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Arsenale di tirannia

Al termine dell’articolo proponiamo alcuni video che ci riportano ai giorni di lotta e insorgenza della Rotonda della Perla nella capitale del Bahrain.

 

“ARSENALE DI TIRANNIA” – LA MANO OCCIDENTALE IN BAHRAIN

Nel periodo precedente all’indipendenza gli inglesi, con l’aiuto dei mercenari indiani, sostenevano la famiglia reale nella missione di stroncare ogni sommossa o insurrezione popolare. Se ci spostiamo più avanti nel tempo notiamo che le cose non sono molto cambiate: dopo l’indipendenza Ian Henderson, un’agente della polizia coloniale famoso per la ferocia dimostrata nella repressione delle rivolte dei Mau Mau in Kenya, è a capo dei servizi di sicurezza in Bahrein servendo lo stato per 30 anni, fino al suo ritiro nel 1998. Concretamente è stato colui che ha costruito l’infime apparato di sicurezza e intelligence in Bahrein, assicurando il governo assoluto di Al Khalifa con il suo regno di terrore. Si è guadagnato la nomea di “macellaio del Bahrain”, ricevendo molte medaglie al merito dai sovrani bahreniti e inglesi. Dopo il ritiro è diventato uno dei consiglieri del re, lasciando la propria residenza in Bahrain e spostandosi liberamente fra il paese e il Regno Unito. Gli inglesi hanno dominato a lungo l’agenzia di sicurezza nazionale (la polizia segreta) dopo l’indipendenza.

Ma la complicità dei governi occidentali con il governo bahrenita non si ferma a questo punto: il Bahrain riceve annualmente un “aiuto” da parte dell’esercito statunitense, che nel 2010 è consistito in 19 milioni di dollari in aiuti militari. Dagli anni 90 il Bahrein è stato rifornito militarmente con dozzine di carri armati americani, blindati ed elicotteri d’assalto. Gli Stati Uniti hanno procurato al Bahrein “tante munizioni calibro 50 (utilizzate nei fucili dei cecchini e nelle armi da fuoco automatiche) da uccidere 4 volte ogni abitante del Bahrein”. Al Bahrein vengono venduti anche arsenali provenienti da US e Regno Unito; dal 2007 al 2009 il Pentagono ha venduto al paese 386 milioni di dollari in armi, e nel periodo di 12 mesi a partire dall’ottobre 2009, le vendite di armi statunitensi al Bahrain hanno raggiunto gli oltre 200 milioni di dollari. Nel 2001, non a caso, gli Usa hanno nominato il Bahrain “un alleato di primo piano al di fuori dell’alleanza Nato”. Il Bahrain partecipa anche agli addestramenti militari insieme all’esercito degli Stati Uniti.

Nell’armamentario inviato dal Regno Unito si contano granate al CS, fumogeni, lacrimogeni irritanti e di vario tipo utilizzati dagli agenti per reprimere le sommosse, petardi ed altri dispositivi di controllo. La polizia bahrenita conta anche sulla collaborazione attiva di tre consiglieri a tempo pieno, addestrati dagli inglesi. La relazione si fa ancora più intrigante: re Hamad ha donato 149 mila dollari all’accademia militare Sandhurst ed elargito preziosi doni ai politici bahreniti. Mentre dalla Francia il consigliere di sicurezza di Sarkozy, il signor Alain Bauer, si è occupato in maniera attiva di supervisione e riorganizzazione delle forze di sicurezza bahrenite negli ultimi 2 anni (ha seguito anche le trattative per mandare armi in Tunisia nel giorno della fuga di Ben Alì). Aggiungiamo che il Bahrein fa affidamento su alcune agenzie occidentali di pubbliche relazioni per riqualificare la propria immagine già macchiata, oltre ad aziende con sede a Washington, come la Qorvis Communications e la Potomac Square Group, insieme alla londinese Bell Pottinger. La campagna si concentra anche sull’attivismo in rete: gli account collegati all’Oslo Freedom Forum, assieme a quelli del Dipartimento per i diritti umani delle Nazioni Unite sono state oggetto di un bombardamento di email da parte della propaganda filogovernativa.

