
“Ca ne peut qu’aller mieux alors j’attends la fin de leur monde…”IAM – La Fin de leur Monde
tratto da Univ-Aut.org
Complesso ed entusiasmante l’anno che si apre.
Da un lato è difficile lasciare le immagini e le sensazioni delle intense settimane di lotta a Bologna e della grande rivolta di Roma del 14 Dicembre. Dall’altro c’è la grande tensione alla continuità, non scontata e tutta da immaginare e costruire, che da quel periodo appena trascorso si può riprodurre.Sicuramente la potente energia che ha innervato le mobilitazioni autunnali non nasce dal nulla, anche se per molti è parsa inaspettata. Possiamo iniziare a parlare di ciclo di lotte.
Difficile infatti non collegarsi all’Onda che nel 2008 aveva, dopo tanti anni di siccità di movimento, inondato nuovamente i territori con forme e linguaggi contraddittori e ambivalenti ma sicuramente in grado di portare ossigeno ad una prospettiva di cambiamento sociale che si faceva sempre più asfittica, in Italia e non solo.
Difficile non leggere nella trama della crisi e della precarietà come paradigma unificante un elemento scatenante della rabbia, della voglia di protagonismo e trasformazione, delle determinazione delle lotte.
Altro elemento qualificante, quella “Europe calling” che ha riprodotto una virtuosa circolarità dei conflitti: non sarebbe stato possibile pensare Roma senza la mobilitazione a Londra, questa senza lo sciopero generalizzato che ha paralizzato la Francia, questo senza la rivolta di Atene. Europeo il piano di austerity, europeo il piano delle lotte.
Un elemento unificante, fra i tanti, pare essere stato quello, simbolico ma non solo, di una nuova geometricità del punto di visto: dopo anni di retoriche sull’orizzontalismo e sullo stare “in basso”, i movimenti hanno cominciato a riappropriarsi di una verticalità (intesa come capacità di imporre decisione e di un nesso propulsivo tra lotta e organizzazione) e di una capacità di guardare dall’alto e verso il futuro: nelle occupazioni del Pantheon ateniese, della torre dei neoliberisti londinesi, della torre pisana, si è invertito un piano in maniera forse irreversibile.
Questo spettro rivoltoso che si aggira sta contagiando ed estendendosi fin oltre i confini assassini della Fortezza Europa: la sommossa algerina e la rivoluzione tunisina danno il segno della popagazione anche mediterranea di questo spirito, iniziando a delineare finalmente lo spazio che appartiene ai movimenti contemporanei, quello globale. Contro le retoriche della stampa italiana, che dipingono queste rivolte post-coloniali come “rivolte del pane” per sminuirne il contenuto politico, basti riportare una frase che gira sui blog: “Non stiamo facendo la rivoluzione per un pò di zucchero, e 100 di noi non sono morti per youtube. Noi vogliamo la libertà fino alla vittoria”.
Torniamo sul piano locale. La saldatura fra la prorompente iniziativa soggettiva degli studenti medi con gli universitari ha fornito la dimensione generazionale di una composizione compiutamente precaria nei tempi e spazi di vita, nelle prospettive di esistenza e nel vissuto quotidiano.
Non è un caso che la conflittualità espressa in tutta Italia con blocchi di autostrade, porti aereoporti strade e stazioni, abbia avuto il profilo cosciente dello sciopero dei precari nella sua forma contemporanea. Una battaglia, quella del mondo della formazione, capace di ottenere consenso nel far schierare, prendere posizione: di qua o di là.
Bloccare i flussi di merci e l’ingranaggio produttivo delle moderne città, fare male alla controparte. Non sottrarsi allo scontro, guardare negli occhi il nemico. Vivere il sapere e la cultura come terreni non neutri, di battaglia. Il libro come arma, una ricerca collettiva, intelligente e ostinata, per rompere il quadro ed aprire un nuovo campo di possibilità. La capacità di costruire spazi politici aperti ed accoglienti per tante altre soggettività. La rabbia liberogena, la voglia di esistenza che non sia macchinica riproduzione e di riappropriazione dei beni comuni, la velocità del muoversi liberi nelle metropoli come corpi collettivi, l’urgenza dell’obiettivo, l’espressione di antagonismo, l’iventarsi e praticare forme di agire e di contare veramente..
