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ODIARE LA PALESTINA*. Sionismo e rimozione

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Riceviamo e pubblichiamo volentieri questa traduzione di un testo sul dibattito in Francia riguardo la questione palestinese apparso su Lundi Matin

 

Di Mabny Lil-Majhoul

Traduzione e riadattazione di S.J.

Year after year

L’uccisione della giornalista di Al-Jazeera Shirin Abu Aqleh da parte delle forze di occupazione israeliane a Jenin mercoledì 11 maggio 2022 ha dato alla questione palestinese la sua piccola finestrella di visibilità annuale nel Nord del Mondo. Così va la vita.

Nel 2021 era stato il sanguinoso episodio causato dalla tentata occupazione del quartiere di Sheikh Jarrah da parte dellз colonз ebreз e dalle provocazioni della polizia nella moschea di Al-Aqsa. Nel 2020 fu il tragicomico piano Trump e la normalizzazione delle monarchie e degli emirati arabi corrotti con Israele. Nel 2018 l’arresto di Ahed Tamimi. Ahed, sì, è palestinese, ma bionda e senza velo. Tanto basta per seminare dissonanze cognitive nel Nord del Mondo, che freme di un’emozione fugace ma sincera per questa giovane ragazza che meriterebbe di essere ucraina. E così potremmo tornare indietro, anno dopo anno, al 2000, o al 1987, o al 1973, o al 1967, o al 1948. Così, purtroppo, va la vita.

Ogni anno, quindi, per pochi giorni, o al massimo per qualche settimana, si chiacchiera. In Francia, lз sionistз sionizzano, violentemente o moderatamente, come la coorte dellз intercambiabili sostenitorз della soluzione pacifica. Le marce per la Palestina passano attraverso il rilevatore degli Allah-akbar. O sono soppresse. O proibite. Le persone bianche, esseri pacifici per eccellenza, sono ovviamente rattristatз dall'”impennata” del “conflitto in Medio Oriente”, necessariamente incomprensibile, certamente estraneo alla loro storia. Tuttavia, sono preoccupatз per il rischio che questo conflitto venga importato nella loro piccola vita di bianchз del tardo capitalismo, ad esempio attraverso manifestazioni in quei quartieri popolari dove ci sono già troppз arabз anche in tempi normali. Il “conflitto mediorientale” è vicino ovviamente, ma dovrebbe restare comunque in Oriente. Lo dice il suo nome.

Così va la vita.

Palestina introvabile

Poco più di un anno fa, durante la precedente puntata di questa affascinante serie, che si potrebbe intitolare “Perché tanto odio?”, il settimanale francese Lundi Matin ha pubblicato un testo intitolato “Pensare la Palestina”1. È stato presentato come un articolo potenzialmente controverso, ma di natura tale da “consentire la riflessione”. E questo perché era firmato Stéphane Zagdanski, scrittore dotato sicuramente di una vasta conoscenza. Questa grande grande conoscenza si esprime in questo testo attraverso un accumulo di idee generali, formulate in frasi a volte prodotte dal genio dell’autore stesso, a volte prese in prestito da destra e manca: da Kafka, dallo storico sionista Walter Laqueur, dal quotidiano Libération….

Le frasi stupide e condiscendenti (“Antisionisti, imparate a pensare”) scritte da Stéphane Zagdanski non mi interessano in quanto tali. Nonostante la sua arroganza, il suo culto infantile dei grandi autori, sui quali non si sarà probabilmente mai domandato in tutta la sua vita chi li ha incoronati tali e perché, dei suoi scritti pietosi e degradanti sull’«Africa», su «i Neri» e soprattutto «le Nere”2, Stéphane Zagdanski si mostra talvolta capace di profonde riflessioni. Il suo lavoro sui testi sacri dell’ebraismo e il suo misticismo costituisce un’introduzione onesta e originale per lз profanз in materia3.

Se perdo tempo a delucidare qui la sua deplorevole prosa, è per due ragioni. Primo, perché Lunedi Matin è meglio di questo straccio. Secondo, perché il testo si chiama “Pensare la Palestina” e si distingue dall’inizio alla fine per l’omissione sintomatica di un dettaglio. Questo dettaglio si chiama Palestina, cioè niente di meno che il tema che l’autore si era assegnato. Stéphane Zagdanski, su questo argomento non fa altro che esprimere, in modo esemplare anche se inconsapevole, ciò che fonda l’ideologia sionista: la rimozione. Il postulato fondamentale del sionismo è questo: la Palestina non esiste. Interessante.

