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Dentro e oltre il dibattito sullo ius soli

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Spesso accade che nella parte finale di una legislatura, a suon di approvazione di nuove leggi e ostruzionismi, si giochino i colpi di coda delle conformazioni parlamentari in corso di decomposizione, nella prospettiva di un ricompattamento o di una ridefinizione delle alleanze e di un riposizionamento dei principali corpi politici verso l’imminente corsa al voto. Il più delle volte questo teatrino risulta essere di scarso interesse se non per il ristretto campo degli analisti e dei sondaggisti del sistema partitico, salvo nei casi in cui, come talvolta può avvenire, questa forma di compagna elettorale preventiva arrivi al punto di toccare temi dalla pesante valenza collettiva. E’ sicuramente il caso della legge sullo ius soli, in questi giorni in corso di discussione al senato, il cui attuale ruolo nel dibattito mainstream, per il quale costituisce essenzialmente poco più di bandierina utilizzata dai vari contendenti quasi esclusivamente a fini elettoralistici, non può in alcun modo far passare in secondo piano l’importanza dei temi che tocca.

Cosa prevede la legge sullo ius soli

Argomento di discussione fin dagli anni ‘90, il dibattito sullo ius soli ha assunto una particolare centralità in questi ultimi mesi, nel corso dei quali la proposta di legge ad esso in parte annessa, rimasta dormiente in parlamento dal 2012 a seguito di un iter legislativo articolato, è stata riesumata con lo scopo di venir approvata entro il termine della presente legislatura. La proposta di legge di recente presentata al senato per l’approvazione avrebbe come conseguenza una modificazione delle modalità con cui accedere alla cittadinanza italiana. Nello specifico sarebbero introdotti, sulla base appunto del principio dello ius soli, alcuni criteri nuovi in aggiunta o in sostituzione di quelli previsti dalla legge attualmente in vigore, la cui promulgazione risale al 1992.

In realtà, per attenersi alla lettera del progetto di legge, sarebbe più consono parlare di ius soli temperato, dato che di fatto il principio del diritto legato alla nascita sarebbe solo parzialmente assunto, in un contesto in cui avrebbero un ruolo significativo anche lo ius sanguinis e lo ius culturae. A livello tecnico, infatti, non viene preso in discussione dal parlamento lo ius soli puro, attualmente in vigore per esempio negli Stati Uniti, che prevede l’immediato assegnamento della cittadinanza sul solo criterio del luogo di nascita, ma di un disegno di legge articolato che nel pratico contempla come soggetto allo ius soli solo i bambini nati in Italia a condizione che almeno uno dei genitori sia regolarmente residente nel paese da almeno 5 anni.

Oltre a questo, affinché il neonato possa essere soggetto al diritto di cittadinanza, nel caso in cui sia nato da genitori di paesi esterni all’Unione Europea, è necessario che questi soddisfino altri tre requisiti: un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale, l’idoneità linguistica verificata sulla base di un test e un alloggio considerato idoneo a termini di legge.

La norma in attesa di approvazione prevede altresì, in aggiunta ai criteri legati allo ius sanguinis della precedente legge, la possibilità dell’accesso alla cittadinanza sulla base dello ius culturae; nello specifico è previsto che possano chiedere la cittadinanza i ragazzi figli di genitori non italiani se nati sul suolo italiano o giunti prima dell’età di 12 anni nel caso in cui abbiano già superato un ciclo scolastico, oppure coloro che, giunti tra i 12 e i 18 anni, oltre ad aver concluso un ciclo formativo, siano stati residenti in Italia per almeno 6 anni.

Una partita politica……

Come si accennava, più che gli effetti pratici della norma, la partita che si gioca attorno al tema dello ius soli interessa principalmente una contesa sul piano elettorale. Come noto, l’esito del referendum costituzionale del 4 dicembre scorso ha prodotto la necessità di un complessivo riassestarsi del controllo politico esercitato dalla coalizione di governo sugli apparati statali. In questo contesto, il cosiddetto problema della sicurezza, per come è poi stato legato dal dibattito pubblico al tema dell’immigrazione, ha assunto una notevole centralità, costituendo l’asse portante a partire dal quale il Partito Democratico, spinto in buona parte dalla pressione dalle forze più pesantemente reazionarie, ha ritenuto di dover riorganizzare la sua strategia di reperimento del consenso. A partire da questo dato di fatto, la scelta di affidare a Minniti l’incarico di dirigere il ministero degli Interni ha generato una serie di conseguenze che hanno poi causato uno spostamento complessivo degli assetti politici, contribuendo, tra le altre cose, alla spaccatura interna dello stesso partito di maggioranza.