Va sottolineato anche il fatto che più della metà delle forze di sicurezza bahrenite ( circa 20000 elementi stimati) sono stranieri provenienti da Pakistan, Iraq (le truppe di Saddam), Siria e Yemen. La maggioranza di queste forze estere è costituita da ex soldati pakistani (circa 10 mila, secondo le fonti) provenienti dalla regione del Baluchistan. Appena un mese dopo lo scoppio delle proteste sono stati reclutati 1000 pakistani, con test e colloqui condotti da funzionari bahreniti e da un istruttore americano. (Riuscite a immaginare l’Iran o la Siria che arruolano soldati dal Pakistan, alleato statunitense, con l’aiuto di un istruttore statunitense, allo scopo di stroncare le richieste dei propri cittadini?). Il Pakistan circa un anno fa ha messo in campo un battaglione del reggimento Azad del Kashmir per addestrare le truppe locali in Bahrain. Per non menzionare l’addestramento che le truppe del GCC (Gulf Cooperation Council, ndt) o del personale dei servizi di sicurezza (entrati in Bahrain il 13 marzo) ricevono da parte di Regno Unito, US e altre potenze mondiali.

In Bahrain la questione presenta anche un aspetto settario negativo. Il governo ha provato insistentemente ad alterare la demografia del paese, con una mossa di naturalizzazione politica dei sunniti provenienti da altri stati. La discriminazione attiva degli sciiti nelle sedi governative, in quelle militari e negli apparati di sicurezza è ben nota. Il governo ha persino avviato e fomentato il settarismo contro gli sciiti prima degli eventi. Ma quando sono scoppiate le proteste con una partecipazione a maggioranza sciita, unitamente ad una notevole presenza sunnita, il governo ha deciso di portare la propria caccia alle streghe ad un livello superiore. La politica del dividere la società, stigmatizzando gli sciiti, è divenuta il fulcro della propaganda mediatica governativa, che si è concentrata sulle accuse agli sciiti di lavorare come agenti dell’Iran.  Nei primissimi giorni delle proteste il giornalista del New York Times Michael Slackman è stato catturato dalle forze di sicurezza, e quando impaurito ha mostrato il proprio passaporto si è sentito dire: “Non preoccuparti! Noi amiamo gli americani, non ce l’abbiamo con voi! Cerchiamo gli sciiti”. Quando la legge marziale è stata annunciata dal re si sapeva già che gli sciiti sarebbero stati il primo obiettivo: le forze di sicurezza ed i teppisti hanno preso di mira i loro villaggi, le moschee, le auto, i bambini, le donne, e ancora medici, infermieri, attivisti, blogger, giornalisti, lavoratori, etc. Il linguaggio settario è stato spesso usato contro di loro in maniera eclatante e senza riserve. Patrick Cockburn dell’Independent ha sintetizzato la questione in maniera piuttosto eloquente nel suo articolo: “Il Bahrain prova ad affogare le proteste nel sangue sciita”.

La retorica dell’amministrazione statunitense è tanto confusa quanto lo è stata in ogni contesto arabo in rivolta. Prima il supporto al governo da parte di Hillary Clinton e le argomentazioni a sostegno di una soluzione pacifica, poi la sviolinata di Obama alla popolazione araba, bahreniti compresi, non rappresentano altro che una serie di parole senza senso. In un messaggio via cavo trasmesso dall’ambasciata statunitense a Manama il funzionario americano afferma: “La strategia nazionale del Bahrain per la sicurezza interna si basa sulla presenza del Naval Forces Central Command o Quinta Flotta, e sul solido partenariato con gli Stati Uniti per quanto riguarda la sicurezza. A differenza dei suoi vicini nel Golfo, il Bahrain non gode dei proventi dal petrolio che gli permetterebbero di acquistare armi di alto livello in maniera autonoma”. Mettendo insieme questi elementi, nonostante parli come se non avesse alcuna influenza sulla situazione attuale, l’amministrazione statunitense risulta davvero poco credibile.