Neoliberismo in Israele, rapporto tra misticismo ebraico e capitalismo: in questo testo si susseguono tante digressioni emozionanti. La loro unica colpa è di non avere nulla a che fare con nemmeno l’inizio di un pensiero sulla Palestina. Stéphane Zagdanski divaga anche sullo status del significante “ebreo” in Alain Badiou e sul presunto antisionismo endemico nello star system e nel mondo accademico francese. Questi problemi, di sicuro, affascinano palestinesi e israelianз fino all’insonnia e aiutano molto a far luce sulla loro relazione. Chi non ha sentito l’insopportabile grido di “Badiou Akbar” risuonare sulla spianata delle Moschee e suscitare rabbia e paura lungo il Muro del Pianto? La chiave di Sheikh Jarrah? All’Ecole Normale Supérieure di Parigi, compagnз!

E la Palestina, Zagdanski? Naturalmente, nel testo a volte compare la parola. Quando è dell’autore, è tra virgolette: “la ‘Palestina’ ottomana”. Franz Kafka, ridipinto come il poliziotto buono del sionismo a suon di citazioni, le omette: “Ci sono sempre più ebrei che tornano in Palestina”. Certamente Kafka o ha torto o le ha dimenticate. Il testo sacro degli ottomani, la Torah, lo dice chiaramente, Esodo XXIII, 31: וְשַׁתִּי ֶת-גְּבֻלְךָ, מִיַּם-וּף וְעַד -ok פְּלִשְׁתִּים וּמִמִּדְבָּר עַד-הַנָּהָר (“Posizionerò il tuo confine dal Mar Rosso al mare dei Pelishtîm, dal deserto al fiume”). Così stabilita l’origine allogenica del vocabolo “Palestina”, comprendiamo la pertinenza delle virgolette. Non sapremo nient’altro su questo vocabolo. Nulla di ciò che potrebbe aver significato nell’età del ferro, al tempo delle tribù, dei regni di Israele e di Giuda, sotto Babilonia, sotto gli Achemenidi, sotto i Parti e i Greci, sotto i principi Asmonei, sotto i Romani e i Bizantini, sotto gli Arabi e i Crociati. Nemmeno sotto Mahmoud Abbas. Inutile. Perché tutto ciò è storia, e la nostra guida ci avverte fin dall’inizio: la storia non esiste. Almeno non prima che gli ottomani inventassero la “Palestina”.

 

Incomparabile

Sullз palestinesi è un po’ più eloquente. Zagdanski riconosce il loro status di “popolazione”. Come ogni popolazione indigena, queste persone sono dotate di aspirazioni confuse e misteriose: “Nessuno sa cosa voglia veramente la popolazione palestinese, che non ha voce e non ha mai avuto voce in capitolo”. Ricordiamoci che in Francia, settima potenza mondiale, gli ottimi apparecchi acustici sono a disposizione di tuttз e (pessimamente) coperti dalla previdenza sociale. Forse permetterebbero alla nostra guida di ascoltare ciò che la stragrande maggioranza dellз palestinesi nei territori del 1948, della Cisgiordania, di Gaza e della diaspora ha espresso come desiderio dalla Nakba e persino da prima: il diritto alla propria terra e il controllo sul proprio destino collettivo.

Il guaio è che lз palestinesi formano una popolazione come le altre. Une popolazione qualsiasi. È questa la differenza tra loro e il popolo ebraico: “Il popolo ebraico, per la sua storia, per il suo ruolo libresco e metafisico nella costituzione spirituale dell’Occidente cristiano e dell’Oriente musulmano è incomparabile con un altro popolo di queste due immense regioni del mondo”. Vorrei soffermarmi su questa frase e darle il beneficio del dubbio.

Il termine “incomparabile” porta in sé una velenosa ambiguità. Secondo il dizionario Larousse, esso può designare “ciò che è molto diverso, ciò che non può essere paragonato”. Da questo punto di vista, coloro che sono comunemente chiamatз ebreз (non mi soffermo qui sulla parola “popolo” per brevità) possiedono indubbiamente da un lato un genio proprio, dall’altro un’impronta particolare sulle due ” vaste regioni” in questione, per la loro diffusione nel Mediterraneo e oltre. Queste qualità molto pregevoli sono loro inalienabili, come lo sono le qualità peculiari di qualsiasi altro gruppo umano in queste e in qualsiasi altra regione. Esempio casuale: lз palestinesi.