Tanti gli elementi caratterizzanti della mobilitazione che fanno pensare alla possibile aperture di nuove ondate di lotte.Concludendo su questo aspetto, da rimarcare la naturalezza con cui il movimento si sia espresso in autonomia. L’approfondirsi della crisi della rappresentanza e delle istituzioni (nella loro incapacità di formulare scenari in cui la crisi prodotta dalla voracità finanziaria non parli solo di tagli, riduzione dei diritti e del reddito) ha scavato nelle coscienze, quello che pare sempre più come un ancient régime è messo in discussione nella sua complessività. Emblematico in proposito uno degli slogan simbolo della mobilitazione: “Que se vayan todos!”. Le illusorie scorciatoie legalitariste, giustizialiste, girlline o da popolo viola sono scomparse con la velocità della luce, fortunatamente.Continuare sulla direzione del radicamento nei territori, l’importanza di imprimere nuove accelerazioni, la strada dell’incompatibilità, rimangono sicuramente elementi essenziali per costruire una continuità possibile. La difesa da possibili recuperi istituzionali del conflitto e far risuonare quell’antica e bellissima frase degli wobblies di inzio ‘900, quel “Noi saremo tutto!” che indica la fierezza di una battaglia in uno spazio politico autonomo.Tuttavia è necessario evidenziare come, nella fluidità, incertezza e continua tensione del periodo che stiamo attraversando, le coordinate del mondo sociale sono sicuramente mutate nelle ultime settimane, o vanno quantomeno aggiornate.
Nell’Italia degli ultimi mesi permangono due macroconflitti per evidenza. Senza scordare il terreno migrante, le lotte territoriali (da Terzigno alla Val Susa) e tutti gli altri conflitti che quotidianamente compongono la società, il mondo della formazione e quello del lavoro “fordista” sono quelli che più stanno informando lo scenario.
La santa alleanza Marchionne-Gelmini parla del tentativo di imporre un rapporto di forza per uscire dalla crisi con un impoverimento generalizzato, austerità come nuovo ordine sociale, delega alla gestione della società al capitalismo sempre più parassitario e distruttivo.Per studenti e metalmeccanici c’è un obiettivo comune immediato: come non far passare sul campo il ddl Gelmini e il progetto Marchionne. A partire dalla loro recente “approvazione”, il sabotaggio della riforma e del piano della multinazionale Fiat-Chrysler si delinea come una tattica di “guerriglia” dentro e contro le fabbriche (del sapere e della produzione materiale).La necessità tuttavia è quella di guardare però oltre sé stessi, di inserirsi e costruire una più generale strategia.
Bisogna “uscire” dalle università e dalle fabbriche verso l’insieme del rapporto sociale. Non riproposizioni di “studenti e operai uniti nella lotta”, né fare del tema dell’unità elemento ideologico o di strategie di gruppi politici, quanto osare mettere in luce la costruzione di un soggetto nuovo, composito. Che lega insieme lavoro vivo materiale e immateriale, produzione e riproduzione, contrapposizione e creazione di autonomia. Che genera consenso non nonostante, ma grazie alla sua capacità di radicalità molteplice e incisiva. Creare e sviluppare percorsi ricompositivi nel terreno dell’antagonismo alla crisi.Sulle prospettive di breve-medio periodo la tappa dello sciopero convocato dalla Fiom e assunto da molte organizzazioni politiche e del sindacalismo di base, vedrà le sue possibilità di riuscita sull’elemento della generalizzazione e del rilancio.Senza addentrarsi nelle miserie interne al dibattito della Cgil né commentare l’imbarazzante nuova segretaria Camusso, senza nemmeno prendere in considerazione lo schifo che proviene delle cricche istituzional-mafiose/mafiose-istituzionali nei palazzi (Opposizione? Dove?) lo sciopero generale e generalizzato rimane una delle direttive principali da perseguire.L’emergenza di questo soggetto sociale alla ricerca di nuove strade ricompositive, produttivo di una soggettivazione di classe, consapevole del proprio essere precario e urgente di trasformare, è la più bella novità con la quale affrontare questo 2011.
Questo articolo comparirà nel prossimo numero della non-rivista Anomalia, in uscita il 24 gennaio prossimo nelle facoltà!
Stay tuned!
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