E’ armando e addestrando le forze di sicurezza e gli eserciti che gli Usa si sono inseriti in questo scenario, per non parlare dei rapporti economici e dei traffici che li legano a molti paesi. I manifestanti in Tunisia, Egitto, Libia, Yemen e Bahrain sono stati feriti, torturati e uccisi dalle feroci forze di sicurezza addestrate non dalla Cina o dalla Russia, ma dagli Stati Uniti, dal Regno Unito, dalla Francia e da altre nazioni facenti parte del cosiddetto “mondo libero”. Dai diversi atteggiamenti e dal doppio gioco dei provvedimenti adottati dall’Occidente il pubblico arabo deve aver imparato a dubitare delle sviolinate ipocrite, e a riconoscere il vero obiettivo degli attacchi Nato in Libia. Va comunque messo in evidenza il fatto che un significativo numero di cittadini occidentali si stia opponendo a questa farsa e che molti attivisti, giornalisti, ONG e organizzazioni per i diritti umani di provenienza occidentale hanno lavorato per denunciare in maniera eclatante le atrocità commesse e le implicazioni occidentali; di questo il mondo arabo e i bahreniti sono riconoscenti.

Durante la seconda guerra mondiale e prima dell’entrata in guerra degli Stati Uniti il presidente americano Roosevelt, in un celebre discorso alla radio, sottolineò l’importanza del mantenere il sostegno militare al Bahrain e alla Francia, definendo le armi e l’esperienza americane un “arsenale di democrazia”. Ebbene, purtroppo per il signor Franklin D. Roosevelt e per la parte buona del popolo americano, oggi quell’arsenale è diventato un “arsenale di tirannia”.

Contesto storico e politico:

La posizione strategica del Bahrain e la prosperità conseguente al commercio di perle l’hanno reso una preda attraente per invasori e conquistatori. Dal XVI secolo il Bahrain è stato invaso o governato –direttamente o per mandato – dai portoghesi, dai persiani safavidi, dagli omaniti, sauditi, inglesi e tribù arabe o Huala delle regioni circostanti. Il governo di Al Khalifa è cominciato con Ahmed “il Conquistatore”, mentre il dominio britannico sul Bahrain ha inizio nel XIX secolo. Risultato di questo dominio è stata la prima rivolta importante, nel 1892, prontamente repressa dagli inglesi. Quasi ogni decade successiva ha assistito a insurrezioni rilevanti, praticate per conquistare l’indipendenza e la giustizia sociale ed economica. Dopo il proclama dello Shah iraniano che rivendica l’appartenenza storica del Bahrain all’Iran, nel 1970 ha luogo un referendum delle Nazioni Unite ed i bahreniti votano con una schiacciante maggioranza a favore di uno stato indipendente. Il Bahrain guadagna la propria indipendenza nel 1971. Nel 1973 viene stabilita un’assemblea nazionale con soli poteri consultivi, con due terzi dei membri eletti. Fra le questioni controverse vi sono la Quinta Flotta e il bilancio; la problematica più consistente è tuttavia la legge per la Sicurezza dello Stato promulgata dallo Sceicco Isa, che permette al governo di detenere i cittadini fino a tre anni (rinnovabili) senza alcun processo. L’assemblea respinge la legge con forza, ma lo sceicco scioglie l’assemblea nel 1975 – anno che determina l’inizio di un’altra epoca di rivolte e brutalità dello stato. Nel 1999 allo sceicco succede il figlio, Hamad, che promette di trasformare il Bahrain in una monarchia costituzionale. Purtroppo le promesse non vengono mantenute, e gli stessi problemi – corruzione, discriminazione, tortura, naturalizzazione politica, eccetera – rimangono. Il paese attraversa una fase storica importante nel febbraio 2011, quando la rivolta di piazza della Perla segue l’ispirazione portata dagli eventi in Egitto, Tunisia e altrove. Il primo obiettivo dei manifestanti è il primo ministro, lo zio del re, che con i suoi 40 anni di servizio è il primo ministro in carica da più tempo nel mondo.

 

L’indignazione delle infermiere, degli infermieri e dei medici davanti alle atrocità del regime contro i manifestanti. Un corteo nella corsia d’ospedale.

 

I manifestanti gridano “siamo pacifici”, la polizia risponde.

 

La testa del corteo avanza, la polizia spara.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La denuncia di un ragazzo ferito e di un medico che a seguito dell’arrivo delle truppe saudite verrà rapito.

 

La conquista della Rotonda della Perla

 

 

La rabbia dei manifestanti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il regime demolisce la statua della Perla nella rotonda al centro della capitale, simbolo e luogo di convergenza della protesta, dei manifestanti.

 

 

Musica e video del movimento rivoluzionario in Bahrain

 

 

 

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