Pertanto, se è in questo senso che Zagdanski usa il termine, il suo argomento è corretto ma senza molto interesse e un po’ sciocco. Nasconde con ogni probabilità la sua ignoranza quasi totale sulle culture turca, curda, armena, araba, amazigh o egiziana, così come quelle dei Balcani, della Bulgaria, del Mar Nero, dell’Iran o dell’Afghanistan. Questa ignoranza non è un crimine. Non è nient’altro che una banalità, e un impensato.

La seconda definizione di “incomparabile” è la seguente, e sottolineo: “che prevale per le sue qualità, che non può essere eguagliato”. Se consideriamo questo significato, l’affermazione che stiamo commentando è un’affermazione suprematista. Per evitare ogni processo alle intenzioni, ecco la definizione che questo stesso dizionario dà del termine suprematismo. “Nome maschile (da supremazia): Ideologia che postula la superiorità di un popolo o di una civiltà su tutte le altre, e ne legittima così le aspirazioni egemoniche”. Letteralmente, difendere lo Stato di Israele e le sue politiche coloniali a nome dell’incomparabilità dellз ebreз rientra in questa definizione.

Sionistз, imparate a pensare voi stessз.

Morte in Palestina

Zagdanski riconosce una seconda caratteristica dellз palestinesi: la loro tendenza a morire in gran numero sotto i colpi dell’esercito israeliano. E qui, è l’argomentazione di Godwin che gli funge da scusa: tutte le guerre causano morti, e i giovani palestinesi “reclutati da Hamas” sono come gli adolescenti tedeschi reclutati dal nazismo: vittime innocenti, ma al servizio di una causa ingiusta. Qui occorrerà anzitutto ricordare a Stéphane Zagdanski che, a differenza delle truppe fanatiche della Hitler Jungend, gli adolescenti palestinesi armati non servono a nessun progetto di egemonia mondiale, di asservimento dei loro vicini o di conquista di uno spazio vitale fantasticato come quello della loro razza. Sono, né più né meno, i discendenti degli abitanti che si trovavano nel territorio dell’attuale Stato di Israele prima della sua creazione, che popolavano, ad esempio, i 418 villaggi distrutti nel 1948, o l’area chiamata Cisgiordania, ora controllata al 60% da Israele e divorata giorno dopo giorno da coloni fanatici e ultraviolenti, o i tre quarti di al-Quds/ Gerusalemme lз cui ultimз abitanti palestinesi, nella zona orientale, sono vessatз giorno e notte dallз loro vicinз predatorз.

Poiché Stéphane Zagdanski preferisce le storie alla Storia, eccone una. Si svolge nella città vecchia di al-Quds/Gerusalemme, il 16 maggio 2022, dove stavo cenando con una persona cara. Siamo all’indomani del funerale di Shirine Abou Aqleh, dove il mondo intero ha potuto vedere la polizia israeliana attaccare non solo il corteo venuto ad accompagnare la giornalista ed esprimerle la propria gratitudine, ma la stessa bara. Quel giorno, un’altra bara venne restituita dalle autorità israeliane. Il corpo in questa bara non è quello di una giornalista cristiana di fama mondiale, ma di un uomo di 23 anni il cui nome è Walid Al Sharif. Come uomo e come musulmano, non interessa alla stampa del Nord del Mondo. Tre giorni prima era morto per le ferite inflittegli dall’esercito israeliano il 22 aprile sulla Spianata delle Moschee. Quel giorno, Walid lanciò pietre contro il vicino Muro del Pianto, in risposta alle intrusioni israeliane che violano lo status quo nei luoghi santi della città. Secondo la stampa israeliana, è morto per un infarto e le immagini della rivolta del 22 aprile confermano che non ci sono stati colpi di arma da fuoco contro di lui. Queste immagini, ovviamente, sono introvabili su internet.