Ora, a seguito dell’approvazione nuova legge elettorale, la quale pone la necessità del ricorso, numeri alla mano, per tutti i principali partiti a qualche forma di alleanza, nel contesto di un evidente calo di consensi, per il PD si pone la necessità di recuperare i residui percentuali del micro mondo che staziona a vario titolo alla sua sinistra. In riferimento a questa circostanza la campagna per l’approvazione dello ius soli rappresenta, per il Partito Democratico, la possibilità di ridare lustro alla propria immagine deteriorata agli occhi di una parte del suo elettorato tradizionale, legittimando, al contempo, la necessità di stringere nuovi legami con i fuoriusciti nell’ottica di una qualche forma di alleanza futura.

Per quel che riguarda invece i partiti di destra, su tutti Lega e Fratelli d’Italia, il dibattito sullo ius soli rappresenta un tema piuttosto appetitoso. In primo luogo perché permette di rinforzare la battaglia ideologica sull’identità nazionale e in secondo luogo nella misura in cui fornisce l’alibi per riportare alla ribalta la retorica populista su sicurezza e immigrazione ad un piano decisamente più propizio rispetto al confronto con i decreti Minniti, i quali hanno perlopiù sussunto le principali istanze agitate da questi stessi partiti negli anni del governo Renzi.

Per quel che riguarda invece il m5s la partita è più scivolosa, ma non necessariamente eccessivamente foriera di pericoli. La scelta pilatesca di farsi da parte optando per l’astensione, come già è avvenuto nel passaggio della legge alla camera, più che essere un segno di debolezza o confusione collima in realtà perfettamente con le esigenze di un partito dalla base sociale così variegata; giocare sulla possibilità di rivendicare, nei confronti delle sezioni di elettorato più vicine alla destra tradizionale, il non aver contribuito all’approvazione della legge, e tuttavia potere al contempo dichiarare di essere disponibili a farlo in qualche forma in un futuro imprecisato, per ammiccare agli elettori più legati alla sensibilità culturale della sinistra tradizionale, costituisce senza dubbio un posizionamento comodo per gli scopi del team targato Di Maio.

Sul piano dell’iter parlamentare dunque, lo scenario sembra abbastanza delineato, benché, c’è da dire, permangano ancora ragioni di incertezza, legate principalmente a malumori interni al PD, alimentati dalla percezione di alcuni suoi membri, per i quali, tutto sommato, i rischi di questa operazione potrebbero essere superiori ai benefici.

…e una battaglia per quali diritti?

La constatazione di avere a che fare con un argomento che tende ad attestarsi nel dibattito pubblico sul piano della strategia e della propaganda elettorale, non deve tuttavia farci perdere di vista, come abbiamo premesso, il fatto che attorno ad esso si sollevano una serie di questioni su cui è fondamentale aprire uno spazio di riflessione. La migrazione di massa e il tema della cittadinanza come elemento che contribuisce all’acquisizione formale dei diritti sono problematiche con cui è più che mai urgente confrontarsi.

Ora, prendendo alla lettera la norma in discussione, posto che senza dubbio comporta un positivo ampliamento della base di diritto, sono molte le parzialità e le criticità da evidenziare. Da un lato, comunque, alcuni passi in avanti sono indiscutibili: la possibilità per i lavoratori figli di migranti del futuro di non essere espulsi e/o ricattati in maniera costante, a differenza di quel che avviene ora per chi sia in possesso del solo permesso di soggiorno, è un primo evidente effetto positivo della possibile approvazione di questa legge sullo ius soli. Ciò poichè comporta, come diretta o indiretta conseguenza, una più ampia quota di sicurezza sociale in ambiti come quello lavorativo per tanti e tante negli anni a venire.