Le autorità israeliane hanno trattenuto il corpo di Walid per tre giorni dopo la sua morte, hanno cercato di forzare la mano della sua famiglia per costringerla a eseguire un’autopsia contro la sua volontà e di imporre un funerale nel cuore della notte per evitare che la gente vi si rendesse. Alla fine, il funerale è previsto per le 19:00. La folla dellз palestinesi di Gerusalemme Est radunata a Bab Al-Asbat cantava: “Nell’anima e nel corpo ci sacrifichiamo per te Walid”. Siamo a 15 metri da questa folla. Alle 19:05, gli spari cominciano a rimbombare, esplodono dei gas lacrimogeni e delle granate assordanti, il movimento di una folla comincia a formarsi nei vicoli che separano Bab al-Asbat da Bab al-Sahra. Lз soldatз israelianз pesantemente armatз corrono dietro agli adolescenti. Decine di ragazzi e giovani arrivano da Bab al-Sahra, superandoci per raggiungere la scena dello scontro che stava cominciando. Ne vedo passare uno, 16 anni al massimo. La ferita nell’occhio gli ha bruciato la pelle e gliela fa penzolare dalla guancia. Eppure, pur così giovane com’è, pur così sfigurato e ferito com’è, scende verso Bab al-Asbat dove risuonano gli spari, con passo sicuro e calmo. È Hamas che gli ha distrutto la faccia? È la “propaganda antisemita” proveniente da Gaza che rende questo ragazzo una preda consenziente e la sua carne il possibile cibo per un nuovo proiettile? No, Stephane Zagdanski. Ciò che spinge questi giovani a morire è lo Stato di Israele e le sue politiche devastanti. Per tutta la notte risuonano spari e scie luminose striano il cielo di al-Quds. Ci rifugiamo in un caffè sul Monte degli Ulivi, che domina il centro storico. Da qui, tutti guardano lo spettacolo con nervosismo ma senza sorpresa. A Gerusalemme Est, questo non è chiamato una scena di guerra o uno spettacolo di morte, ma un lunedì sera.

 

Ciò che sfugge a personaggi simili a Zagdanski, che mangiano a sazietà e dormono pacificamente dopo aver sputato fuori il loro odio, è che le loro vite, qualunque cosa affermino, non sono in discussione. È facile qualificare il martirio palestinese come nichilismo quando non sappiamo cosa significhi vivere sotto un’occupazione iniqua, crudele e schiacciante, soprattutto grazie ai mezzi tecnici e militari che l’Occidente le ha unanimemente fornito e continua a fornirle per farla prosperare. Morire perché cessi questo tipo di vita è offrire la propria vita alla vita stessa. Zagdanski e i suoi amici, che affermano di aver meditato sul destino del popolo ebraico meglio di chiunque altro, e di aver appreso tutte le lezioni dello spaventoso genocidio subito dallз ebreз d’Europa nel XX secolo, dovrebbero saperlo meglio di chiunque altro. E poiché questa cricca è interessata solo alle altre culture per folclorizzarle, e non sa leggere, ecco cosa ha da dire a riguardo il più famoso dellз innumerevoli poetз palestinesi (lo sottolineo):

C’è su questa terra ciò che merita di vivere:

le esitazioni di aprile,

il profumo del pane all’alba,

le opinioni di una donna sugli uomini,

gli scritti di Eschilo,

gli inizi di un amore,

l’erba sui sassi,

le madri in piedi sul filo di un flauto

e la memoria che impaurisce gli invasori.

C’è su questa terra ciò che merita di vivere:

la fine di settembre,

una donna sulla quarantina nel pieno della propria grazia,

l’ora d’aria in prigione,

una nuvola che imita uno sciame di creature,

i canti di un popolo per coloro che muoiono sorridendo

e la paura che hanno i tiranni delle canzoni.

C’è su questa terra ciò che merita di vivere:

c’è su questa terra l’inizio degli inizi,

la fine delle fini,

Si chiamava Palestina, si chiama Palestina.

Signora me lo merito, e perché voi siete la mia signora, io merito di vivere.

 

È la speranza di questa vita perfettamente meritata che crea lз martiri.

Il fatto coloniale

Ho fino a qui parlato del carattere coloniale dell’ideologia sionista come di una cosa ovvia. Ovviamente, per alcunз non basta constatare la presenza di 480.000 colonз in Cisgiordania, né l’annessione delle alture del Golan, territorio siriano, per porsi la minima domanda. Al solo scopo di sbarazzarcene, quindi, ecco qualche lettura: “Per l’Europa, formeremo lì un elemento del muro contro l’Asia, nonché l’avamposto della civiltà contro la barbarie”. Questa frase è forse dovuta al generale Gouraud, amministratore del mandato francese in Siria e Libano all’inizio del XX secolo? A Herbert Samuel, amministratore britannico della Palestina mandataria? No. Questa frase è di Theodor Herzl, ne Lo stato degli Ebrei4. All’indomani del secondo Congresso Sionista di Londra, fu creata una banca per raccogliere i capitali necessari alla formazione di questo avamposto di civiltà. Il suo nome: Jewish Colonial Trust5.

Mettere in discussione il carattere coloniale del progetto sionista fin dalla sua origine è quindi una pura e semplice menzogna, e va contro i testi fondativi del progetto stesso, che sono in linea con la retorica europea della missione civilizzatrice. È stato per cinico calcolo, quando è iniziata la grande ondata di decolonizzazione negli anni ’30 e ’40 ed suonava male assumere questa posizione di fronte all’opinione pubblica internazionale, che il movimento sionista, che nel frattempo aveva già avuto mezzo secolo per stabilirsi nel territorio agognato con la complicità degli inglesi, ridipinge la sua impresa coloniale come una guerra d’indipendenza6.

Qui Zagdanski è molto furbo. Mettendo in gioco la distinzione del tutto rilevante tra lo Stato di Israele, frutto di questo progetto di colonizzazione rivendicato dai suoi pensatori e attorз, e Israele in quanto simbolo religioso centrale nell’immaginazione dellз ebreз su tutte le latitudini dalla scomparsa dei regni ebraici nel sud-ovest asiatico, tenta un notevole colpo di stato retorico a cui sarebbe difficile ribattere per moltз di coloro vagamente interessatз alla questione. Chi, infatti, può negare la formula rituale “l’anno prossimo a Gerusalemme”, la presenza costante di comunità ebraiche in questa terra, “il posto centrale occupato da Sion nei pensieri, nelle preghiere e nei sogni degli ebrei della diaspora»? Nessuno può farlo, salvo a essere disonestз.

Il guaio è che questo fatto, che merita di essere riconosciuto e rispettato, ancora una volta non è in alcun modo incomparabile ad altri, senza fare qui una stretta equivalenza ovviamente. Prendiamo l’esempio delle popolazioni di fede musulmana in Nord Africa, nei Bilâd al-Shâm e in Iraq, nel Golfo, in Iran, in Asia centrale, in Indonesia, in Cina. Al-Quds è ugualmente parte dei loro sogni, delle loro speranze e dei loro simboli. Per secoli il pellegrinaggio alla Mecca e a Medina è stato considerato incompleto senza una visita alla Spianata delle Moschee, luogo descritto come il punto di partenza dell’ascensione celeste del profeta Mohammad. Non sarebbero dunque queste persone, in virtù della loro islamicità e secondo i vostri criteri, tanto giustificate nel pianificare l’insediamento di una colonia in Palestina come lз ebreз di Polonia, Austria, Russia o del Mar Baltico? È accettabile che la situazione che prevale dal 1948 privi la stragrande maggioranza dellз musulmanз di tale pellegrinaggio? E la distruzione da parte di Israele, nel 1967, del quartiere dove viveva le comunità magrebine di Al-Quds/Gerusalemme (Hayy al-Maghâriba), installate generazione dopo generazione vicino al loro luogo santo, dove ora si trova la spianata che confina con il Muro del Pianto (Kotel)? Non è tutto ciò tanto riprovevole quanto il presunto proposito palestinese, che nessuno statuto di nessuna organizzazione politica propome, di gettare tuttз lз ebreз in mare? Insomma: chi state prendendo in giro esattamente? E chi nega chi?

 

Chi sono lз sionistз?

La triade popolo-stato-nazione è un assemblaggio concettuale europeo del XIX secolo. La sua esacerbazione è concomitante alla selvaggia impresa coloniale e costituisce l’origine dei due conflitti mondiali del XX secolo. Questa esacerbazione è quindi una delle cause indirette dell’Olocausto. Il movimento sionista, da Herzl a Netanyahu, nasce come tipico nazionalismo della Mitteleuropa intorno al 1848, e ne fa parte in maniera sostanziale. La “monumentale storia del sionismo di Walter Laqueur”, come dice il nostro caro maestro di pensiero, tratta solo dellз ebreз d’Europa (e ancora ancora, si dovrebbe dire: di un gruppo molto minoritario di ebreз d’Europa) nei capitoli che riguardano l’emergere di questo movimento. E per una buona ragione: il sionismo non è nato in Yemen, Iran o Marocco, per citare solo tre dei paesi in cui la presenza dell’ebraismo è stata a lungo particolarmente vivace.