A fronte di questo, tuttavia, molti rimangono i nodi irrisolti. In primo luogo la contestualizzazione della genealogia del progetto di legge nell’ambito delle necessità elettorali del PD non può essere slegata da quella che racconta ciò che di peggio si nasconde dietro questa operazione. La politica di questo governo in materia di migrazione, mentre da un lato si dice disponibile ad approvare lo ius soli, lascia morire i migranti nei lager libici. Si concede la cittadinanza a quelli che ce l’hanno fatta, mostrando la bella faccia gettando le briciole ai salvati e intanto, serrando a doppia mandata le mura della fortezza, si allontana sempre di più le speranze dei sommersi.

In secondo luogo, ed è tutt’altro che secondario precisarlo, i requisiti per l’ottenimento della cittadinanza rimarranno in gran parte restrittivi e condizionati, come vedevamo sopra, ad una serie di requisiti. Questo meccanismo tradisce il carattere assimilatorio e disciplinante del progetto, che de facto “colonizza” le figure sociali interessate dal progetto, obbligandole alla docilità  –  da esibire soprattutto sul luogo di lavoro, ma anche nell’ambiente sociale complessivo – per poter essere riconosciute degno di appartenere alla comunità del paese ricevente.

Ma soprattutto, quel che ci preme constatare è come l’ambito di discussione legato alla legge in quanto tale emargini volutamente ogni riflessione attorno ai temi profondi che un dibattito sul diritto alla cittadinanza dovrebbe sollevare. Che sia sufficiente la cittadinanza per avere accesso ad una serie di diritti fondamentali è un’affermazione non solo in gran parte erronea sul piano teorico, ma anche smentita di continuo dalla pratica quotidiana. Sul piano teorico, lo stesso istituto della cittadinanza, conseguenza della creazione del sistema interstatale e della relativa costruzione di confini e frontiere, non è punto di arrivo ma elemento di riassorbimento di conflittualità su base nazionale di una forza-lavoro il cui sfruttamento è derivante da processi compiutamente globali. Sul piano pratico, l’iper-sfruttamento a cui sono soggetti nel nostro paese i lavoratori, per esempio nelle campagne del Sud Italia o nei magazzini del Centro Nord, si determina solo parzialmente in relazione alle carte di identità o alle attestazioni formali di cittadinanza.

Le garanzie in più che lo ius soli potrebbe comportare, perciò, non sembrano di per sè sufficienti per migliorare in toto le condizioni di lavoro e di vita cui sono spesso costretti i migranti. Il fatto che, a beneficio di un’operazione puramente cosmetica, nella prospettiva per altro del problema sistemico di una decrescita demografica a cui rimediare, venga ampliata la base della cittadinanza, non può in alcun caso essere abbastanza per gli sfruttati di questo paese se le condizioni generalizzate di sfruttamento e precarizzazione complessiva permangono, a prescindere dalla nazionalità o dal fatto che siano cittadini oppure no. Ed è su questo campo di battaglia, che tracima oltre la questione dell’acquisizione formale della cittadinanza, che si gioca la partita decisiva.

L’ampliamento della base dei soggetti aventi diritto non è di per sé soddisfacente se si lega ad un piano di analisi in cui il contenuto stesso dei diritti riconosciuti non solo non viene ampliato ma, nel complesso, subisce un processo di graduale e progressivo restringimento. Precarietà, sfruttamento e guerra alle povertà non scompaiono per il solo fatto che la base della cittadinanza viene allargata, ma permangono in una dimensione in cui, se la cittadinanza progressivamente si fa estranea alla possibilità di godimento dei diritti sociali, eventi come la legislazione sullo ius soli rischiano di rimanere mere operazioni di facciata atte ad occultare il deterioramento complessivo delle condizioni di vita reali.

Contestualizzando il problema della cittadinanza a livello delle attuali condizioni economico-sociali, perciò, diventa necessario approfondire una riflessione che, oltre lo ius soli, possa favorire la pratica politica di lotta nella prospettiva del sempre maggiore ampliamento delle possibilità dell’esercizio universale dei diritti attualmente negati, in favore tanto dei migranti, cittadini riconosciuti e non, quanto degli autoctoni. La battaglia per la cittadinanza, infatti, non può che rimanere vuota e parziale se ad essa non viene premessa una più ampia battaglia sociale per la redistribuzione del reddito verso le fasce sociali più oppresse e per il miglioramento effettivo delle condizioni materiali entro cui esse sono costrette a vivere, che si esprime solo nei percorsi di lotta che si attivano nei territori.

 

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