Dov’erano lз ebreз di queste terre intorno al 1850? A casa, tranquillз, senza programmare la colonizzazione di una terra e la deportazione dellз suз abitanti. Vivevano come tutte le minoranze sotto il colonialismo francese o britannico, sotto i sultanati islamici arabi o meno Non, come crede Zagdanski, sotto il giogo di un’entità astratta chiamata “antisemitismo musulmano”, perché ci sono solo musulmanз, oppressorз e oppressз, ricchз e poverз, che vivono in un preciso luogo e in un preciso momento. Lo statuto di minoranza dellз ebreз è stato accompagnato, come del resto sempre e ovunque, da razzismo e condivisione, da vessazioni e inclusione. Come tutte le minoranze, sempre e ovunque, sono state inferiorizzate o usate, lese o rispettate, massacrate o valorizzate, a seconda delle circostanze, e comunque discriminate di diritto e di fatto. È questa discriminazione che ha reso l’offerta sionista attraente per queste popolazioni. Quest’offerta è stata promossa dall’Alleanza Israelitica Universale, un’entità nata in Francia e sostenuta da istituzioni francesi fin troppo felici di trovare in essa il modo per dividere le diverse popolazioni delle società indigene. Un centinaio di scuole, da Tetouan a Izmir, prepararono il terreno all’esodo.

Un difensore d’Israele che si permette di dare schiaffi intellettuali a coloro che si discostano dalla sua dottrina dovrebbe anche prima informarsi su ciò che è successo a quellз ebreз che non hanno avuto la fortuna di essere hertzlianз, e scoprire che dopo essere statз ignobilmente espulsз da tutti i paesi del mondo arabo dalla fine degli anni ’40, lз ebreз del Nordafrica e del Medio Oriente hanno dovuto subire al loro arrivo in Israele discriminazioni la cui ignominia è perfettamente paragonabile a quella da cui erano appena fuggitз: internamento, aspersione al DDT, rapimento istituzionalizzato dellз loro figliз,  sfruttamento a basso costo, ingiurie pubbliche da parte delle maggiori autorità del Paese…

L’HaPanterim HaSh’horim, movimento delle Pantere Nere d’Israele fondato nel 1971, costituisce una reazione interessante e significativa a queste discriminazioni sistemiche e istituzionalizzate, per le quali Israele non si distingue dagli altri stati-nazione7. Fino ad oggi, coloro che in Israele vengono chiamatз mizrahim vivono per buona parte una vita di subordinati, il che non impedisce loro di partecipare con entusiasmo alla colonizzazione della Cisgiordania, incoraggiatз dalla destra israeliana che si è posta da molto tempo e in modo assolutamente cinico come loro protettore, dal carnefice Begin al famigerato Bennett.

È quindi questo gruppo di ebreз d’Europa, e tuttз coloro che si sono riconosciutз attraverso il tempo e lo spazio nel loro progetto e nella società assurda e violenta a cui hanno dato vita, cioè un agglomerato di ebreз verз o presuntз dove regnano violenze sociali e razziali, che chiamiamo sionistз. Nessun altro.

Ebreз in Palestina

Contrariamente a quanto afferma Zagdanski, le organizzazioni politiche palestinesi non si sono dimostrate tutte e sempre “rivoltate all’idea che gli ebrei possano vivere in mezzo a loro con uno statuto pienamente eguale “. Fatah, dichiarazione del 1 gennaio 1969: “Il Movimento di Liberazione Nazionale Palestinese Fatah non combatte contro gli ebrei come comunità etnica e religiosa. Combatte contro Israele, espressione della colonizzazione basata su un sistema teocratico razzista ed espansionista, espressione del sionismo e del colonialismo”8. Lo stesso Fatah, in un testo del 1971 intitolato “La rivoluzione palestinese e gli ebrei”, ha prodotto una notevole riflessione sull’antisemitismo nel movimento palestinese e sull’impasse che esso ha costituito, ponendosi la seguente domanda: “Come possiamo odiare gli ebrei in quanto ebrei? (…) Come abbiamo potuto cadere nella trappola del razzismo?”9. Il progetto di questo Fatah, all’epoca ancora lontano dal diventare il burattino impotente che fa finta di amministrare l’attuale Autorità Palestinese, era la costituzione di uno Stato multiconfessionale in cui lз ebreз avrebbero avuto il loro posto.

Quanto ad Hamas, il cui uso della retorica antisemita è stato sufficientemente enfatizzato, ci limiteremo a ricordare le sue relazioni storiche molto travagliate con Israele. Inizialmente era il ramo di Gaza dell’Organizzazione dei Fratelli Musulmani, un gruppo politico presente in tutto il mondo arabo e brutalmente represso in Egitto sotto il regime di Gamal Abdel Nasser. In Palestina è rimasto sorprendentemente intoccato dalla brutale repressione orchestrata da un certo generale Ariel Sharon nella Striscia di Gaza nei primi anni ‘70. Il governatore israeliano che allora amministrava l’occupazione di Gaza partecipò persino all’inaugurazione di una moschea, Jawrat al-Shams, che funge da vetrina per l’organizzazione.

 

Essendo i nemici dei nemici sempre utili, lo Stato di Israele ha cinicamente mantenuto un rapporto costante con questa organizzazione per tutti gli anni ’70 e ’80, lasciando che le sue reti si espandessero e tollerando la creazione di una sua milizia, il Majd. L’obiettivo era lasciare a questo gruppo di indigeni il lavoro sporco di combattere al loro posto, e in modo molto più efficace, contro l’influenza del comunismo e del panarabismo in Palestina. Fu solo al momento della Prima Intifada (1987), quando fu costretto a rivedere la sua posizione attendista spinto dall’insurrezione della società palestinese, che questo gruppo islamista cessò la sua politica di collaborazione con l’occupante e attuò un completo spostamento verso il radicalismo, per il quale viene oggi rimproverato con tanto vigore. Il razzismo reattivo dei quadri di Hamas e più in generale di alcunз palestinesi, deplorevole ma ancora una volta banale in una società coloniale, non è quindi, come credono Zagdanski e i suoi simili, l’effetto distante della battaglia di Khaybar, di chissà quale hadith o dei pogrom di Fez, ma un fenomeno del tutto spiegabile nel suo contesto e in cui le manipolazioni spudorate delle istituzioni israeliane c’entrano non poco. Quando il vassallo finisce per mordere la mano del suo padrone, scioccə è chi si sorprende che i suoi denti sappiano di veleno.

Chi sono lз palestinesi?

Così come non stiamo ponendo un’equivalenza tra lo Stato di Israele e lз ebreз, non cercheremo qui di difendere l’idea che un popolo palestinese esistesse prima del 1948. Impegnarsi in questo esercizio è inutile, perché è come riconoscere il vocabolario dellə nemicə. Il popolo, per Zagdanski e simili, è ovviamente inteso nel senso nazionale del termine, e noi antisionistз dobbiamo rifiutare fermamente l’argomentazione secondo la quale costituirsi in nazione sia il prerequisito della legittimità. Così come non esisteva un “popolo algerino” unito come nazione entro gli attuali confini prima del 1830, non esisteva un “popolo palestinese” nel significato che questo termine assume nei dispositivi politici del Nord del Mondo. Tuttavia, c’erano persone nel territorio della Palestina Mandataria, lз cui nonnз erano o non erano nel territorio della provincia ottomana e così via. Queste persone sono lз palestinesi.

L’unico motivo, quindi, che rende legittima e in verità indiscutibile l’espressione “popolo palestinese” per chiunque sappia ragionare, è che ormai è usata dalla stragrande maggioranza degli indigeni le cui terre sono state depredate, i villaggi rasi al suolo, il diritto a vivere nelle proprie case negato e la vita rovinata a causa della nascita e dello sviluppo dello Stato di Israele. Per ragioni circostanziali, queste popolazioni hanno scelto il termine “popolo palestinese” per identificarsi con le disgrazie e le ingiustizie che subiscono insieme, e nel progetto di recuperare terre e dei diritti. Come lз ebreз d’Europa, quando hanno adottato il termine linguisticamente inappropriato di antisemitismo per designare la particolare forma di oppressione che subirono nel XIX e XX secolo e differenziarla dalle precedenti fasi della storia multimillenaria dell’odio contro lз ebreiз Spetta allз interessatз dare un nome alla loro oppressione e di costituirsi come popolo.

Unə palestinese è chiunque lo Stato di Israele chiama “arabə” per cancellare il nome che il suo crimine porta agli occhi del mondo. È indifferentemente unə cristianə di Betlemme o di Hebron, unə musulmanə di Haifa o di Gaza, unə arabə del Negev, unə esiliatə a Beirut, a Venezia o a New York. E poiché Stéphane Zagdanski è appassionato di storie, eccone una seconda e ultima su questo argomento.

Si svolge la sera di giovedì 26 maggio 2022. È una storia banale. Un paio di arabз-europeз, lei palestinese, lui no, vanno ad Akka. Fanno il bagno nel Mediterraneo, quindi visitano il centro storico. Dal 1948 questa cittadella resiste alla penetrazione dellз occupanti. Miracolosamente, non ha ceduto. Ufficialmente siamo in Israele. Tuttavia, lo sentono entrambз, stasera ad Akka è Israele che non esiste. Musica, pianti di bambinз e facce felici esplodono da ogni parte. Nel piccolo porto, delle barchette ti portano in giro attorno la fortezza. Alcune vanno a tutta velocità, facendo slalom con grazia sulla superficie dell’acqua e provocando le urla di paura ed eccitazione dellз passeggerз. Il tempo è bello, il cielo è di un tenue arancione che la notte che sorge già rosicchia. Nei ristoranti sulla riva si mangia il pesce fritto. Non unə soldatə dell’esercito israeliano in vista. Nessun posto di blocco. Sulle barchette, le donne ballano. E questa coppia un po’ logora, che la vita in questo momento non risparmia, si mescola alla loro felicità di esistere, e affoga i suoi dolori per alcune ore nella splendida baia di Haifa, nel mare che è di tuttз e di nessuno, che l’amarezza della riva rende uguali. Questa è una serata palestinese. Una serata tra donne e uomini che sono come tutti lз altrз e a cui tuttз le altrз assomigliano. Che amano la vita, anche loro, “quando hanno i mezzi per farlo”. E che si danno i mezzi per amarla nonostante l’implacabilità dellз occupantз nel rovinargliela.

Nonostante i vostri sforzi per concedervi il monopolio della gioia di vivere, voi sionistз non siete riuscitз del tutto a sabotare quella delle vostre vittime. E la vostra insistenza nel sottolineare quanto voi amiate la vita non fa che esprimere il vostro sordo senso di colpa, da cui nemmeno il soffocamento dell’ultimo respiro di resistenza che vi si oppone da 74 anni vi libererà. Le nazioni coloniali, come quelle imperiali e sterminatrici, sono nazioni perseguitate. Guardate gli Stati Uniti, la Germania, la Francia, la Russia. La nostra causa può essere persa, ma non la nostra gioia. Quanto a voi, finché non riparerete Deir Yassin, non avrete mai pace. Quest’ultima si merita, e chiaramente, voi non potete permettervela.

Parigi, domenica 29 maggio, giorno della Marcia delle Bandiere

 

* Tradotto da Mabny Lil-Majhoul,“Hair la Palestine”, Lundi Matin ,341, 30 maggio 2022, https://lundi.am/Hair-la-Palestine 

1 Stéphane Zagdanski , “Penser la Palestine, Lundi Matin, 288, 17 maggio 2021, https://lundi.am/Penser-la-Palestine.

 

2 Vedi Noire est la beauté, Pauvert, 2001.

3 Penso, ad esempio, al bellissimo L’Impureté de Dieu, Le Félin, 1991.

 

4 Theodor Herzl, L’État des Juifs [1896], Parigi, La Découverte, 1990, p. 47.

5 Vedi la pagina dedicata alla storia di questa banca sul sito della Jewish Virtual Library, enciclopedia dell’ alquanto antisionista American-Israeli Cooperative Enterprise (AICE) negli Stati Uniti: https://www.jewishvirtuallibrary.org/jewish-colonial-trust

6 Su questo argomento si veda Joseph Massad, The Persistence of the Palestine Question: Essays on Zionism and the Palestinians, Londra, Routledge, 2006. Gilbert Achcar riassume molto bene la posta in gioco della questione in “La dualité du projet Zioniste”, Manières de voir, n°157, febbraio-marzo 2018. https://www.monde-diplomatique.fr/mav/157/ACHCAR/58306 

 

7 Vedi Sami Shalom Chetrit,Either the pie is for everyone, or there won’t be no pie!” HaPanterim HaSh’horim (the Black Panthers Movement): The generating collective confrontation, Londra, Routledge, 2009.

8 https://lesmaterialistes.com/fatah-declaration-1er-janvier-1969 

9 La Révolution Palestinienne et les Juifs [1971], Minuit, 1970. Ristampa Libertalia, 2021. Per ragioni di onestà, rimandiamo alla lettura critica, da un punto di vista sionista, proposta da Ivan Segré su Lundi Matin: https://lundi.am/La-revolution-palestinienne-et-les-Jews-A-historical-document. Ci manca lo spazio e l’energia per commentarlo qui.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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